Pirateria, il Golfo di Guinea è il nuovo hotspot mondiale
Africa

Pirateria, il Golfo di Guinea è il nuovo hotspot mondiale

Di Sara Gianesello
15.11.2020

Il 14 ottobre, l’International Maritime Bureau (IMB), istituto parte della Camera di Commercio Internazionale incaricato di prevenire il crimine marittimo, ha pubblicato il suo ultimo report sulla pirateria ed assalti armati in mare, classificando il Golfo di Guinea, l’insenatura dell’oceano Atlantico che si estende dal Senegal fino all’Angola, come il principale l’hotspot della pirateria mondiale.

La pirateria pregiudica il normale svolgimento del trasporto commerciale, in quanto interrompe la catena produttiva e commerciale internazionale, aggravando i costi dei beni scambiati e andando a danneggiare l’economia globale. Infatti, circa il 90% dei prodotti e delle materie prime commerciati nell’area dell’Africa occidentale transitano attraverso il Golfo, dove ogni giorno navigano circa 1500 tra pescherecci, petroliere e navi mercantili.

Nello scorso decennio, era il Golfo di Aden e le acque prospicenti la Somalia ad essere il principale teatro delle attività di pirateria, con l’apice raggiunto nel 2011, quando sono avvenuti 276 attacchi. In seguito, il fenomeno è diminuito drasticamente fino a scomparire virtualmente nel 2018, anno dal quale non si registrano più incidenti nella zona. Ad incidere sulla neutralizzazione del fenomeno nella regione sono state le missioni anti-pirateria Ocean Shield (NATO) e EUNAVFOR Atalanta (UE), simbolo dell’impegno internazionale nel Golfo di Aden.

Parallelamente alla diminuzione della pirateria nel Golfo di Aden, si è assistito ad una crescita sostenuta del fenomeno nel Golfo di Guinea, dove nel 2012, per la prima volta, ci sono stati più attacchi che nelle acque a ridosso della Somalia. I dati riportati nell’ultimo documento dell’IMB, il cui periodo di riferimento va da gennaio a settembre 2020, sono significativi in quanto evidenziano come il fenomeno della pirateria sia tuttora in espansione nel Golfo di Guinea. Qui infatti vi è stato un importante incremento degli attacchi e degli incidenti di pirateria (+40%) e del numero di sequestri di marinai rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per quanto riguarda l’ultimo fenomeno, oggi circa il 95% dei rapimenti mondiali a scopo di riscatto avvengono nel Golfo di Guinea, in particolare al largo delle coste della Nigeria, Benin, Ghana, Gabon e Guinea Equatoriale.

È interessante notare come questi numeri e la tipologia di attacchi registrati potrebbero indicare un cambio di strategia dei pirati, i quali avrebbero diminuito i tentativi di dirottamento di petroliere allo scopo di rivendere il greggio sul mercato nero a favore di sequestri dell’equipaggio per ottenere un riscatto. Una possibile spiegazione di questo cambiamento potrebbe trovarsi nella diminuzione del prezzo del petrolio a seguito della pandemia di covid-19, che quindi non renderebbe conveniente il contrabbando di idrocarburi tanto quanto il sequestro di esseri umani. In ogni caso, a soffrirne è principalmente l’economia degli Stati costieri africani, i quali hanno perso 2,3 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2017 a causa degli atti di pirateria.

Anche se i pirati colpiscono in diversi punti del Golfo di Guinea, il fenomeno interessa particolarmente le acque della Nigeria, dove avvengono la maggior parte dei sequestri. La Nigeria è il principale produttore di idrocarburi del continente africano e i suoi principali giacimenti sono collocati nel delta del Niger, l’area nel sud-est che comprende nove Stati federali, dove operano le più grandi multinazionali occidentali, tra cui Total, Shell, Chevron ed ENI. Nel delta del Niger si è assistito ad un inasprimento degli atti di pirateria per mano di gruppi armati, in particolare i Niger Delta Avengers (NDA) e il Movement for Emancipation of the Niger Delta (MEND), i quali assaltano le navi per impadronirsi del greggio, attaccano le infrastrutture di estrazione e rapiscono i lavoratori con lo scopo di chiedere un riscatto.

L’elevata attività di questi gruppi nell’area è spiegata dall’acuto malessere sociale e dalla situazione economica stagnante. Infatti, i profitti derivanti dalla vendita di greggio finiscono prevalentemente nelle casse del Governo centrale a scapito degli Stati federali produttori, che non solo non ricevono sufficienti introiti, ma non sono nemmeno destinatari di adeguati programmi di sviluppo promossi dal Governo. La pirateria, dunque, rappresenta un canale di sussistenza alternativo, al quale molti si sono rivolti anche in seguito all’aumento della disoccupazione, peggiorata a causa dell’attività di estrazione petrolifera che ha inquinato le acque e il suolo, compromettendo le due attività economiche principali della zona, ovvero pesca e agricoltura.

