La crisi libanese e le ambiguità di Hezbollah
A quattro anni da quando il Libano è scivolato in un tracollo finanziario che ha segnato la sua peggiore crisi dalla guerra civile del 1975-1990, il Parlamento di Beirut ha fallito per la dodicesima volta l’elezione del Capo di Stato. Una partita intricata e in parte bloccata dal ruolo dominante di Hezbollah all’interno delle istituzioni e della società libanese. Tuttavia, questa fotografia non rispecchia in toto l’attuale stato di salute del partito-movimento, né tantomeno spiega il suo ruolo delicato all’interno delle intricate dinamiche nazionali.
Da oltre un decennio, il destino di Hezbollah si fonde a stretto giro con quello dello Stato libanese. Con il tempo il movimento è riuscito a garantirsi un ruolo chiave nella vita politica, economica e sociale nazionale, anche grazie ad una legittimazione popolare accresciuta e rafforzata dalla guerra contro Israele del 2006 e dalla successiva penetrazione nello Stato. Tuttavia, l’influenza di Hezbollah nelle dinamiche statuali si è rivelata un’arma a doppio taglio per il movimento. La sua capillare presenza all’interno delle sfere politiche ed economiche gli ha concesso di assumere una posizione dominante nello Stato, legando inevitabilmente le sue sorti con quelle del Paese. Nondimeno, il Libano si trova sull’orlo di un disastro sistemico nel quale ogni singolo attore del panorama nazionale – compreso anche Hezbollah – è parte del problema e il cui esito inciderà anche nelle future mosse del movimento-partito.
Hezbollah nasce come una milizia armata libanese e filo-iraniana, sostenuta politicamente ed economicamente da Teheran con lo scopo di formare, insieme ad altri Paesi e attori non-statali, un “asse di resistenza” per fronteggiare la minaccia israeliana nella regione. Il gruppo è nato ufficialmente nel 1985 (benché fosse attivo già dal 1982) ed è passato attraverso varie trasformazioni che lo hanno portato dall’attivismo intransigente al pragmatismo, fino a divenire parte integrante della vita politica libanese. Ciononostante, le sembianze del movimento-partito non hanno mai conosciuto un abbandono della sua natura militante e della retorica anti-israeliana. Attraverso l’utilizzo della forza militare e la legittimazione politica, Hezbollah è riuscito a guadagnarsi un ruolo di rilievo nella società supportando la creazione di scuole, ospedali, infrastrutture e associazioni di beneficienza, e muovendo le delicate fila dei processi decisionali a tutti i livelli di potere. Di fatto si è mosso in modo parallelo allo Stato, proponendosi come alternativa allo stesso. Ciò gli ha garantito un buon consenso popolare che gli ha permesso di allargare la fitta rete di rapporti istituzionali e interessi, e portato, quindi, Hezbollah a divenire parte integrante di quello stesso sistema corrotto che in passato ha avversato.
Per comprendere a fondo la natura complessa del rapporto tra Hezbollah e il sistema libanese bisogna guardare con molta attenzione a cosa è accaduto nell’agosto del 2020 dopo l’esplosione del porto di Beirut, nel quale perirono 218 persone. Ad esplodere fu un magazzino abbandonato che le autorità portuali utilizzavano come deposito dei materiali sequestrati. All’interno dello stesso erano accumulate circa 2.000 tonnellate di nitrato d’ammonio, un comune composto utilizzato per i fertilizzanti e la creazione di esplosivi, anche artigianali. Fin dalle prime fasi successive alla deflagrazione, l’attenzione fu immediatamente rivolta nei confronti del ruolo del movimento-partito in quanto storicamente l’area portuale ha subìto un controllo pervasivo da parte degli uomini del Partito di Dio. Ciononostante non è stato mai possibile accertare una responsabilità (diretta o indiretta) politica e giuridica del movimento, sebbene sin dal post-esplosione Hezbollah abbia impedito qualsiasi iniziativa che mirasse a chiarire i fatti in quanto percepiva (e lo fa ancora) che tali iniziative fossero avvertite come un’azione persecutoria nei suoi confronti. Nel tentativo, però, di placare la rabbia popolare e allontanare le attenzioni politiche dal suo operato, Hezbollah ha provato a volgere la situazione a proprio favore; dapprima ha cercato di incrementare la presa sulla popolazione, fornendo loro tutta una serie di programmi assistenzialistici volti a sostenere la sicurezza alimentare e sanitaria, in secondo luogo, ha puntato a fugare qualsiasi dubbio o tentativo da parte delle istituzioni di legare il coinvolgimento del movimento con i fatti tragici al porto di Beirut.
