Le dinamiche del mercato del cobalto: evoluzioni e prospettive
Geoeconomia

Le dinamiche del mercato del cobalto: evoluzioni e prospettive

Di Davide Maiello
10.02.2025

Nel mese di gennaio, il prezzo del cobalto ha toccato il livello più basso dal 2016, scendendo a 21.550 dollari per tonnellata (USD/T), ben al di sotto degli 82.000 USD/T registrati a metà 2022. Questo crollo è il risultato di un eccesso di offerta senza precedenti, alimentato dall’espansione dell’estrazione in Indonesia e nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) a seguito di pressioni cinesi, il cui obiettivo è aumentare la produzione delle proprie aziende. Tali dinamiche impattano sull’intero settore minerario e sulle applicazioni industriali del metallo, fondamentale per la produzione di batterie ricaricabili, leghe ad alta resistenza e numerosi prodotti chimici, come i fertilizzanti.

A tal proposito, sebbene il maggior produttore mondiale sia la Repubblica Democratica del Congo, con una quota attorno al 70% dell’estrazione mondiale, le imprese cinesi controllano quasi tutte le principali miniere operative del Paese, in maniera diretta o tramite partecipazioni significative. In particolare, la società cinese CMOC ha più che raddoppiato la propria produzione negli ultimi anni, superando Glencore, azienda anglo-svizzera, come leader globale del settore e consolidando ulteriormente l’influenza di Pechino nel mercato congolese del cobalto. Un discorso analogo si può estendere anche all’Indonesia, oggetto di ingenti finanziamenti e che ha visto crescere rapidamente la propria produzione di cobalto, ottenuto come sottoprodotto dell’estrazione del nichel, di cui è il principale estrattore. Nello specifico, Giacarta si è affermata come secondo produttore mondiale, alle spalle della RDC, e diverse stime indicano che la sua produzione continuerà ad aumentare ad un ritmo del 41% all’anno fino al 2027.

Un simile incremento dell’offerta, tuttavia, non è stato accompagnato da una proporzionale crescita della domanda, specialmente nel settore dei veicoli elettrici, che ha registrato un significativo rallentamento rispetto alle previsioni iniziali. In particolare, la quota di mercato delle auto elettriche è scesa dal 21,8% dell’agosto 2023 al 16,6% dell’agosto dell’anno successivo. Tale situazione ha accentuato il crollo dei prezzi del metallo, tra le cui cause rientra anche l’emergere di tipologie di batterie alternative che non prevedono l’utilizzo del cobalto. Si tratta dei modelli al litio, ferro e fosfato (batterie LFP), i quali hanno un funzionamento analogo alle classiche batterie agli ioni di litio, ma utilizzano materiali meno costosi e più facili da reperire. Anche in questo caso, la Cina ne è attualmente il maggior produttore e utilizzatore.

Tale commistione di eventi potrebbe far sì che l’eccedenza di offerta duri almeno fino al 2028, contribuendo alla strategia cinese di consolidare il proprio controllo sul mercato del cobalto. In un simile contesto, infatti, Pechino sarebbe grado di esercitare una forte pressione sui concorrenti, poiché il crollo dei prezzi rende meno sostenibili le operazioni di estrazione per altre aziende, specialmente quelle con costi di produzione più elevati e che non possono beneficiare massicciamente di sussidi statali. Pertanto, è lecito attendersi che molte società decidano di non entrare affatto nel mercato, mentre quelle che già vi fanno potrebbero ritrovarsi costrette a ridimensionare le proprie attività o addirittura ad interromperle. Ciò offrirebbe alle aziende cinesi l’opportunità di acquisire miniere e asset a prezzi vantaggiosi, ampliando ulteriormente il loro controllo sulla produzione globale. Un ulteriore vantaggio di cui la Repubblica Popolare avrebbe modo di beneficiare è collegato alla posizione di rilievo che quest’ultima occupa nella filiera delle batterie e nella raffinazione del cobalto. In tal senso, un prezzo basso del metallo ne ridurrebbe i costi di lavorazione, migliorando la competitività delle aziende cinesi sui mercati globali.

Dato un simile scenario, l’approccio strategico adottato da Pechino nel mercato del cobalto, in linea con quanto fatto in precedenza per il nichel e per il litio, potrebbe essere replicato anche con altre risorse minerarie cruciali per le tecnologie del prossimo futuro, specialmente in quei mercati (come le terre rare) in cui la Cina mira a mantenere una sorta di monopolio. D’altro canto, occorre ricordare come la Repubblica Popolare abbia spesso utilizzato anche un approccio votato alla limitazione dell’export di determinate materie prime critiche (gallio, germanio e antimonio) verso Paesi considerati ostili. Tuttavia, più che rispondere ad una strategia di lungo periodo, simili iniziative sono state per lo più legate alla necessità di reagire alle restrizioni imposte da Washington nel settore tecnologico e industriale, in una dinamica dettata dalle tensioni commerciali con gli Stati Uniti e i suoi alleati. Una costante limitazione dell’export, infatti, potrebbe rivelarsi controproducente nel medio-lungo termine, poiché darebbe impulso ai processi di diversificazione delle catene di fornitura occidentali riguardo determinate risorse, per le quali il blocco Euro-Atlantico è ancora fortemente dipendente da Pechino. È verosimile che un eventuale rialzo dei prezzi derivante dalle restrizioni avrebbe l’effetto di spingere nuovi attori ad entrare nel mercato estrattivo, attratti dalla prospettiva di ammortizzare più rapidamente i costi iniziali e supportati da politiche governative volte a rafforzare la propria resilienza nell’approvvigionamento di materie prime critiche.

Dal momento che, di contro, la Cina trae un considerevole vantaggio nel mantenere i Paesi occidentali ancorati alle proprie risorse, è lecito attendersi che questa continui ad adottare una strategia basata sull’alternanza tra restrizioni all’export e aumenti della produzione, inondando periodicamente i mercati per scoraggiare investimenti in alternative e consolidare il proprio primato nel settore.