Le truppe russe abbandonano Kherson
Russia e Caucaso

Le truppe russe abbandonano Kherson

Di Marco Di Liddo
11.11.2022

Il 9 novembre scorso, il Ministero della Difesa russo ha annunciato il ritiro, con effetto immediato, delle truppe dalla città ucraina occupata di Kherson e il ripiegamento sulla riva occidentale del fiume Dnipro. Kherson è il centro urbano ucraino più popoloso e ricco conquistato dai russi a partire dall’invasione iniziata il 24 febbraio, uno dei principali snodi portuali del Paese nonché un polo di valenza strategica per l’industria navale militare e civile. Le autorità russe avevano già disposto, circa tre settimane fa, l’evacuazione dei civili dalla città.

Ufficialmente, il Cremlino ha motivato la ritirata da Kherson con la volontà di evitare perdite di soldati e mezzi e di mostrare le sue buone intenzioni a negoziare un accordo con Kiev per la risoluzione delle ostilità. Tuttavia, al di là delle dichiarazioni formali, Mosca ha abbondonato Kherson a causa delle crescenti difficoltà militari incontrate sul terreno. Infatti, il basso morale delle truppe, lo scarso ricambio dei soldati lungo la linea dei combattimenti, le profonde lacune logistiche e le incrementali difficoltà di rifornimento ed equipaggiamento hanno reso Kherson un obbiettivo troppo complicato da proteggere, se non a rischio di ingenti costi militari. La ritirata sulla sponda occidentale del Dnipro, dunque, va interpretata anche come il tentativo di rafforzare le posizioni difensive lungo l’asse che conduce alla Crimea, al corridoio di Mariupol e a Zaporizhzhja. Esiste la possibilità che Mosca tema un collasso del fronte meridionale, come accaduto al fronte di Kharkiv tra fine agosto e settembre, con un effetto domino in grado di compromettere tutte le acquisizioni territoriali in Ucraina. In ogni caso, il rischio del collasso del fronte meridionale russo non è da escludere in virtù dei fattori di vulnerabilità menzionati in precedenza. Qualora questa eventualità si realizzasse, Mosca si troverebbe ad affrontare una decisione molto difficile: accettare la sconfitta e ritirarsi gradualmente dall’Ucraina, confrontandosi con i potenziali impatti politici deleteri della disfatta militare, inclusa un’ondata di profonda instabilità interna, oppure provare a limitare la controffensiva ucraina con ogni mezzo, inclusa l’arma tattica nucleare.

Parallelamente, la Russia deve confrontarsi con una situazione strategica sfavorevole che potrebbe compromettere i piani di gestione del conflitto elaborati a fine estate. Infatti, la stabilizzazione del mercato e il crollo dei prezzi del gas hanno ridimensionato i proventi russi, mentre il caldo ottobre continentale ha permesso ai Paesi europei di riempire i siti di stoccaggio di idrocarburi, diminuendo le vulnerabilità energetiche nel breve periodo. Inoltre, l’autunno caldo e il ritardo nell’arrivo della stagione fangosa (Rasputitsa) in Ucraina non ha rallentato le operazioni di controffensiva delle truppe di Kiev, mantenendo costante la loro pressione a sud. In ultima istanza, le elezioni statunitensi non hanno prodotto quel trionfo del Partito Repubblicano a cui Mosca vedeva con la speranza di una diminuzione dell’impegno di Washington a supporto della resistenza Ucraina.

Sotto il profilo politico e d’immagine, la ritirata russa da Kherson è una profonda sconfitta. Infatti, oltre ad essere la principale città conquistata dai russi, Kherson è il capoluogo dell’omonimo oblast che Mosca aveva annesso illegalmente dopo i referendum farsa dello scorso settembre. Quindi, sotto il profilo giuridico e politico russi, Mosca ha abbandonato una città che considera sotto la propria sovranità e parte del proprio territorio nazionale.

Nel prossimo futuro, occorrerà verificare quanto la consapevolezza delle difficoltà militari possa spingere la Russia verso il negoziato con Kiev. A riguardo, bisogna vedere quali saranno le richieste minime russe (Crimea, corridoio di Mariupol, neutralità ucraina) e se coincideranno con le aspettative ucraine che, ad oggi, continuano ad essere la piena liberazione del territorio nazionale, l’ingresso della NATO e nell’UE. Sullo sfondo resta la volontà degli Stati Uniti che, in oltre 6 mesi di conflitto, sono riusciti già ad ottenere quattro risultati strategici: allargare la NATO con l’ingresso di Finlandia e Svezia, compromettere le vendite energetiche russe in Europa, indebolire la macchina economico-militare russa ed evidenziarne i limiti agli occhi del mondo, dimostrare che l’ordine globale a guida statunitense non è semplice da sovvertire. Da verificare è se Washington si “accontenterà” di obbligare la Russia ad un conflitto congelato con l’Ucraina per i prossimi decenni oppure vorrà imporre a Mosca una sconfitta diretta ed inequivocabile manifestatasi con il ritiro completo dal territorio ucraino.