In Libia torna il petrolio, non la pace: cosa aspettarsi dalla nomina del nuovo governatore della Banca Centrale?
Medio Oriente e Nord Africa

In Libia torna il petrolio, non la pace: cosa aspettarsi dalla nomina del nuovo governatore della Banca Centrale?

Di Andrea Fusco
08.10.2024

Il teatro bellico mediorientale rischia di oscurare un’importante novità per il quadrante mediterraneo e nordafricano: dopo una crisi durata poco più di un mese la Banca Centrale Libica (LCB) ha un nuovo Governatore, Naji Mohamed Issa Belqasem. L’accordo mediato dalla Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) tra i membri dell’Alto Consiglio di Stato a Tripoli (HCS) e della Camera dei Rappresentanti legati al governo di Bengasi-Tobruk (HoR), ha aperto la strada per l’insediamento ufficiale dell’ex Direttore del Dipartimento di vigilanza monetaria e bancaria alla guida della principale istituzione economica del Paese.

La rilevanza di questa nomina è legata all’annuncio dell’immediata riapertura dei principali giacimenti petroliferi, tra cui Sharara, el-Feel ed es-Sider. Il legame tra i due eventi va letto ripercorrendo gli avvenimenti del mese di agosto, in cui il cessate il fuoco del 2020 e gli accordi sulla ripartizione delle entrate petrolifere del 2022 stavano per sfumare definitivamente per aprire ad una nuova fase di conflitto tra i governi di est e ovest. Al centro della disputa era proprio la figura del Governatore della Banca Centrale Libica, organo deputato alla distribuzione dei proventi economici derivati dall’esportazione di petrolio, oltre ad essere incaricato all’erogazione di fondi diretti al Governo di Unità Nazionale (GNU) di Abdul Hamid Dbeibah e (ufficiosamente) al non riconosciuto Governo di Stabilità Nazionale (GNS) dell’est, supportato dalle forze dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del Generale Khalifa Haftar.

A metà agosto l’edificio della LCB è stato circondato dai gruppi armati affiliati a Dbeibah per chiedere la rimozione del decennale Governatore Sadiq al-Kabir, accusato di un eccessivo sbilanciamento in favore del GNS; i rapporti tra quest’ultimo e il Premier del GNU sono degenerati nel corso del 2023, dal momento che l’ex Governatore della LCB aveva parzialmente bloccato i fondi destinati alle casse di Tripoli, accusando quest’ultimo di un’eccessiva spesa rispetto alle disponibilità statali e congelando di conseguenza stipendi di funzionari e milizie legate a Dbeibah. Il punto di rottura che ha spinto all’esautorazione forzata di al-Kabir con l’avallo formale del Consiglio Presidenziale, sembra ruoti intorno al tacito consenso dell’ex Governatore della LCB a un’imposta del 27% sull’acquisto di valuta estera promosso dallo Speaker della HoR, Aguila Saleh, seguito dall’approvazione di un importante budget finanziario stabilito unilateralmente a luglio dallo stesso organo parlamentare allineato al GNS.

Fino a pochi giorni fa era in vigore la chiusura dei principali porti e giacimenti petroliferi della Cirenaica, che ha più che dimezzato la produzione della principale entrata del paese minando significativamente la stabilità economica statale nel mese di settembre. Una misura formalmente adottata dal governo di Bengasi, ma implementata sul piano fattuale dal generale Haftar, protagonista all’ombra del governo orientale, che continua a giocare un ruolo personale in questa complessa partita e attraverso l’occupazione militare degli snodi petroliferi ha la capacità di paralizzare il sistema economico del Paese, come accadde nel 2022 durante la negoziazione per stabilire la guida della NOC (National Oil Company). Per provare a interpretare lo scenario apertosi con l’arrivo di Naji Issa dopo la rimozione di Kabir, può risultare utile unire elementi legati alla precedente crisi succitata e l’attuale panorama politico interno e internazionale. Dall’accordo sul profilo di Farhat Bengdara al vertice della NOC, la principale compagnia che insieme alla LCB è responsabile dell’afflusso economico derivante dalla vendita del petrolio, l’ago della bilancia si è progressivamente spostato verso il clan Haftar e a Bengasi. Durante questi anni di fragile tregua, il Generale ha esteso la sua influenza nel Paese insieme ai propri alleati, primi tra tutti i figli Belqasem e Saddam, unendo alla forza militare un complesso reticolo di operazioni economiche opache legate a imponenti progetti infrastrutturali che hanno fruttato l’afflusso di miliardi nelle casse della famiglia Haftar. Sul versante opposto di Tripoli, dove esiste parimenti un complesso sistema di nepotismo e clientelismo alimentato dalla gestione di fondi e nomine da parte di Dbeibah e il nipote Ibrahim, la disponibilità economica per pagare stipendi e spese per alimentare la macchina statale ha subito un rilevante rallentamento, aggravato dalla riduzione della produzione petrolifera dovuta alla crisi da poco appianata, che ha innalzato il malumore di commercianti e milizie vicine al GNU.

Allo squilibrio di cassa tra le parti si aggiunge una riconfigurazione d’interessi degli attori esterni, in cui il recente riavvicinamento tra Turchia ed Egitto, rispettivamente alleati di Tripoli e Bengasi, seguito da rilevanti investimenti di Ankara nei progetti di ricostruzione nella zona orientale, potrebbe non assicurare il grado d’impegno turco nel sostenere la difesa di Tripoli da un eventuale tentativo di imbracciare le armi da parte di Haftar, come accaduto nel 2020. Inoltre, il Generale continua a beneficiare del supporto militare di Mosca, che oltre a usufruire del canale sudoccidentale libico per la penetrazione in Africa potrebbe trarre profitto nella destabilizzazione del fianco meridionale dell’Alleanza Atlantica.

La nomina di Naji Issa, in conclusione, è improbabile che possa essere valutata come un primo passo verso un processo di avvicinamento pacifico tra le parti. L’attuale scenario assomiglia più a una tregua alla quale il governo di Tripoli, in primis lo stesso Dbeibah, potrebbe aver aderito per stretta necessità sull’orlo di una crisi economica diffusa. Il nuovo Governatore della LCB, completata la transizione con la nomina del Consiglio di Amministrazione, opererà in un clima politico frammentato che all’orizzonte non esclude un nuovo capitolo di recrudescenza del conflitto, in un Paese dove tra personalismo, corruzione e perdita del monopolio della violenza legittima in un centro stabile, non è escluso l’avvento dell’ennesima crisi energetica e migratoria nel Mediterraneo.

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