Siria e Nord Africa, i limiti della politica estera di Obama
Medio Oriente e Nord Africa

Siria e Nord Africa, i limiti della politica estera di Obama

Di Gianluigi Magri e già Sottosegretario di Stato alla Difesa del Governo Monti
11.09.2013

L’instabilità del Nord Africa e la crisi siriana hanno acuito l’immagine indecisa e contraddittoria che la Segreteria di Stato americana ha progressivamente mostrato negli ultimi anni. La politica estera di Bush, per quanto scarsamente popolare, garantiva una stabilità che l’amministrazione Obama ha minato seguendo un internazionalismo attivo le cui conseguenze finiscono paradossalmente in un maggiore interventismo. Da gendarme della pace a gendarme della giustizia: in questo modo, ovviamente, aumentano i rischi di un’escalation militare. Chi parla da anni di “nuovo ordine mondiale” non fa i conti con le quotidiane sconfitte del multilateralismo e con una logica stringente che evidenzia tutte quelle contraddizioni che rendono le Nazioni Unite poco credibili e inefficaci. Nonostante oggi tutti convengano sulla pericolosità di al-Qaeda, gli Stati Uniti non trovano sempre la necessaria solidarietà. La politica estera dell’amministrazione Obama vive tre vecchi problemi:

La politica estera degli Stati Uniti sembra tesa più a cercare partner condizionabili piuttosto che alleati che ne condividano principi e linea politica. Più che i seguaci, però, servono gli amici.

Gli USA non accelerano un dialogo costruttivo con la Federazione Russa, ma continuano a considerarla un potenziale nemico come se il mondo si fosse fermato alla dottrina Brezsinski degli anni Ottanta.

Gli Stati Uniti non accettano di considerare la Cina un avversario principalmente economico, continuando a vederne la minaccia strategica mentre prevale il condizionamento economico.

Paradossalmente, il mondo ama il sogno americano, ma la politica estera di Washington rischia l’isolazionismo proprio mentre propugna un’etica politica sovranazionale. Mentre è sempre più evidente la crisi del modello di Unione Europea, limitato da interessi economici e sostanzialmente incapace di posizioni compatte in politica estera, gli USA oggi vedono venir meno la leadership ideale che può giustificare e salvaguardare quella economica. La globalizzazione favorisce i più forti, ma garantisce anche maggiori opportunità a tutti. Le regole del gioco prevedono che i più forti debbano farsi carico di tutelare i più deboli, altrimenti non possono accampare credibilità. Per mantenere una leadership economica bisogna garantire modelli etici. È infatti in discussione anche il ruolo di Goldman Sachs, Google e degli altri “over the top” che devono spingere la politica estera americana ad una maggiore stabilizzazione degli scenari internazionali per poter mantenere un primato oggi in discussione. La partnership si rafforza anche con pazienza, dialogo e generosità. E oggi la politica estera americana non può permettersi errori di lungimiranza.

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