Myanmar: la cauta ridefinizione delle alleanze del nuovo governo
Asia e Pacifico

Myanmar: la cauta ridefinizione delle alleanze del nuovo governo

Di Ruggero Balletta
23.10.2016

Dopo oltre 50 anni di governo della giunta militare, l’8 novembre del 2015 si sono tenute le prime elezioni libere in Myanmar.

A causa della mancanza di sondaggi elettorali, non è stato possibile avere un dato di opinione popolare su quello che sarebbe stato il risultato elettorale, gli analisti si sono dovuti basare esclusivamente sui dati delle ultime due occasioni in cui i cittadini sono stati chiamati a votare, ossia alle elezioni generali del 1990 (poi annullate dalla giunta militare), e alle elezioni straordinarie del 2012. In entrambe le occasioni, il principale partito di opposizione al regime militare, la Lega Nazionale per la Democrazia (LND), guidata da Aung San Suu Kyi era risultato vincitore, prima con il 52% e poi con circa l’80% dei seggi disponibili.

Benchè, dunque, l’ultima ornata abbia permesso l’insediamento di un governo politico, i militari continuano ad avere una grande influenza all’interno del Paese. L’attuale costituzione redatta dalla giunta miliare, che tuttora mantiene un diritto di veto sulle riforme costituzionali, prevede che il 25% dei seggi non sia oggetto della contesa elettorale, ma che sia assegnato di diritto a membri dell’establishment militare. In questo modo i membri del vecchio regime si sono garantiti un ruolo estremamente rilevante all’interno delle scelte politiche nonostante il cambio di regime.

A dispetto di questa clausola l’esito delle elezioni del novembre 2015 è stato sorprendente. L’LND era accreditato di molte preferenze nei grandi centri urbani come Yangon, ma non si aspettavano che ottenesse così tante preferenze nelle zone più rurali del Paese dove i militari erano alleati con l’USDP (Partito per lo Sviluppo, l’Unione e la Solidarietà), partito di riferimento della giunta militare. Questa successo elettorale ha permesso al partito di Aung San Suu Kyi di vincere anche l’elezione per il Capo dello Stato grazie alla maggioranza ottenuta in entrambe le camere, che in seduta comune eleggono il Presidente della Repubblica. Il 30 marzo 2015 Htin Kyaw, è infatti succeduto al generale Thein Sein alla guida dello Stato birmano.

Resta comunque l’impressione di un esecutivo bicefalo. Nonostante i grandissimi consensi elettorali dell’LND la transizione della Birmania verso una piena democrazia è ancora piena di ostacoli. La nomina dei ministri chiave (Difesa, Interni e Affari di Frontiera) è costituzionalmente esclusivo appannaggio dei militari, non del Presidente, e non è data possibilità di cambiare la costituzione senza un appoggio diretto dei militari.

Una delle questioni più urgenti che il nuovo governo birmano è chiamato a risolvere è il rapporto con i numerosi gruppi ribelli presenti nel Paese. A seguito dell’indipendenza, alcuni gruppi armati che sostenevano di rappresentare gli interessi delle numerose minoranze etniche del Paese, presero le armi contro il governo centrale della Birmania. In particolare i gruppi più attivi sono la Karen National Union (KNU), attiva da circa 70 anni e forte di circa 5000 uomini e la Kachin Indipendence Army, attiva dal 1961 e formata da circa 8000 uomini armati.

Le richieste dei ribelli riguardavano principalmente la formazione di un governo federale che desse ampi poteri alle varie etnie presenti nel Paese. I principali gruppi ribelli – Kachin, Kaya, Kayin, Rakhine e Shan - inizialmente erano stati convinti da Aung San, padre fondatore della Birmania, a restare all’interno dello Stato dopo l’indipendenza dagli inglesi, con la possibilità di formare una propria nazione entro 10 anni se non soddisfatti del governo centrale. Inoltre l’accordo garantiva il diritto all’autodeterminazione, la rappresentanza politica nel governo post-indipendenza e l’uguaglianza economica tra i vari gruppi etnici.

A tutt’oggi si contano circa 15 formazioni paramilitari in attività nel Paese.

Nell’ottobre 2015, il governo ha firmato un cessate il fuoco a livello nazionale con otto gruppi etnici armati, dopo più di due anni di negoziati. Il risultato però non è stato all’altezza delle aspettative perché non si è riuscito a forgiare un consenso con tutti i quindici i gruppi ribelli attivi nel paese, in particolare con quelli attivi al nord al confine con la Cina. In realtà l’accordo è stato siglato solamente dai gruppi minori. Anche i leader del più grande gruppo a firmare il l’armistizio, la Karen National Liberation Army e il suo braccio politico la Karen National Union, erano in disaccordo sulla partecipazione alla cerimonia della firma nella capitale, Naypyidaw.

I gruppi di ribelli più numerosi, la Kachin Independence Army (KIA), l’United Wa State Army e lo Shan State Army North, invece, restano ancora attivi e sono accreditati di circa 5000 uomini ciascuno.

Alcuni gruppi, come ad esempio il Ta’ang National Liberation Army (TNLA), non sono stati nemmeno invitati a firmare, nonostante in precedenza fossero stati coinvolti nei colloqui di pace dal governo.

