Terrorismo, la minaccia è l'imprevedibilità_Lettera43
Il jihadismo fai da te rappresenta il rischio maggiore. E un limite per l’intelligence. Anche in Italia che si appresta a un weekend di fuoco. Lombardi direttore Itstime e Manenti del Cesi sulle possibili risposte alla minaccia Daesh.
Dopo l’attentato di Londra, rivendicato da Daesh attraverso l’agenzia Amaq, e quello fallito ad Aversa, l’allerta in Italia è massima. Anche in vista degli appuntamenti del fine settimana, tra la visita del Papa a Milano e le celebrazioni per il 60esimo anniversario della firma dei trattati di Roma. Lo spiegamento eccezionale di uomini e mezzi e l’attività costante di intelligence non possono, com’è noto, garantire la sicurezza al 100%. La guerra contro un terrorismo sempre più imprevedibile e delocalizzato è assimetrica e si sposta su più fronti. Non ultimo quello della Rete dove il sedicente Stato islamico istruisce, radicalizza, coopta nuovi aspiranti «jihadisti casalinghi». Proselitismo 2.0 come quello che diffondeva la cellula operativa tra Perugia, Milano e la Germania smantellata dalla polizia di cui facevano parte tre tunisini e un marocchino finiti in manette.
RISCHIO EMULAZIONE E JIHADISMO FAI DA TE. «Il rischio è elevato», spiega a Lettera43 Marco Lombardi, direttore del Centro sul terrorismo e sulla sicurezza Itstime della Cattolica di Milano. E non solo perché veniamo da una settimana segnata anche da due attacchi balordi in Francia tra cui quello all’aeroporto di Orly, un’escalation che potrebbe scatenare «comportamenti imitativi», ma anche e soprattutto perché «dopo l’appello di Daesh a usare qualsiasi mezzo, coltelli, truck e persino droni per attaccare l’Occidente, la minaccia è diventata diffusa, delocalizzata e pervasiva. E, quindi, imprevedibile». A questo, recentemente, si è aggiunta anche la diffusione sul web e su canali come Telegram di tutorial, training per il jihadismo fai da te. La radicalizzazione e l’auto-radicalizzazione sono quindi alla portata di tutti.
IL RITARDO CHE AIUTA L’ITALIA. Vero, continua Lombardi, «dalla nostra parte, fortunatamente, gioca il ritardo demografico». In altre parole, in Italia non abbiamo ancora le terze generazioni di immigrati, quelle più sensibili alla propaganda e alla fascinazione di Daesh. Mentre «Francia e Regno Unito hanno “allevato” i jihadisti in casa». La prima «attraverso la disintegrazione e l’assimilazione forzata» che si è rivelata un boomerang, il secondo perché «ha tollerato imam estremisti che inneggiavano alla violenza» e all’odio anti-occidentale e «aree delimitate da cartelli recanti la scritta “under Sharia law”».
L’auto del terrorista.-ANSA
Se finora l’Italia, nonostante le minacce, è stata risparmiata da attacchi diretti è anche, sottolinea il professore, grazie «alla nostra intelligence, una delle migliori in Europa. E non solo perché ha già affrontato il terrorismo nostrano degli Anni 70, ma soprattutto perché riesce a penetrare la criminalità organizzata». Una palestra senza dubbio utile, e uno sforzo di prevenzione fondamentale che però poco possono davanti all’imprevedibilità di un individuo che si sveglia e decide di compiere un atto come quello di Londra o di Orly.
PAROLA D’ORDINE: LIMITARE I DANNI. «I nostri servizi fanno tutto il possibile ma si scontrano contro questo limite oltre il quale», mette in guardia Lombardi, «non c’è intelligence che tenga». A minaccia esplosa, «le uniche risposte possibili sono prestare la massima attenzione sul territorio e reagire immediatamente» in modo da limitare i danni. Ogni individuo emarginato, con problemi psicologici, arrabbiato o mosso da motivi politico-religiosi può trasformarsi in un terrorista. Perché, tiene a precisare il direttore di Itstime, «un atto è terroristico per gli effetti che ha e non per il movente». Certo, capire come è avvenuta la radicalizzazione, aggiunge Lombardi, è necessario «per comprendere l’eventuale catena di controllo o di comando ma anche la rete e il meccanismo dell’organizzazione». Informazioni fondamentali per delineare e valutare il rischio e la minaccia a cui si è esposti.
In questo scenario, anche la teoria del “lupo solitario” assume diverse declinazioni. Il terrorista di Londra, il 52enne Khalid Massood, per esempio, ha agito sì da solo ma con tutta probabilità, come dimostrano gli otto arresti di Birmingham, poteva contare su una rete di conoscenze. «In molti casi per portare a termine un attacco terroristico», conferma a L43 Francesca Manenti, analista del Centro studi inteernazionali (Ce.S.I.), «ci si appoggia a realtà locali o piccole cellule. Un network che può coincidere con il contesto in cui è avvenuta la radicalizzazione e che permette al radicalizzato di reperire i mezzi necessari per compiere l’attentato e successivamente di nascondersi e trovare aiuto per la fuga.
IL BRAND LUPO SOLITARIO. È possibile individuare diverse tipologie del brand “lupo solitario”. Può essere un individuo borderline, con problemi psicologici, che si auto-radicalizza e reperisce autonomamente i mezzi con cui agire. Oppure, è il ragionamento di Manenti, è un singolo che però sa di poter fare affidamento su un contesto a lui solidale, che gli fornisce per esempio schede sim o un riparo sicuro. Infine c’è il lupo solitario che però viene “scelto” dall’organizzazione perché più debole o più influenzabile e mandato al massacro. Sono gli shahÄ«d, i martiri.
LA VIA DELLA DE-RADICALIZZAZIONE. Proprio per la difficile tracciabilità di questi aspiranti jihadisti, la prevenzione diventa un’arma fondamentale. Non a caso, spiega Manenti, «in tutta Europa si stanno mettendo in atto misure di de-radicalizzazione». Sia «enucleando questi contesti colpendone le componenti già radicalizzate attraverso arresti ed espulsioni, sia reintegrando nella società i soggetti che sono venuti a contatto con esponenti estremisti». Bisogna poi prestare grande attenzione, sottolinea l’analista, alle carceri «vere e proprie palestre della radicalizzazione». Come ogni altro ambiente «inquinato da sentimenti di rabbia e rancore, dove non si percepisce l’integrazione» come le banlieue parigine, per esempio. Aree di «totale estraneità al contesto valoriale europeo e occidentale», terreno fin troppo fertile per la propaganda d’odio di stampo jihadista.
Fonte: Lettera43