La resilienza dell’economia russa nel biennio 2023-2024
A partire dall’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022, la Russia è stata colpita da sanzioni finanziarie ed economiche su più livelli sia dagli Stati Uniti sia dall’Unione Europea. Nonostante la loro applicazione abbia portato ad una contrazione del prodotto interno lordo russo del -2,1% nel 2022, nel 2023 la crescita economica russa ha superato quella statunitense ed europea, grazie ad un aumento del PIL del 3,6%.
A spiegare la ripresa dell’economia russa nel corso del 2023 concorrono diversi fattori. L’efficacia delle sanzioni occidentali è diminuita con il tempo, a fronte della capacità russa di trovare soluzioni e mercati alternativi, specialmente in Cina, India e Turchia. Caso emblematico è stato l’applicazione del price cap imposto dai Paesi del G7 sulle importazioni russe di greggio estratto in mare a partire da dicembre 2022, così come il divieto dell’Unione Europea di introdurre i prodotti petroliferi russi nei suoi mercati a partire da febbraio 2023. In questo contesto, la strategia delle “flotte ombra” ha permesso alla Russia di trovare vie alternative di trasporto per il petrolio, tramite l’utilizzo di navi obsolete che non godono di alcuna certificazione o assicurazione.
Inoltre, l’aumento del prezzo di gas e petrolio e la rivalutazione del rublo si pongono come concause della resilienza dell’economia russa. Decisiva è stata la strategia di de-dollarizzazione di Mosca che, tramite l’intensificazione dei legami commerciali ed economici con Nuova Delhi e Pechino (il 90% degli export russi di petrolio sono diretti ai due Paesi), e l’utilizzo massiccio dello yuan nelle transazioni rispetto al dollaro, è riuscita a eludere il congelamento delle proprie riserve in valuta estera.
L’economia russa è stata, pertanto, trainata principalmente dal mantenimento della produzione energetica su valori anteguerra e dalle ingenti spese militari, che a loro volta sono state finanziate dalle forniture di combustibili fossili. L’incremento della spesa militare delinea, nel caso di specie, l’economia russa come una di guerra. In riguardo a ciò, nel 2024 Mosca investirà 110 miliardi di euro, cioè il 6% del suo PIL, in spesa per la difesa. In tal senso, si è parlato di keynesismo militare per definire la situazione presente dato l’utilizzo delle spese militari come strumento di politica fiscale macro, funzionale ad una crescita economica.
Si osservano in questo quadro un aumento della spesa e una conseguente stimolazione della domanda interna, nonostante vi siano una drastica riduzione della forza lavoro nel Paese e una serie di limitazioni alla produzione dovute alle sanzioni, specie sui beni di alta tecnologia. Nel caso particolare, alti livelli di produzione, specie militari, sono accompagnati da un calo dei consumi: esperti hanno paragonato tale situazione a quella propria dell’Unione Sovietica. Stando alle dichiarazioni della Banca Centrale Russa (CBR) e del Ministero delle Finanze, infatti, l’economia sarebbe in fase di surriscaldamento a causa della combinazione di stimoli fiscali e mancanza di capacità produttiva inutilizzata.
Questo contesto, probabilmente potrebbe condurre a delle ripercussioni sul lungo periodo. Per quanto concerne, invece, il rischio immediato portato dalla militarizzazione dell’economia russa è l’inflazione, oggi superiore al 7%. Un altro effetto secondario è la diminuzione del tenore di vita della popolazione russa. Per sostenere un tale sforzo militare, infatti, si sono rese necessarie tasse straordinarie sulla popolazione, aumenti salariali per gli impiegati dell’industria bellica e un aumento del personale del settore, che ha portato ad una diminuzione record della disoccupazione.
