Il nuovo modo di seminare la paura
Proviamo anche noi a tirar fuori pensieri che abbiano un senso, benché sempre generati da quel misto di sofferenza e rabbia che dal massacro di Parigi di due giorni fa non ci lascia più, tentando di far ordine tra le mille scaglie di considerazioni affiorate nelle lunghe ore trascorse davanti alla tv, sui siti e sui giornali, cercando di saperne di più, di capire di più. Anzitutto su chi rappresentano gli autori dell’assalto al “Charlie Hebdo”.
Per Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali ci sono pochi dubbi: dobbiamo cominciare a prendere atto che a fare strage nel cuore della patria della democrazia occidentale è stato un terrorismo diverso da quello che abbiamo conosciuto finora, dalle Brigate rosse di casa nostra alla stessa Al Qaida dell’11 settembre, cellule tutto sommato limitate che hanno sempre avuto (o hanno preteso di avere) come obiettivo - oltre al metodo del terrore - quello di fare proseliti, vuoi per scardinare dalle fondamenta le istituzioni vuoi per coinvolgere le comunità islamiche immigrate. Negli ultimi mesi, le cose sono cambiate. Quel piccolo commando di assassini che ha attaccato uno dei giornali satirici più liberi e graffianti della nostra storia democratica - anche quando inneggia ad Al Qaida - è composto di miliziani di un’entità mai vista prima: uno stato che si è autoproclamato tale, il califfato dell’Isis, che ha il suo territorio tra Siria e Iraq, che governa e amministra migliaia di persone, con i suoi sindaci, il suo welfare.
A Parigi non abbiamo visto in azione kamikaze con i loro giubbetti di candelotti, pronti a farsi saltare in aria, ma veri e propri soldati di un esercito che in questi mesi ha attratto anche centinaia di europei e occidentali. Una guerra non dichiarata che ha un duplice obiettivo: consolidare - come effetto propaganda - il dominio nelle zone del califfato e, contemporaneamente, far esplodere dalle nostre parti un odio emotivo nei confronti di tutti i musulmani senza distinzioni, una guerra di religione che non faccia altro che versare nuova benzina sul fuoco: “in modo che ad odiarci alla fine”, è il timore di Margelletti, “sia la stragrande maggioranza della comunità islamica che invece è moderata”.
Come reagire allora, di fronte a una così lucida e spietata strategia di attacco a casa nostra? Margelletti va alla conclusione più logica e ambiziosa, che ha tutto il sapore di una sfida culturale e politica epocale: la risposta non può essere solo il necessario rafforzamento della sicurezza, l’ incremento della prevenzione e delle operazioni dei servizi, come quelle in corso in queste ore. E’ necessaria una politica comune, unitaria, che ancora non c’è, che cominci proprio da quell’Unione europea che in tanti anni non è riuscita a andare oltre l’euro (che pure, malgrado i noti problemi, costituisce un’intesa fondamentale). Pensiamo all’immigrazione e all’integrazione: con l’operazione “Mare nostrum” l’Italia ha salvato centinaia di migliaia di profughi da sola, senza che l’Europa abbia mosso un dito o investito un euro. E’ necessaria, al contrario, una cooperazione e un’identità di vedute anche riguardo le politiche interne nei confronti dell’immigrazione: leggi uguali per tutti, da rispettare a prescindere dal proprio credo religioso. Lo scossone dovrebbe riguardare inevitabilmente il lassismo e il cattivo esempio nelle battaglie per la legalità e la lotta alla corruzione: non posso pretendere che gli altri rispettino quelle leggi che io stesso violo. Ecco come rendere vivo, al di là del sacrosanto omaggio alle vittime di Parigi, quel “Je suis Charlie”, scandito da migliaia di manifestanti nelle piazze e rilanciato in maniera virale dalla rete. Una sfida così forte, è la conclusione del nostro interlocutore, richiede risposte altrettanto forti, coraggiose, non più rimandabili: “Chi pensa di rinchiudersi nel proprio castello sbaglia clamorosamente, i castelli non hanno mai resistito agli assedi”.