L’utilizzo di droni iraniani nella guerra russo-ucraina
Lo scorso 18 ottobre, il Presidente Ucraino Volodymyr Zelensky ha denunciato come la sistematica campagna missilistica russa diretta alle infrastrutture strategiche civili del Paese abbia messo fuori uso il 30% delle centrali elettriche, creando massicce interruzioni di corrente a ridosso dell’inverno. L’escalation missilistica, diretta conseguenza del sabotaggio del Ponte di Kerch da parte dei servizi ucraini, ha conferito un rinnovato vigore alla campagna aerea di Mosca e ha visto l’impiego di diverse tipologie di missili oltre che a droni forniti dall’Iran.
Accanto ai missili cruise della famiglia Kalibr (lanciabili sia da nave che da sottomarino), ai vettori aviolanciati Kh-101 e Kh-55, ai missili balistici a corto raggio Iskander e Tochka, è stata impiegata anche una ingente quota di loitering munitions (o munizioni circuitanti) Shahed-136 iraniani.
L’utilizzo di quest’ultimi, sebbene sia già avvenuto nelle precedenti settimane e quindi non rappresenti una novità assoluta, ha messo in luce diversi fattori, in primis la crescente dipendenza estera russa in materia di droni.
Sebbene l’industria aeronautica russa sia una delle poche ad essere in grado di realizzare un sistema aereo complesso in maniera completamente autonoma, nel campo dei velivoli senza pilota, in particolare quelli della categoria MALE (Medium Altitude Long Endurance), ha accumulato un crescente gap capacitivo. La cronica carenza di fondi, la corruzione endemica al Paese, il mancato accesso a tecnologie chiave e la predilezione per piattaforme manned più pesanti sono alcune tra le cause principali di tale ritardo.
Va tuttavia precisato come, nel campo dei droni tattici, la Russia si trovi a schierare sistemi di una certa valenza e comunque in parte comparabili alle controparti occidentali, come l’Orlan-10 e le loitering munitions della famiglia ZALA. Anche in questo caso, però, l’efficacia delle contromisure ucraine ne ha limitato l’impatto operativo.
Le limitate capacità industriali russe in questo campo e la ridotta presenza in servizio di droni di categoria MALE quali l’Orion, hanno fatto sì che la Russia abbia dovuto rivolgersi ai suoi alleati per rimpolpare i propri ranghi e dotarsi di capacità non ancora del tutto acquisite. L’acquisto del drone iraniano Mohajer-6 ne è la diretta conseguenza.
Il Mohajer-6 è l’ultimo drone della famiglia Mohajer. Caratterizzato da un’autonomia di 12 ore, velocità massima di 200 km/h, raggio d’azione di circa 2000 km, tangenza di 5500m e un carico utile di 40 kg, il Mohajer-6 può svolgere sia ruoli ISR (Intelligence Surveillance and Reconnaissance) che di strike al suolo grazie alla torretta elettro-ottica di cui è dotato e alla capacità di trasportare una coppia di ordigni guidati della famiglia Qaem. Almeno un esemplare risulta già essere stato perso in azione vicino a Odessa e recuperato dalle forze ucraine.
Le forniture iraniane risultano critiche anche a fronte di un altro fattore messo più volte in discussione nei mesi scorsi: la capacità di sostenere una campagna missilistica strategica contro l’Ucraina.
Per far fronte all’incapacità della propria aviazione di ottenere la superiorità aerea, dovuta principalmente a carenze addestrative, dottrinali e mancanza di munizioni guidate, la Russia ha dovuto ricorrere ad un ampio utilizzo di armi stand-off per poter colpire obiettivi sensibili nel profondo del territorio ucraino.
Ciononostante, l’uso massiccio di missili balistici e cruise aviolanciati e imbarcati non ha avuto l’effetto sperato a causa della relativa scarsa precisione degli stessi e dell’alta percentuale di fallimento al lancio e di intercettazione da parte ucraina (attorno al 40-50% secondo fonti di Kiev) per non parlare dell’alto costo unitario del vettore utilizzato rispetto al valore degli obiettivi colpiti (principalmente civili). Inoltre, le riserve di missili, da mantenere ad un livello comunque accettabile in caso di un eventuale allargamento del conflitto o per situazioni di contingenza, risultano particolarmente basse secondo numerose fonti d’intelligence occidentali, anche a fronte del regime sanzionatorio applicato alla Russia che ha impattato in maniera negativa sulle capacità produttive dell’industria bellica di Mosca.
In tale ottica, una valida alternativa è stata trovata nell’acquisto di droni iraniani del tipo “loitering munitions” Shahed-136, assetti che offrono una soluzione caratterizzata da un ottimo rapporto costo-efficacia. Questi piccoli velivoli sono molto leggeri, propulsi da un motore termico di piccola cilindrata di origine cinese e sono costituiti da materiali compositi poco costosi. Dotati di sensori di navigazione satellitare GPS (probabilmente integrati dal corrispettivo russo GLONASS) – ma non di torrette elettro-ottiche – e di una testata bellica di 50 kg, sono in grado di colpire a grandi distanze, circa 1800 km, obiettivi principalmente stazionari con sufficiente precisione. Il loro profilo di volo, a quote medio-basse, e le loro dimensioni ridotte, li rendono bersagli non semplici da abbattere per la contraerea, soprattutto se impiegati in quantità elevate e da direttrici diverse al fine di saturare le difese avversarie, in grado in tal modo di spianare la strada ai più costosi missili cruise. Gli Shahed-136, rinominati Geran-2 dai russi, sono oltretutto di facile impiego e caratterizzati da un basso costo unitario grazie alla loro semplicità produttiva e all’uso di componenti facilmente acquistabili sul mercato globale.
