Striscia di Gaza, quali interessi economici?
L'Indro

Striscia di Gaza, quali interessi economici?

20.09.2017

Intervista a due esperti di politiche mediorientali, Lorenzo Marinone e Andrea Dessì

La recente apertura di Hamas all’Anp sembra essere uno dei più significativi passi verso l’attenuarsi del conflitto nella Striscia di Gaza negli ultimi anni. Fra le principali motivazioni che hanno spinto Hamas a cercare di mediare con Abu Mazen, Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, ci sono quelle legate allo stato catastrofico in cui si è trovata la Striscia, dopo la stretta sulle risorse alimentari ed energetiche che ha costretto la popolazione a condizioni di vita precarie.

Oltre le vicende politiche e belliche che riguardano questo lembo di terra, quello che spesso manca nell’analisi è l’elemento economico. Al contrario di quanto accade per gli altri conflitti in Medioriente, in cui sono i fattori legati allo sfruttamento delle risorse i veri moventi che spingono interi Paesi in guerra, la situazione a Gaza è vista esclusivamente dal suo punto di vista etnico e storico, che ritrova le cause della guerra nel conflitto di popoli arabo-israeliano.

Tuttavia, gli elementi che potrebbero ribaltare questo punto di vista ci sono. Nel 2000, Yasir Arafat andò in visita nei territori della striscia di Gaza per annunciare la scoperta di ‘un dono di Dio’, ovvero un cospicuo giacimento di gas naturale scoperto a circa 22 miglia dalla costa. L’entusiasmo iniziale di Arafat, che vedeva in questa nuova scoperta la chiave per la rinascita di una Palestina sana e forte, si è scontrato ben presto con una situazione politica complessa, in cui Israele ha giocato un ruolo cruciale nell’impedire la realizzazione dell’infrastruttura per lo sfruttamento della risorsa.

Il giacimento di gas, denominato Gaza Marine, è stato calcolato avere una capacità di un trilione di piedi cubi, e si trova in una zona facilmente raggiungibile e lavorabile, in acque tendenzialmente poco profonde. La BG Group, azienda britannica ex British Gas, fu la prima a mostrare interesse nello sviluppare un piano per l’estrazione della risorsa. La mediazione con Israele fu, tuttavia, complicata, e il gruppo rinunciò alle negoziazioni, chiudendo addirittura la sua filiale nel Paese. A riprendere le fila del discorso ci pensarono, più tardi, il Quartet Representative, l’organismo mediatore nei rapporti israelo-palestinesi, insieme agli Stati Uniti. Anche questa volta, una serie di circostanze, tra cui la cessazione dei negoziati nel 2014, un avvicinamento fra Hamas, controllore del territorio della Striscia, e Al Fatah, nonché la chiusura di Israele nei confronti di Hamas stessa, sancirono, nuovamente, il naufragio del progetto.

Abbiamo provato ad indagare se possibili interessi economici legati alla presenza di risorse energetiche nel distretto abbiano, in qualche modo, influito sulle dinamiche politiche della Striscia e chi sono gli attori oggi coinvolti, da questo punto di vista, sul territorio.

“Quando parliamo di risorse energetiche, idrocarburi e gas, in quel settore del Mediterraneo, non stiamo parlando solo di Gaza”, dice Lorenzo Marinone, esperto di politiche mediorientali del Ce.S.I., Centro di Studi Internazionali“Iniziamo col dire che la parte di giacimenti relativa alla Striscia di Gaza è minima rispetto ad altre vicine più estese, che rientrano nella sfera di Israele, Cipro, Libano, Egitto. Per la Striscia di Gaza, bisogna fare poi un’altra premessa. Qui non c’è uno Stato che detiene la proprietà delle risorse. La situazione è vincolata alle spaccature che esistono dal 2007 tra Hamas e la Cisgiordania. Queste si inseriscono inoltre nella dinamica del conflitto israelo-palestinese e in quella delle continue guerre fra Israele e Hamas in cui abbiamo assistito negli ultimi anni”.

Una situazione, insomma, particolarmente intricata, in cui, appena si tocca un filo, se ne muovono altri cento. Gli attori che ruotano attorno alla Striscia sono molteplici, e questo impedisce, sostanzialmente, alle potenze straniere di agire liberamente sul territorio.

Paesi come Russia e Cina devono per forza di cose passare da Israele”, continua Marinone. “La Russia non ha alcun interesse a intromettersi in un giacimento, comunque marginale, che possa portarla ad inimicarsi Israele. Questo perché Mosca, dalla fine della Guerra Fredda, ha sempre più approfondito il suo legame con Tel Aviv, ed è difficile che possa rinunciarvi per un progetto ad alto rischio”.

Non si intravedono, quindi, possibili scenari, neanche futuri, in cui Gaza diventa fulcro di una corsa al gas o al petrolio? “La situazione nella Striscia non è attraente per chi, comunque, ha capitale da investire in settori lucrosi come quello energetico”, sostiene l’esperto del Ce.S.I. “Anche la Cina non andrebbe mai ad intaccare la sua politica economica estera non aggressiva, facendo investimenti contro la volontà di Israele. Seppur ci siano state delle aperture, è difficile che nel corto o medio periodo la situazione possa determinare investimenti stranieri nel territorio”.

Difficile quindi che si possa verificare uno scenario in cui le risorse potenziali, di fronte alla Striscia di Gaza, possano anche essere considerate come il motore per risollevare le economie della Palestina.

“Israele impedisce alle autorità di Gaza (che non hanno comunque il sapere tecnico o il sostegno di ditte internazionali) di fare le esplorazioni”, riporta Andrea Dessì, ricercatore presso l’Istituto Affari Internazionali ed esperto di Medio Oriente. “Israele impedisce perfino ai pescatori locali di Gaza di uscire a largo della costa, figuriamoci imbarcazioni per l’esplorazione energetica. Per quanto queste scoperte possano far sperare ad un potenziale introito di risorse per Gaza e i territori Palestinesi, senza una risoluzione politica al conflitto con Israele e le rivalità interne con l’Anp di Abbas, è troppo presto parlare di queste scoperte come un potenziale ‘game changer’ per Gaza o la Palestina” .

“Sono stati spesi milioni su milioni per ricostruire la Striscia di Gaza dopo le ripetute guerre con Israele (2008/9, 2012, 2014)”, continua Dessì. “In pochi sono ora interessati ad investire nuovamente qui. Non a caso i fondi della cooperazione internazionale per Gaza sono di gran lunga inferiori alle stime promesse. C’è stata un po’ di discussione sulle potenzialità di costruire un’isola artificiale al largo delle coste di Gaza, dove verrebbe costruito un porto, un aeroporto e centrali elettriche, ma su questa idea – a dir poco ambiziosa – non può essere una soluzione di corto termine per i problemi socio-economici a Gaza”.

Non si può quindi determinare alcun interesse economico che abbia, in qualche modo, influito sugli accordi fra Hamas e Anp? “No, sono aspetti differenti e scollegati tra loro”, dice Dessì. “Non si spera di poter trarre qualsiasi guadagno energetico o economico da queste risorse nel breve, o anche medio periodo. Bisogna poi fare un’analisi anche del mercato energetico internazionale e i rapporti tra domanda e offerta.  Vi sono molti nuovi giacimenti di gas ora in azione, non è chiaro se (e quando) queste risorse possano essere estrapolate e vendute sul mercato a prezzi favorevoli (considerando i costi di esplorazione e estrazione). Sarà difficile trovare compagini internazionali pronte a prendersi il rischio di operare a largo di Gaza”.

Fonte: L’Indro

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