Geopolitical Weekly n.129

Geopolitical Weekly n.129

Di Francesca Manenti e Fabiana Urbani
21.11.2013

Afghanistan

E’ stata convocata il 21 novembre la grande assemblea degli anziani (Loya Jirga), incaricata di discutere il testo del Bilateral Security Agreement (BSA), l’accordo tra Afghanistan e Stati Uniti che dovrebbe disciplinare la consistenza e lo status giuridico delle Forze Armate statunitensi nel Paese dopo il termine della missione ISAF, nel 2014. Se dovesse essere approvata la bozza proposta dal Presidente afghano Hamid Karzai, Washington potrà stanziare un contingente di circa 8.000-12.000 uomini, il quale godrà dell’immunità dalla giurisdizione locale e svolgerà funzioni prettamente di addestramento, assistenza e fornitura equipaggiamenti alle Forze Nazionali Afghane (ANSF). I colloqui tra Kabul e Washington riguardo il BSA si erano interrotti lo scorso giugno, in seguito all’impasse causato dall’apertura di un ufficio politico dei talebani a Doha. La convocazione della Loya Jirga potrebbe ora portare alla stesura del testo definitivo, che dovrà, però, essere poi approvato dal Parlamento afghano. Nonostante Washington abbia espresso l’intenzione di concludere l’accordo entro la fine dell’anno, all’ultimo momento il Presidente Karzai ha avanzato l’ipotesi di posticipare la firma ad aprile, dopo le elezioni presidenziali, consegnando la questione, di fatto, alla nuova amministrazione.
A pochi mesi dal ritiro delle truppe NATO, l’approvazione del BSA con gli Stati Uniti ricopre un ruolo fondamentale per la definizione della futura presenza internazionale in Afghanistan: potrebbe, infatti, servire da modello per Stati, quali Italia, Germania e Regno Unito, che hanno espresso l’intenzione di continuare ad essere presenti nel Paese anche dopo il 2014, nel contesto della nuova missione di addestramento della NATO, Resolute Support.

Etiopia

Il 19 novembre il Primo Ministro etiope Hailemariam Desalegn e il Presidente egiziano Adli Mahmud Mansur si sono incontrati a margine del Summit afro-arabo in Kuwait per discutere le implicazioni economiche e politiche della costruzione della diga etiope sul fiume Nilo. I colloqui, tuttavia, non hanno portato a nessun accordo tra i due leader.
Lo scorso maggio l’Etiopia ha avviato la costruzione della Grande Diga della Rinascita, destinata a produrre energia idroelettrica a partire dal 2017. La diga devia le acque del Nilo Azzurro, uno dei maggiori affluenti del Nilo principale, che nasce in Etiopia e si unisce al Nilo Bianco in Sudan. Il grande progetto idroelettrico etiope è da alcuni anni causa di frizioni con l’Egitto, al quale i trattati sullo sfruttamento del bacino idrico nilotico del 1929 e del 1959 hanno finora assicurato lo sfruttamento del 55% delle sue acque, costringendo gli altri Paesi attraversati dal fiume (Sudan, Burundi, Ruanda, Uganda, Tanzania e Sud Sudan) a dividersi la restante quota. Addis Abeba ha sempre contestato questa ripartizione, reclamando che l’84% delle acque del Nilo ha origine in territorio etiope. L’Egitto si è opposto alla costruzione della diga, temendo che la deviazione delle acque danneggi il settore agricolo e sottragga fondamentali risorse idriche ad una popolazione in costante crescita; lo scorso agosto, sotto il governo Morsi, la tensione tra Il Cairo e Addis Abeba aveva raggiunto i livelli di guardia, quando una fuga di notizie dalla Stato Maggiore egiziano aveva mostrato la presenza di una corrente interventista che suggeriva un’azione ostile per rallentare i lavori di costruzione della Diga della Rinascita.

Indonesia

Il governo di Jakarta ha deciso, il 20 novembre, di sospendere il programma di cooperazione militare con l’Australia in seguito alle rivelazioni riguardo l’attività di spionaggio da parte dei servizi di intelligence di Canberra, che avrebbero portato, nel 2009, all’intercettazione del Presidente Susilo Bambang Yudhoyono, del Vicepresidente, Boediono, e di alcuni membri dell’esecutivo allora in carica. La decisione, giunta il giorno successivo al richiamo dell’ambasciatore indonesiano in Australia, segna una brusca interruzione delle relazioni bilaterali, che avevano già conosciuto un progressivo peggioramento a partire dallo scorso settembre. In seguito all’elezione del Primo Ministro conservatore, Tony Abbott, infatti, Canberra ha intensificato le pressioni sul governo indonesiano per limitare il flusso di migranti, provenienti dal Sudest Asiatico, dal Medio Oriente e dall’Afghanistan, che salpano dalle coste dell’Indonesia in direzione dell’Australia. L’interruzione dei rapporti militari, che dovrebbe diventare effettiva dall’inizio del prossimo anno, potrebbe andare a inficiare gli sforzi congiunti attuati proprio per far fronte al problema del traffico di esseri umani nelle acque dell’Oceano Indiano. Se confermata, infatti, la decisione potrebbe comportare anche la sospensione della collaborazione in ambito di intelligence e di condivisioni di informazioni, nonché delle operazioni congiunte delle rispettive Forze di polizia, con forti ripercussioni sulla sicurezza interna di entrambi i Paesi.

