La Libia alle urne in un clima di profonda incertezza
Medio Oriente e Nord Africa

La Libia alle urne in un clima di profonda incertezza

Di Lavinia Pretto
07.12.2021

A meno di un mese dalle elezioni, la Libia sta vivendo forti tensioni politico-istituzionali che potrebbero far ritardare il voto o, nel caso peggiore, sfociare in ondate di violenza. Nonostante il 24 dicembre sia la data designata per celebrare le elezioni presidenziali e parlamentari, così come stabilito a gennaio dalla road map stabilità durante il Libyan Political Dialogue Forum (LPDF), sorgono diversi dubbi sull’effettiva capacità del Paese di rispettare le tempistiche concordate. Tra i principali ostacoli che impedirebbero un regolare svolgimento delle elezioni rientra la questione legata alla cornice legale entro la quale dovrebbero effettivamente tenersi. Difatti, il processo elettorale imposto unilateralmente dal Parlamento della Cirenaica sotto la spinta dello Speaker della Camera, Aguila Saleh, rischia di essere incompleto e contradditorio, portando le istituzioni ad essere consumate da lotte intestine e fazionalismo politico. Mentre il primo turno delle presidenziali ha tempistiche ben definite, le date del secondo turno e delle votazioni parlamentari non sono state ancora annunciate, dato che l’attuale legge elettorale non indica un lasso di tempo obbligatorio entro cui dovrebbero tenersi. In assenza di una base costituzionale valida e di un consenso riconosciuto rispetto al quadro giuridico elettorale, risulta estremamente complesso rispettare la data del 24 dicembre.

A complicare lo scenario delineatosi, si aggiunge il fatto che il numero dei seggi elettorali superi quello degli osservatori nazionali ed internazionali, impedendo un controllo efficace per garantire un voto libero, equo e imparziale. Una Libia vulnerabile alle accuse di brogli potrebbe essere “conveniente” nell’ottica dei signori della guerra e di diversi attori politici dello scenario nazionale, che sfrutterebbero la presenza di irregolarità per portare avanti uno scontro politico e armato qualora i risultati non fossero considerati soddisfacenti o non rispettassero i desiderata di turno. Inoltre, la proposta di legge elettorale ha lasciato ampio margine d’azione a personaggi controversi e divisivi quali Saif al-Islam al-Gheddafi, figlio dell’ex leader Muammar, che si è registrato alle presidenziali lo scorso 14 novembre, e Khalifa Haftar, generale dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico che ha annunciato la sua candidatura due giorni dopo l’avversario. Tuttavia, numerosi gruppi politici stanno facendo appello alla commissione elettorale per ostacolare le nomine dei singoli candidati, minacciando il regolare svolgimento delle elezioni. In questo senso, l’Alto Comitato Elettorale Nazionale libico (HNEC) ha in una prima fase escluso la candidatura di Gheddafi, salvo poi rientrare per effetto della decisione di un Tribunale di Sebha che ha deciso per la sua riammissione nella corsa elettorale. A gravare sulle spalle del figlio del Colonnello Gheddafi è soprattutto una condanna per crimini di guerra avvenuta nel 2015 da parte di un Tribunale libico in merito agli episodi di repressione organizzata, registrati nel 2011 a Tripoli e Bengasi. In una posizione similare si trova anche Khalifa Haftar, che ha trovato diversi ostacoli (soprattutto in Tripolitania) per la sua candidatura. La nomina di Haftar risulta ancora valida, anche se persistono numerosi sforzi da parte di gruppi civili ed esponenti politici per boicottarla. Non meno complicata è la strada per il Premier ad interim Abdul Hamid Dbeibah, uno dei principali candidati alle presidenziali, che è stato inizialmente escluso dalla tornata elettorale poiché non dimessosi dal suo incarico tre mesi prima della votazione, andando allo stesso tempo a non rispettare gli accordi previsti dal processo di Ginevra, che prevedevano la figura dell’attuale Primo Ministro come puramente transitoria e volta a facilitare i processi di transizione in vista del voto del 24 dicembre. Tra i vari candidati di spicco, infine, emerge anche Saleh che, grazie al suo posizionamento per lo più neutrale e un passato poco compromesso, si pone come un temibile avversario per tutti gli altri contendenti. Oltre ai personaggi sopracitati, vi sono quasi 100 candidati ad essersi presentati per le presidenziali e sono circa 2,8 milioni i libici ad essersi registrati alle urne. Una concorrenza così elevata e la presenza di così pochi elettori rischiano di frammentare il voto e renderlo non proporzionale, non riuscendo a rappresentare realmente la volontà del popolo.

Alla luce del contesto politico frammentato, le Nazioni Unite si sono dette allarmate per le crescenti intimidazioni e minacce contro i magistrati che si occupano delle denunce relative alle elezioni, sottolineando la gravità di tali impedimenti per la transizione democratica. Altresì, i rappresentanti internazionali hanno denunciato anche il deterioramento del quadro securitario dovuto sia alle costanti violazioni all’embargo sulle armi alla Libia rispetto al 2020, sia ad una capillare presenza di combattenti stranieri nel Paese dove da alcuni giorni si segnalano violenze e scontri a Sabha, al-Azizia, Tripoli e Houn tra le diverse milizie territoriali. Tutti elementi questi che costituiscono una seria minaccia per il processo elettorale e impediscono una reale pacificazione sul terreno. Difatti, non vi sono prove di ritiri su vasta scala, per cui le milizie straniere (costituite principalmente da soggetti provenienti dal Ciad, dal Sudan e dalla Siria, oltre che da individui caucasici inquadrati nella società russa Wagner) potrebbero impedire o influenzare il voto, se non addirittura intervenire militarmente ex post qualora i risultati non fossero compatibili con gli interessi degli attori locali e delle potenze esterne nascoste dietro le forze mercenarie. Di fatto, la capillare presenza di combattenti stranieri che sfidano lo Stato e il suo sistema giudiziario e un mancato consenso sulla legge elettorale, potrebbero seriamente osteggiare il voto. Infatti, anche se si riuscissero a tenere elezioni libere e imparziali, non è detto che i risultati verrebbero accettati dalle parti coinvolte, con il rischio che Tripoli ricada in una nuova fase di violenze. L’unica soluzione per la stabilizzazione del Paese è ancora una volta la piena accettazione del gioco democratico e l’adozione di meccanismi politico-istituzionali in grado di creare un sistema di check and balances tali da impedire qualsiasi azione unilaterale.

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