Nelle settimane successive alla firma, i combattimenti si sono intensificati in alcune aree, con i gruppi ribelli che hanno accusato l’esercito regolare di aver aumentato il numero delle truppe e delle armi pesanti in movimento nelle aree sensibili del Paese.

Il TNLA è stata sempre più coinvolto in scontri con il KIA o con i membri del Consiglio di Instaurazione dello Shan, uno dei firmatari dell’accordo di cessate il fuoco. I leader del TNLA ritengono che l’esercito del governo sta ora sostenendo i gruppi che hanno firmato l’accordo per attaccare coloro che non lo hanno firmato, in quella che affermano essere una strategia di divide et impera.

I rapporti con l’estero non sono meno complicati. Gli Stati Uniti nel 1988 imposero sanzioni contro il Myanmar dopo il colpo di stato militare, impedendo le esportazioni e congelando i fondi che alcune istituzioni birmane detenevano negli USA. Le amministrazioni successive intensificarono le sanzioni, aggiungendo blocchi sugli investimenti e sulle importazioni.

Dal 2009 si è assistito ad un cambio di rotta nei rapporti Usa – Myanmar, che è coinciso con le prime aperture alla democrazia da parte della giunta militare birmana con il Presidente Thein Sein.

La presidenza Obama ha lasciato inalterate le sanzioni ma ha mostrato la volontà di aprire un dialogo ad alti livelli con il Consiglio per la Pace e lo Sviluppo dello Stato (SPDC)1 comprendendovi anche la cooperazione su problemi di sicurezza internazionale come la non proliferazione nucleare e la vendita di armi alla Corea del Nord. organismo di presidenza della Birmania durante il regime militare

I risultati di queste aperture si sono concretizzati nella visita dell’allora Segretario di Stato Hillary Clinton in Myanmar, durante la quale ci sono stati numerosi colloqui sia con il Presidente Thein Sein che con l’allora leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi. Al termine di questi incontri si trovarono accordi per aumentare gli aiuti umanitari al Paese asiatico e gli USA annunciarono che non avrebbero più posto il veto sulle richieste birmane all’interno del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Inoltre, a dimostrazione del netto disgelo dei rapporti fra i due Stati, Washington nel 2012 ha nominato il primo ambasciatore nel Paese asiatico dopo 22 anni di assenza.

Le relazioni fra i due Stati hanno toccato il culmine nel novembre 2012 con la storica visita del Presidente Obama a Yangon e con quella del Presidente Thein Sein a Washington nel maggio 2013.

Lo stretto legame che si sta creando fra il Myanmar e gli Usa, sommato alla volontà dell’amministrazione Obama di fare dell’Asia un perno economico della propria politica, ha messo in discussione i rapporti strategici e commerciali di Yangon con Pechino – investitore principale nella nazione – e si registra una crescente resistenza del Myanmar ad accettare investimenti in infrastrutture da parte del governo cinese.

La Cina ha ancora una influenza notevole in Birmania e la sua presenza è ben visibile in ogni aspetto della vita del Paese e il cambiamento di rotta del governo non ha alterato i piani strategici cinesi nella Regione.

L’interesse cinese si focalizza sullo sviluppo di infrastrutture e progetti di connessione stradale attraverso la nazione fino al Golfo del Bengala.

In questo contesto il governo di Pechino ha iniziato le sue relazioni con il nuovo governo dell’NLD dimostrando intenzioni cooperative, in particolare offrendo capitali, programmi di assistenza finanziaria e umanitaria nonché aiuti per stabilizzare il processo di pace interno.

In cambio la Cina pretenderà entro poco tempo la risoluzione di alcuni problemi che la interessano particolarmente. In primis una risposta chiara riguardo il progetto sospeso della diga Myitsone, seguito da una decisione chiara sullo sviluppo della zona economica speciale del Kyaukphyu e sulla definizione degli accordi per la costruzione dei progetti One Belt e One Road che dovrebbero portare alla creazione di alcune autostrade che collegheranno la Cina continentale con il Golfo del Bengala.

Il gigante asiatico osserverà molto da vicino lo sviluppo dei processi di pace con i gruppi etnici ribelli, in particolare quelli del nord, al confine la regione dello Yunnan. La Cina ha perfettamente chiaro che un Myanmar pacificato e stabile sarebbe congeniale ai propri interessi a lungo termine, dato che questi conflitti sono di ostacolo ai programmi strategici ed economici di Pechino nella Regione.

Inoltre la Cina sembra intenzionata a chiedere al governo birmano di “rispettare” gli interessi nazionali cinesi quando si tratterà di lavorare con i governi occidentali e con gli USA in particolare. Difficilmente Pechino accetterà una linea poco chiara del governo birmano su queste materie. Da parte cinese aleggia un senso di sospetto e di incertezza nei confronti di Suu Kyi, a causa delle sue idee democratiche e per le sue relazioni con l’occidente.

In ultimo Aung San Suu Kyi e il suo governo devono avere ben chiaro che la Cina non abbandonerà i propri rapporti con le altre forze politiche del Myanmar, in particolare con i militari e i loro associati. Dopotutto nessuno ha chiaro il futuro politico del Paese e quindi per Pechino ha senso mantenere buoni contatti con tutti le parti in causa.

1 Si tratta dell’organismo di presidenza della Birmania, attivo dal 1997 al 2011 durante il regime militare.

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