Acquistati a centinaia, secondo i servizi d’intelligence occidentali, e dispiegati su tutta la linea del fronte, nonché in Bielorussia, fino ad oggi hanno dimostrato di avere una discreta efficacia. A seconda dei raid, gli ucraini sostengono di riuscire ad abbattere un elevato numero di Shahed-136, anche grazie ai nuovi sistemi di difesa anti-aerea, anti-drone e anti-missile ricevuti dall’Occidente; tuttavia, un discreto quantitativo di loitering munitions riesce a bucare la rete di difesa aerea ucraina, colpendo gli obiettivi prefissati. Da sottolineare, inoltre, come tecnici iraniani sarebbero presenti in territorio ucraino per supportare le truppe di Mosca, e come diversi operatori russi sarebbero stati addestrati per settimane in Iran all’utilizzo degli stessi. Da questo punto di vista, la presenza sul campo (sembrerebbe soprattutto in Crimea) di esperti iraniani potrebbe essere finalizzata anche a comprendere meglio la reale efficacia di tali sistemi, per ricavare alcune preliminari e immediate lessons learned e perfezionare l’impiego di tali assetti, nonché per comprendere come migliorare ulteriormente le prestazioni dei droni a livello di design, ricerca e sviluppo, al fine di trasmettere tali informazioni in patria e realizzare nuove versioni più performanti.
L’utilizzo delle loitering munitions Shahed-136 si lega a doppio filo con la scelta degli obiettivi da colpire. Mediante attacchi ad infrastrutture critiche come centrali elettriche e impianti idrici i russi cercano di privare di energia elettrica e fonti di calore, nonché di acqua corrente, la popolazione civile, a scopo intimidatorio, ma anche di privare l’economia ucraina della capacità produttiva dell’industria, con specifico riguardo alle aziende della difesa, per rallentare il più possibile la produzione di nuovi sistemi d’arma e di munizioni, nonché la riparazione dei mezzi danneggiati in combattimento. L’elemento psicologico-intimidatorio, rappresentato anche dallo specifico bersagliamento di simboli nazionali ucraini, risulta dunque un fattore centrale della strategia russa. A tal fine, i droni iraniani offrono una soluzione low-cost in grado di saturare le difese anti-aeree ucraine, permettendo di colpire obiettivi civili e terrorizzando la popolazione ucraina.
In aggiunta, bisogna sottolineare che, qualora gli iraniani trasferissero il know-how tecnico relativo alla produzione di questi droni ai russi, la capacità di quest’ultimi di avviare una linea di produzione autonoma sarebbe di estremo rilievo, e potrebbe sostenere lo sforzo bellico di Mosca in questo specifico settore in maniera rilevante. L’industria russa potrebbe infatti realizzare centinaia di velivoli al mese, data la relativa facilità di produzione e i costi ridotti dello Shahed-136.
Infine, per quanto concerne Teheran, è importante sottolineare come il Paese mediorientale sia stato in grado, nel corso degli ultimi decenni, di avviare e sviluppare un importante programma nazionale per la progettazione e la costruzione di sistemi unmanned, programma le cui origini risalgono alla guerra Iran-Iraq, durante la quale venne impiegato il primo esemplare di drone suicida iraniano, l’Ababil. Nel corso degli anni, l’Iran ha continuato a investire importanti risorse in tale programma, anche come parziale alternativa alla progettazione e allo sviluppo di sistemi più complessi e costosi, come ad esempio velivoli pilotati, attività fortemente limitata dalle sanzioni occidentali. Per quanto concerne invece le motivazioni che hanno spinto l’Iran a supportare lo sforzo bellico russo, queste potrebbero essere molteplici. Innanzitutto, l’utilizzo di droni di propria fabbricazione in un conflitto ad alta intensità come quello russo-ucraino permette di validare l’efficacia sul campo dei sistemi unmanned, la loro dottrina operativa e di impiego, nonché di dimostrare al mondo le proprie capacità industriali e tecnologiche, anche in ottica di esportazione verso altri clienti. In secondo luogo, il posizionamento ideologico accanto alla Russia rafforza il messaggio e la visione a cui anche l’Iran si attiene, cioè quella di un mondo multipolare legato a valori opposti a quelli delle democrazie occidentali, in cui si cerca di instaurare un ordine internazionale alternativo a quello incentrato sugli Stati Uniti. Da ultimo, l’aiuto reso alla Russia potrebbe essere ripagato con un maggior riconoscimento sulla sfera internazionale, concessioni su dossier di interesse nazionale (come in Siria), aiuti, collaborazioni e scambi militari in settori in cui l’Iran è più carente (ad esempio l’industria aeronautica e la realizzazione e/o acquisizione a buon mercato di velivoli pilotati complessi).