Libano

Un duplice attentato terroristico a Beirut, nei pressi dell’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran in Libano, ha causato la morte di 23 persone, tra le quali l’addetto culturale della sede diplomatica, e ferito decine di passanti. La dinamica dell’attacco ha fatto subito pensare a un’azione da parte di un gruppo qaedista: a una prima esplosione, provocata da un attentatore suicida, è seguita, con il sopraggiungere dei primi soccorsi, una seconda deflagrazione causata da un’autobomba. A provocare la maggior parte delle vittime sarebbe stata proprio quest’ultima esplosione.
L’attentato è avvenuto nel quartiere a maggioranza sciita di Bir Hassan, roccaforte di Hezbollah, ed è stato rivendicato, alcune ore dopo, dalle Brigate Abdullah Azzam, gruppo jihadista attivo in diversi Paesi della regione e legato a doppio filo ad al-Qaeda. Nel testo della rivendicazione, il gruppo ha minacciato nuovi attacchi se l’Iran e Hezbollah continueranno ad appoggiare il Presidente siriano Bashar al-Assad. Il conflitto in Siria rischia di ripercuotersi su altri Paesi della regione quanto più si caratterizza sempre più come uno scontro di matrice settaria, nell’ambito del quale l’asse sciita Teheran-Damasco-Hezbollah si trova contrapposto alle forze di opposizione sunnita, tra le quali un ruolo di crescente incisività è ricoperto da gruppi legati ad al-Qaeda.
Dopo l’attentato, il Partito di Dio libanese ha comunque fatto sapere che non rinuncerà al proprio impegno a sostegno del regime di Assad. Di fatto, tale posizione rischia di esasperare ancora di più le tensioni in un Paese, il Libano, già caratterizzato da equilibri etno-religiosi assai fragili.

Ucraina

Il 21 novembre il Parlamento ucraino ha bocciato le sei proposte di legge sulla procedura di sospensione condizionale della pena avanzate dai movimenti di opposizione per cercare di consentire al loro leader Yulia Tymoshenko, in carcere dall’agosto 2011, di recarsi in Germania per sottoporsi a trattamenti medici specialistici. Non è stata infatti raggiunta la soglia, prevista dalla Costituzione, di 226 voti a causa dell’astensione dei deputati del Partito delle Regioni del Presidente Viktor Yanukovich e del Partito Comunista guidato da Petro Simonenko, che insieme detengono la maggioranza dei seggi alla Verchovna Rada, il Parlamento ucraino.
La Tymoshenko era stata arrestata con l’accusa di aver concluso, nel 2009, un contratto per la fornitura di gas russo senza l’approvazione del Parlamento. La detenzione dell’ex Primo Ministro ucraino, tuttavia, è stato strumentalizzato dal Presidente Yanucovich per limitare l’azione politica della Tymoshenko, suo principale avversario. Con la bocciatura della scarcerazione della Tymoshenko il processo di integrazione nell’Unione Europea di Kiev è stato di fatto bloccato. Non a caso, alcune ore dopo la votazione parlamentare, il governo di Kiev ha annunciato di aver interrotto le negoziazioni per l’accordo di associazione con l’UE, preferendo implementare il processo di integrazione nell’Unione Doganale Eurasiatica, area di libero scambio a cui partecipano molti Paesi dell’ex URSS.
Bruxelles aveva posto la liberazione della leader ucraina come condizione per poter procedere alla firma dell’Accordo di Associazione a Vilnius, prevista per il 28 novembre. La decisione del Parlamento di Kiev potrebbe essere stata condizionata dall’incontro, appena pochi giorni fa, tra Putin e Yanukovich, nel quale il Presidente russo avrebbe fatto pressioni perché l’Ucraina non aderisse al partenariato con l’Unione Europea. Il 15 novembre, inoltre, la compagnia energetica statale ucraina Naftogaz ha ripreso ad acquistare gas dal colosso del metano russo Gazprom, promettendo di pagare il debito di 1,3 miliardi di dollari per le forniture da agosto ad ottobre, segnando il consolidamento dei rapporti tra i due Paesi.

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