Mauritania: il ruolo di Abdel Aziz nella crisi del Sahel
Nella serata del 13 ottobre, il Presidente mauritano Abdel Aziz è stato ferito da un colpo di arma da fuoco, esploso nei pressi del posto di blocco di Tweila, mentre si apprestava a fare ritorno nella capitale Nouakchott. Fonti governative hanno minimizzato l’accaduto, definendolo un errore da parte dei militari della pattuglia, che non avrebbero riconosciuto il convoglio nel quale viaggiava il Presidente. La vittima, dapprima trasportata all’ospedale militare della capitale, è stata poi trasferita il giorno seguente a Parigi per ulteriori trattamenti clinici. Stando alle fonti mediche le sue condizioni non sarebbero critiche.
Ma col passare del tempo la versione ufficiale sembra essere messa in discussione. Essa non combacia in molti punti con quanto affermato da vari organi d’informazione, che hanno parlato di un vero e proprio scontro a fuoco presso il posto di blocco, con numerosi feriti e con Aziz che sarebbe stato un chiaro obiettivo dei militari.
Abdel Aziz, salito al potere nel 2008 con un colpo di stato militare, ha successivamente vinto le elezioni nel luglio del 2009, appianando le divergenze con la comunità internazionale, che aveva condannato il colpo di stato dell’anno precedente. Ricevuto l’appoggio occidentale, in particolare di Stati Uniti e Francia, ha potuto, negli ultimi anni, rafforzare il suo potere interno, trattando col pugno di ferro ogni tentativo di opposizione politica.
La funzione che la Mauritania, e il suo Presidente, svolgono nella regione del Sahel è di cruciale importanza per i Paesi occidentali. Negli ultimi anni la regione ha visto la notevole crescita dell’organizzazione di al-Qaeda, che opera nelle vaste aree desertiche di confine tra Algeria, Mauritania, Mali, Libia e Ciad. L’espansione della minaccia qaedista e la cronica turbolenza della regione sono state sfruttate da Aziz per imporsi come baluardo di fronte al pericolo jihadista, consentendogli al tempo stesso di arginare le pressioni dell’opposizione per maggiori aperture democratiche.
La militanza islamista di natura salafita in Mauritania, nella sua forma moderna, risale alla metà degli Anni ’90. In quel periodo è stata compiuta una serie di arresti da parte delle autorità ai danni di alcune organizzazioni jihadiste come Mus’ab binUmair Brigade, e al-Jihad e Hasim. Gli Anni 2000 hanno visto l’escalation delle violenze, soprattutto ad opera del movimento algerino GSPC (Groupe Salafiste pour la Prédication et le Combat), raggiungendo l’apice con l’uccisione di quindici soldati mauritani nella base di Lemgheity nel 2005. In tempi più recenti si è affermata AQIM (al-Qaeda in the Islamic Maghreb) che ha messo in atto numerosi rapimenti di cittadini stranieri, soprattutto europei, e sistematici attacchi alle forze di sicurezza.
Qualora si accettasse la versione complottista sul ferimento del Presidente Aziz, sarebbe comunque da scartare una responsabilità diretta di AQIM, che nel nord del Mali ha oramai soppiantato l’autorità del governo centrale di Bamako. Infatti, sebbene negli ultimi anni la Mauritania abbia attivamente partecipato a campagne militari, congiuntamente col Mali, volte a spezzare la resistenza islamista nell’area, ora Aziz pare disposto ad intraprendere la strada del dialogo. In recenti dichiarazioni, il Presidente ha affermato di non voler gettare il suo Paese nel pantano maliano, che potrebbe, a suo avviso, trasformarsi in un nuovo Afghanistan. In sostanza, il timore delle autorità mauritane è il contagio islamista dai Paesi vicini attraverso il rinvigorimento di cellule interne già esistenti.
L’Esercito mauritano non è in grado di gestire da solo la minaccia proveniente dai gruppi salafiti attivi nel vicino Mali. In quest’ottica l’apertura di Aziz al dialogo con AQIM sembra dunque obbligata, visto anche il recente fallimento della campagna delle forze governative maliane nella regione che ha ampiamente compromesso l’autorità di Bamako. Questa situazione porterebbe ad escludere un interesse da parte dell’organizzazione islamista ad assassinare il Presidente mauritano, ma la presenza di vari e diversificati gruppi islamisti nell’area non fornisce certezze sulla situazione.