Sanzioni economiche considerevoli hanno interessato anche il sistema bancario. Decisiva è stata al riguardo l’estromissione di diverse banche russe e bielorusse dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT. Una variabile fondamentale nell’analisi dell’economia russa odierna è data dal congelamento da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati di 300 miliardi di dollari di asset della CBR in Occidente. In particolare, tali beni sovrani sono bloccati per due terzi nell’UE e, per la parte rimanente, in altri Stati membri del G7 e in Australia. Per far fronte a ciò, il Fondo Nazionale di Benessere russo, che rappresenta un fondo sovrano costituito da denaro spesso proveniente da eccedenze di riserve nazionali, ha raggiunto dal primo febbraio di quest’anno 11.922 triliardi di rubli, diminuendo pertanto di 42.704 miliardi di rubli nello stesso mese. Il dato è rilevante, in quanto dimostra che il governo russo ha ricorso a oltre la metà delle riserve disponibili del Fondo a partire dall’invasione dell’Ucraina nel 2022. Tali asset liquidi sono stati impiegati per ridurre il disavanzo di bilancio e supportare le proprie compagnie nazionali.
Viceversa, Mosca ha avviato una serie di contro-sanzioni. Rilevante è la minaccia da parte russa di nazionalizzazione di imprese estere nel Paese. Inoltre, sono stati introdotti controlli valutari sulle transazioni commerciali e controlli sui movimenti di capitale sui pagamenti all’estero. Al riguardo, gli esportatori russi impiegati nei settori energetico, metallurgico, agricolo, chimico e forestale devono convertire le loro entrate valutarie in rubli.
L’andamento positivo dell’economia russa si comprende anche alla luce della cooperazione con Pechino. Nella fattispecie, da gennaio a novembre del 2023 il commercio bilaterale tra Russia e Cina è valso oltre 200 miliardi di dollari. Da un lato, Mosca ha venduto gas naturale e petrolio a Pechino a un prezzo fortemente scontato: tale aspetto ha peraltro permesso alle fabbriche cinesi di giocare un ruolo più significativo nella competizione nei mercati internazionali. Dall’altro lato, la Cina si è posta come fornitore sostituto di beni per la Russia, colmando un bisogno significativo di import di questa. Malgrado ciò, una minaccia significativa proviene dagli Stati Uniti, che hanno esplorato la possibilità di imporre sanzioni alle compagnie cinesi accusate di aiutare Mosca nel fomentare ulteriormente la guerra.
In questo quadro, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede un tasso di crescita dell’economia russa del 2,6% per il 2024; al contempo, la Banca Mondiale prevede una crescita del PIL del 1,3% per il 2024 e dello 0,9% per il 2025. Altresì, è plausibile prevedere una diminuzione dell’inflazione del 6,5% nel 2024 e del 4,5% nel 2025.
Tuttavia, l’inflazione, l’aumento dei tassi di interesse e la difficoltà di sostituzione dei mercati europei sono fattori che probabilmente concorreranno a diminuire la domanda domestica. Stando alle considerazioni della Direttrice Generale del FMI, Kristalina Georgieva, l’economia di guerra russa è instabile a causa dei deflussi di persone e della scarsa innovazione nel settore tecnologico. L’inflazione ad oggi resta elevata, e la CBR pare che manterrà gli elevati tassi di interesse in vista delle prospettive per l’evoluzione dei prezzi. È prevedibile, inoltre, un indebolimento del rublo alla luce della svalutazione dello stesso.
A tale riguardo, Mosca sembra intenzionata a perseguire delle politiche mirate a un equilibrio di bilancio entro il 2025. L’obiettivo sarebbe quello di regolare il livello di spesa pubblica, affinché essa sia sufficiente a mantenere una domanda domestica accettabile. Infatti, i deficit di bilancio, oltre a tradursi necessariamente in un aumento del debito, graverebbero sulle generazioni future. Ciononostante, l’adozione di misure drastiche per ottenere un generale pareggio di bilancio potrebbe ulteriormente esacerbare l’economia nazionale russa.