La posizione dell’Iran nel contesto dell’escalation militare in Medio Oriente
Asia e Pacifico

La posizione dell’Iran nel contesto dell’escalation militare in Medio Oriente

Di Tiziano Marino
27.09.2024

Nelle ore in cui le Forze di Difesa Israeliane (IDF) conducono bombardamenti su vasta scala in territorio libanese contro le postazioni di Hezbollah, anche in vista di una potenziale operazione di terra nel sud del Paese dei Cedri, l’Iran sembra aver optato per una posizione di relativa cautela che esclude, almeno nel breve, qualsivoglia coinvolgimento militare diretto. Tale posizionamento, nel cui contesto rientra anche la finora mancata ritorsione per l’uccisione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, appare legato ad alcune valutazioni essenziali.

Anzitutto, malgrado le pressioni dei settori più radicali e intransigenti dell’establishment, in Iran sembra prevalere la volontà di mantenere il conflitto lontano dai confini nazionali. Proprio per questa ragione, negli anni la Repubblica Islamica ha lavorato alla costruzione di una rete di milizie utili, anche e soprattutto, a limitare i danni di uno scontro militare diretto contro Israele, che produrrebbe conseguenze imprevedibili soprattutto sul fronte interno. In secondo luogo, un pieno coinvolgimento negli avvenimenti in corso chiamerebbe verosimilmente in causa gli Stati Uniti, producendo dunque un effetto contrario a quello che gli iraniani mirano ad ottenere dal 7 ottobre 2023, ossia lo sfaldamento del fronte di supporto a Israele e dunque il suo isolamento internazionale. In terzo luogo, un impegno diretto nel conflitto si scontra con le priorità del nuovo Governo iraniano, che punta a riaprire il dialogo con gli attori del blocco Euro-Atlantico in merito al dossier nucleare, al fine di ottenere un allentamento delle sanzioni imposte al Paese. Questo proposito era stato ampiamente annunciato dal Ministro degli Esteri iraniano Seyed Abbas Araghchi, che fu tra gli artefici del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), ed è stato poi ribadito nel suo discorso ufficiale alla 79sima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite anche dal Presidente della Repubblica Islamica, Masoud Pezeshkian. Su quest’ultimo elemento, si segnalano gli incontri avvenuti tra la delegazione iraniana presente a New York e le controparti britanniche, il Presidente francese Emmanuel Macron e l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell. Sul tema, si ricorda anche come nei mesi precedenti all’attacco di Hamas del 7 ottobre, il dialogo in merito a un potenziale nuovo accordo tra USA e Iran era ripreso, seppur lontano dai riflettori. Gli avvenimenti successivi, tuttavia, hanno prodotto un sostanziale stallo che ora Teheran mira a sbloccare. L’obiettivo della diplomazia iraniana, comunque sempre schierata al fianco degli attori impegnati a combattere Israele, Hezbollah in testa, potrebbe essere quello di raggiungere un nuovo ampio accordo sul nucleare di lunga durata o potrebbe anche limitarsi a puntare ottobre 2025, quando è prevista la scadenza della risoluzione del Consiglio di Sicurezza sul JCPOA.

Strettamente legato al dossier sul nucleare è anche il ruolo di Hezbollah nel calcolo strategico iraniano. Il Partito di Dio, guidato da Hassan Nasrallah, infatti, rappresenta da tempo la principale risorsa della Repubblica Islamica in caso di attacco di Tel Aviv contro postazioni legate allo sviluppo del programma nucleare. Anche nella consapevolezza di ciò, la leadership israeliana prova da tempo a disarticolare e degradare la capacità militari della milizia libanese, così da tutelarsi a sua volta nel caso di escalation con l’Iran. In questo contesto, seppur profondamente preoccupati per i duri colpi subiti dall’organizzazione, Teheran non ritiene probabile una sconfitta totale di Hezbollah e resta convinto della sua capacità di riorganizzare il network di milizie, sia in Libano sia nella regione, al termine delle ostilità. Così come evidenziato in maniera cristallina dal movimento talebano in Afghanistan, infatti, determinate realtà appaiono in grado di rigenerarsi anche dopo sistematiche operazioni contro i vertici politici e militari. Ciò avviene anche perché determinati attori non statali sono il prodotto delle condizioni di difficoltà strutturali di territori complessi come quello libanese, oltreché di spinte ideologiche e religiose che, paradossalmente, si alimentano proprio grazie alle operazioni militari portate avanti contro di loro. Diversa, in questo caso, appare la valutazione politica israeliana che punta a rendere Hezbollah, così come Hamas, non più in grado di rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale, almeno nel breve-medio periodo.

Sul tema, è anche rilevante ricordare come negli anni gli iraniani si sono dimostrati in grado di volgere a proprio favore situazioni complesse e di fare leva sul rancore delle popolazioni colpite da lunghe campagne militari. Anche in questo caso, dunque, appare lecito ritenere che Teheran entrerà in gioco in maniera diretta solo al termine delle ostilità, cercando di trasformare in consenso la frustrazione e l’assenza di prospettive di quanti sono rimasti vittime del conflitto nei territori palestinesi, così come in Libano. Viceversa, dovrebbe rimanere saldo il supporto militare iraniano ad Hezbollah; l’obiettivo di breve termine resta per Teheran quello di un cessate il fuoco a Gaza e in Libano, che verrebbe prontamente pubblicizzato come un successo politico e diplomatico. Non meno rilevante, a tal proposito, appare l’assenza di una strategia israeliana di lungo periodo per la popolazione palestinese e per il sud del Libano, aspetto che interessa particolarmente gli iraniani pronti a inserirsi nel vuoto politico che potrebbe presentarsi al cessare delle ostilità.

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