Comunque, potrebbe apparire più probabile che la via da seguire, nella comprensione del presunto incidente del 13 ottobre, sia quella interna. La Mauritania, uno dei Paesi più poveri al mondo, sta attraversando un periodo molto complicato. Negli ultimi anni l’insoddisfazione nei confronti del Governo è cresciuta notevolmente. Esso è accusato di promuovere il razzismo e la schiavitù, di reprimere brutalmente i dissidenti e di non essere in grado di gestire la questione della sicurezza. La crisi in atto nel vicino Mali, inoltre, ha generato un flusso di 100.000 rifugiati in un territorio che già combatte la crisi alimentare.
A questo si aggiunge la cronica instabilità istituzionale del Paese, che ha visto dal 1960, anno dell’indipendenza dalla Francia, ad oggi il susseguirsi di ben undici colpi di stato, se si considerano anche quelli falliti. È quindi sostenibile l’ipotesi che, dietro ai fatti del posto di blocco di Tweila, vi siano le spinte sempre più forti dell’opposizione e una crescente insofferenza di alcuni ambienti militari marginalizzati da Aziz. Tra il 2007 e il 2008, infatti, approfittando della sua promozione a Generale, egli mise in atto un repulisti di Ufficiali e funzionari repubblicani vicini al suo predecessore Taya, rimpiazzandoli nelle posizioni strategiche con i propri pupilli.
Se sul piano interno il Governo di Nouakchott sembra essere messo in discussione, è sul piano internazionale che esso raccoglie i maggiori consensi. Sebbene non sia membro dell’ECOWAS, importante organizzazione economica regionale, il Paese possiede grandi ricchezze naturali come le miniere di oro e rame, e i pozzi petroliferi offshore di Chinguetti e Tiof, che ne fanno agli occhi dell’Occidente un importante partner commerciale.
Impegnata fin dai primi Anni 2000 al fianco degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, la Mauritania collabora con Washington in importanti campi quali la promozione dei diritti umani e la lotta alla fame. Anche la Francia è particolarmente interessata alle relazioni con il Paese africano e vede con favore una permanenza al Governo di Abdel Aziz. I rapporti con Parigi, incrinatisi nel 2008 dopo il colpo di stato, sono stati ufficialmente normalizzati nell’ottobre del 2009 in occasione di un incontro tra lo stesso Aziz e Sarkozy. A testimoniare il nuovo corso delle relazioni tra i due Paesi è stato il trasferimento del Presidente all’ospedale militare di Parigi, dove gli ha fatto visita il Ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian.
Che si sia trattato di un attentato o meno, è evidente che il Governo di Abdel Aziz stia attraversando un periodo molto delicato. La strategia del Presidente mauritano passa per una trattativa diretta con le milizie qaediste del Sahel senza pregiudicare i rapporti con l’Occidente. Il sostegno internazionale costituisce, di fatto, il pilastro della sua stabilità interna.
Nel complesso scenario dell’Africa occidentale sembrano quindi fronteggiarsi due idee contrapposte relativamente alla politica da adottare nei confronti dei miliziani islamisti. Da un lato la Nigeria è pronta all’intervento militare diretto in Mali, ma attende di ottenere un più ampio supporto politico della regione, soprattutto attraverso l’ECOWAS (Economic Community Of West African States). Dall’altro lato, Paesi come Algeria e Mauritania prediligono la via diplomatica per evitare una destabilizzazione politica interna e una degenerazione nel loro territorio degli attentati ai danni delle istituzioni.
Aziz si è reso conto che le realtà tribali presenti nel suo Paese si sposano con l’ideologia universalista di al-Qaeda. Egli punta a una riconciliazione diplomatica piuttosto che lacerare i rapporti a tutto svantaggio della stabilità nazionale, già messa in discussione dalle turbolenze di questi mesi. Peraltro, un indebolimento del suo ruolo nel Sahel potrebbe complicare la già precaria questione della sicurezza nella regione.