La Libia dopo il mancato voto: quali prospettive?
Medio Oriente e Nord Africa

La Libia dopo il mancato voto: quali prospettive?

Di Elia Preto Martini
24.01.2022

Durante una sessione parlamentare tenutasi lunedì 17 gennaio, il Capo dell’Alta Commissione Elettorale Nazionale libica (HNEC), Emad al-Sayeh, ha dichiarato che le elezioni presidenziali e parlamentari, originariamente previste per il 24 dicembre 2021, non si terranno non prima di sei-otto mesi. Le elezioni erano state formalmente posticipate a data da stabilirsi per motivi legati all’incapacità dell’HNEC di pubblicare la lista finale dei candidati legittimati a prendere parte alla competizione elettorale.

Le cause che hanno portato a posticipare le elezioni non sono però limitate alle semplici questioni burocratico-amministrative. È infatti possibile individuare almeno tre macro-problemi che hanno impattato negativamente sul processo democratico libico. In primo luogo, la legge elettorale del Paese formalmente modulata sulla proposta di Aguila Saleh è stata fortemente criticata da molti candidati mentre molte perplessità sono state sollevate riguardo ai poteri che verranno attribuiti al futuro Presidente e al Parlamento una volta eletti.

In secondo luogo, la Libia continua ad essere frammentata da un punto di vista militare e politico. Nella parte orientale e meridionale del Paese sono stanziate le milizie di Khalifa Haftar, il Generale sostenuto da Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, mentre nella parte occidentale sono presenti le forze locali supportate dalla Turchia. Inoltre, una serie di gruppi armati dislocati in diverse aree contestano apertamente il ruolo di questi due centri di potere, portando avanti le proprie rivendicazioni politiche e strategiche.

Infine, alle elezioni avrebbero probabilmente partecipato una serie di candidati fortemente contestati. La personalità più conosciuta a livello internazionale è certamente quella del generale Haftar, noto per il suo ruolo all’interno della guerra civile alla guida dell’Esercito Nazionale Libico. Oltre a lui ha avanzato la propria candidatura anche Saif al-Islam Gheddafi, figlio del Colonnello Muammar Gheddafi, accusato dalla Corte Internazionale di Giustizia di crimini contro l’umanità e condannato a morte da un tribunale di Tripoli nel 2015 con l’accusa di aver istigato all’omicidio e allo stupro. Inoltre, anche l’attuale Primo Ministro ad interim, Abdul Hamid Dbeibah, insediatosi a seguito di un processo guidato dalle Nazioni Unite, ha annunciato di voler partecipare alle elezioni nonostante nel suo mandato fosse esplicitamente proibita una sua eventuale corsa per la Presidenza.

Alla luce di questi elementi, è doveroso sottolineare il fatto che il processo di transizione libico presenta ancora notevoli debolezze strutturali e che è difficile trovare dei presupposti adeguati per andare ad elezioni libere e trasparenti, almeno nella forma intesa dalla Comunità internazionale. È presumibile, invece, che se mai il processo verrà rafforzato nelle sue fondamenta esso potrebbe conoscere l’iter elettorale solo dalla seconda parte del 2022, sempre che le varie parti in gioco riescano a definire delle condizioni minime legali e di sicurezza atte a stabilizzare il contesto e a legittimare il sistema politico utilizzando strumenti più inclusivi e partecipativi. Per questo motivo, la sfida più grande nell’immediato futuro non consiste tanto nell’esecuzione formale dei processi di voto, quanto piuttosto nel riuscire ad esprimere candidati riconoscibili e legittimati dall’intera popolazione. Nel caso in cui però i tentativi di costruire un ampio consenso attorno al processo elettorale dovessero fallire nuovamente, allora non sarebbe da escludere un ritorno alle armi, seppur con modalità e toni non meno preoccupanti rispetto a quelli vissuti nel recente passato.

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