Gli atti di pirateria perpetrati nel delta del Niger danneggiano non solo l’economia nigeriana, di cui il greggio rappresenta il 98% dell’export e quasi il 75% del budget federale, ma anche quella degli attori internazionali, visto che fattori come la deviazione dalle normali rotte marittime e l’aumento dei costi delle assicurazioni navali incrementano il prezzo finale dei beni commerciati. A risentirne è ad esempio l’Unione Europea, che importa la maggior parte del greggio africano proprio dalla Nigeria, seguita da Libia e Algeria. Nel 2019, la Nigeria ha fornito 309.2 milioni di barili all’Europa, pari al 7% del fabbisogno del continente. La stessa Italia ha interessi strategici che corrispondono alle attività di sfruttamento di idrocarburi effettuato da ENI nel delta del Niger. Qui, per esempio, lo scorso anno ENI ha estratto 44 milioni di barili di idrocarburi, destinati per la maggioranza al mercato domestico, che importa dalla Nigeria circa il 6,5% del suo fabbisogno totale.

Visto l’interesse strategico verso l’area, soprattutto per il commercio energetico regionale ed internazionale, diverse iniziative sono state attuate da Paesi occidentali per prevenire e contrastare atti di pirateria. L’Italia, ad esempio, con il decreto missioni 2020, approvato dal Senato il 7 luglio scorso, ha schierato due assetti aereonavali per tutelare la libertà dei mari e garantire la sicurezza del commercio marittimo attraverso attività di contro – pirateria e sorveglianza, nonché per tutelare gli interessi strategici tramite il supporto al naviglio nazionale in transito tra Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio. I governi dei Paesi occidentali offrono poi assistenza sotto forma di capacity building, mentoring e advisoring che si concretizzano in programmi di addestramento della marina militare dei Paesi del Golfo di Guinea, ma anche in donazioni di navi e velivoli.

La presenza internazionale vuole anche supportare e migliorare la cooperazione regionale tra gli Stati del Golfo di Guinea, i quali nel 2013 hanno adottato il Codice di Condotta di Yaoundé con lo scopo di attuare misure cooperative per debellare il crimine organizzato transnazionale marittimo, con particolare focus su atti di pirateria.

Tuttavia, la cooperazione regionale potrebbe non essere sufficiente per sradicare un fenomeno che attanaglia primo fra tutti la Nigeria. I fattori che impediscono un efficace smantellamento della pirateria al largo delle coste nigeriane sarebbero molteplici. Primo fra tutti, le Forze di sicurezza nigeriane lamentano pesanti lacune capacitive e di dotazioni per garantire un pattugliamento adeguato delle loro acque, territoriali e non, che quindi diventano suscettibili alla proliferazione di crimini marittimi. In secondo luogo, nonostante la Nigeria sia stato il primo Paese rivierasco ad adottare una legge federale mirata alla soppressione della pirateria e altri crimini marittimi (Suppression of Piracy and Other Maritime Offences Act – SPOMO), l’applicazione delle nuove normative risulta complessa e difficoltosa.

Inoltre, il grave livello di corruzione del sistema militare e giudiziario nigeriano lo rende vulnerabile alle attività di pirati e criminali che spesso, dietro il pagamento di tangenti, riescono ad ottenere informazioni sulle rotte e sul carico delle navi o a far decadere le accuse contro i loro membri delle loro reti.

Ad oggi, nei Paesi rivieraschi del Golfo di Guinea e, in particolare, in Nigeria, sussistono tutti gli elementi per aspettarsi un consolidamento dell’attuale tendenza nel numero e nella tipologia degli attacchi di pirateria o, addirittura, un peggioramento.

Infatti, le condizioni economiche e sociali alla base dello sviluppo della criminalità marittima appaiono destinate a diventare più gravi a causa degli impatti deleteri della pandemia da covid-19 e della mancanza di politiche virtuose da parte del governo centrale. L’area del Delta del Niger continua ad essere caratterizzata da una profonda emergenza ambientale, legata all’inquinamento, e lavorativa, legata alla disoccupazione. In assenza di correttivi o interventi statali, tale situazione di emergenza non farà altro che aumentare il bacino di reclutamento per i gruppi pirateschi e, di conseguenza, il ventaglio delle loro attività.

Parallelamente, il supporto internazionale in termini di presenza e cooperazione multilaterale in materia di contro-pirateria appare indispensabile per mitigare il fenomeno e limitarne i danni. In questo senso, l’esempio di quanto compiuto nel Golfo di Guinea lascia ben sperare, anche se, qualora le attività piratesche dovessero ancora crescere in numero e violenza, la Comunità Internazionale e i partner degli Stati rivieraschi del Golfo di Guinea potrebbero dover rivedere a rialzo i termini del loro impegno.

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