Biden riconosce il genocidio armeno e mette sotto scacco Ankara
Lo scorso venerdì 23 aprile 2021, il Presidente Joe Biden ha chiamato l’omologo turco Recep Tayyip ErdoÄŸan per riferire che gli Stati Uniti avrebbero ufficialmente riconosciuto il genocidio armeno del 1915. Difatti, il giorno successivo, in occasione dell’anniversario del massacro, Biden ha rilasciato una dichiarazione pubblica nella quale ha affermato che “Il popolo americano onora tutti gli armeni che sono periti nel genocidio iniziato 106 anni fa”. Tali parole costituiscono un vero e proprio schiaffo morale per la controparte turca, che ha sempre negato tali avvenimenti, considerandoli una falsità orchestrata per minare il successo della Turchia moderna.
Oltre al peso simbolico e all’impegno nella lotta per i diritti umani, sono altre le motivazioni che hanno spinto il Presidente americano a prendere una decisione che nessuno dei suoi predecessori aveva seriamente preso in considerazione fino ad ora. Washington vuole infatti servirsi del riconoscimento del genocidio armeno per esercitare pressione politica su Ankara, ancora alleata degli Stati Uniti e membro NATO, ma sempre più incline a prendere posizioni divergenti da quelle dell’asse occidentale. Al contempo, non è casuale che una decisione di questo tipo arrivi in un momento particolarmente critico per la Turchia, fiaccata da una galoppante crisi economica e sballottata da varie tensioni sul piano domestico. Tempistica, dunque, che gioca a favore della Presidenza Biden, che vuole lanciare un chiaro monito alla controparte turca prima che i rapporti con Ankara arrivino ad un punto di non ritorno.
A livello internazionale, sono varie le posizioni assunte da ErdoÄŸan che hanno fatto storcere il naso agli Stati Uniti, a cominciare dalla sua attitudine sempre più criptica nei confronti della NATO. Pur essendo membro dell’Alleanza Atlantica fin dal 1952, la Turchia si muove in maniera sempre più autonoma al suo interno, perseguendo il proprio interesse nazionale e spesso discostandosi in toto dalle posizioni degli altri membri. In particolare, a compromettere la stabilità delle relazioni con i componenti NATO è soprattutto la recente inclinazione di ErdoÄŸan nel perseguire un’agenda internazionale in parte collimante con gli interessi russi (soprattutto su Libia e Siria), nonché nel rinforzare il legame bilaterale con Mosca in chiave militare ed energetica, come testimonia l’ultimo acquisto da parte di Ankara del sistema missilistico russo S-400, azione che ha portato la controparte americana a escludere il Paese dal programma F-35 e ad annullare la commessa turca di nuovi caccia militari statunitensi, o i progetti energetico-infrastrutturali riconducibili al gasdotto Turkish Stream, che insieme al Blue Stream, rappresenta un canale fondamentale della strategia russa di approvvigionamenti verso la Turchia.
Al contempo, anche l’atteggiamento sempre più aggressivo di Ankara nello scacchiere mediterraneo-mediorientale sta contribuendo a raffreddare le relazioni con gli Stati Uniti. In particolare, la competizione sempre più assertiva nei confronti di Grecia e Cipro nella disputa per il controllo delle Zone Economiche Esclusive (ZEE) nel Mediterraneo Orientale (così come nell’atavica questione di Cipro Nord) e le nuove tensioni con Israele, soprattutto a seguito del re-orientamento di ErdoÄŸan verso Hamas, contribuiscono ad esacerbare le frizioni con Washington, il cui scetticismo è inoltre rafforzato dall’aumento di azioni anti-democratiche e illiberali intraprese dal governo di Ankara sul proprio piano domestico.
Di conseguenza, il riconoscimento USA del genocidio armeno funge da strumento di pressione politica, che sfrutta il peso simbolico dell’atto per dimostrare ad Ankara quanto gli Stati Uniti non siano più disposti a soprassedere a certi aspetti, che potrebbero squalificare il Paese sul piano internazionale al pari di un Pariah State. La posizione USA, quindi, mette sotto scacco la Turchia, non solo per le conseguenze dirette del riconoscimento – a partire dai risarcimenti da offrire all’Armenia – ma soprattutto perché scagliarsi apertamente contro l’Amministrazione Biden e condannare la dichiarazione potrebbe compromettere ancor di più l’immagine internazionale e domestica del Paese. In più, l’atto comporta delle conseguenze negative per Ankara anche a livello regionale, costringendola a dover mettere alla prova la sua credibilità simbolica anche al di fuori dei propri confini nazionali, soprattutto nel Caucaso, in Siria e nel Mediterraneo Orientale. Sicuramente, come riferito dal Vice Ministro degli Esteri turco, Sedat Önal, il riconoscimento del genocidio ha aperto una “ferita difficile da risanare” e non permette di escludere eventuali colpi di scena nelle relazioni turco-americane.