Tuttavia, la riapertura delle indagini da parte del magistrato Tarek Bitar, congiuntamente all’assenza di un governo forte e capace di agire nel pieno delle sue funzioni e alla debolezza delle istituzioni stesse nell’attuale contesto del Paese, ha ribadito quanto l’esistenza di una cronica instabilità politico-istituzionale sia il cuore nevralgico di una crisi che non sembra conoscere fine e nella quale Hezbollah risulta essere parte integrante del problema, nel quale si alimentano le ambizioni sue e le disfunzioni del sistema.
Infatti, il dissesto economico e finanziario, scoppiato nel 2019 e aggravato dalla pandemia da Covid-19 del 2020, non ha fatto altro che impoverire il Paese rendendolo schiavo dello storico immobilismo politico-istituzionale, nel quale Hezbollah ha provato a definire dei propri meccanismi di “governo” dei processi decisionali. Il suo supporto strategico al governo Mikati ha garantito al movimento la continuazione del suo incarico al Ministero dei Lavori Pubblici e dei Trasporti e al Ministero del Lavoro. In questo modo, Hezbollah è riuscito a mantenere una posizione di rilievo nell’infrastruttura politica e a incanalare il consenso del tessuto sociale grazie alle sue politiche pubbliche. Inoltre, la paralisi istituzionale intorno alla partita presidenziale ha confermato questa tendenza. Da quando il mandato del Presidente della Repubblica Michel Aoun è scaduto nel settembre 2022, la mancanza di concordia e cooperazione tra tutte le forze partitiche per eleggere il nuovo Capo dello Stato non solo ha impedito la formazione di un governo stabile in grado di fornire risposte necessarie alla crisi, ma ha ribadito la capacità di influenza di Hezbollah nell’architettura istituzionale. Da tempo il Parlamento prova senza successo a eleggere Jihad Azour, già Ministro delle Finanze libanese (2005-2008) e Direttore del Dipartimento Medio Oriente e Asia Centrale al Fondo Monetario Internazionale, trovando però la ferma opposizione di Hezbollah e dei suoi alleati, che invece sostengono la candidatura di Suleiman Frangieh, leader del movimento Marada e nome molto discusso nel panorama nazionale per via dei suoi legami stretti con il Partito di Dio e i suoi sostenitori regionali (Siria e Iran). Un ennesimo stallo che, però, a lungo andare, anche per via dei pressanti e numerosi interventi esterni di vari attori (dalle monarchie del Golfo al blocco UE-USA), potrebbe in qualche modo giovare proprio a Frangieh e ad Hezbollah, sbloccando la matassa presidenziale. Tali esempi mostrano, quindi, una certa abilità del movimento nel sapere intessere i giusti legami con la politica libanese, ma al contempo di servirsene nel propagandare i propri interessi all’ombra delle istituzioni.
Ciononostante, Hezbollah non è rimasta immune alla crisi sistemica nazionale; oltre alle critiche piovute nella gestione del porto di Beirut, si è registrata nel corso degli ultimi anni una crescente insoddisfazione a tutti i livelli nei confronti del movimento, evidenziata dall’ingresso in Parlamento di candidati “anti-establishment” che si dichiarano neutrali rispetto alle dinamiche confessionali dello Stato. Questo generalizzato malcontento è stato dimostrato anche dagli ultimi risultati elettorali del Parlamento (maggio 2022), che hanno decretato la vittoria dell’alleanza cristiana a discapito di quella sciita guidata da Hezbollah e Amal, che rimane comunque il blocco più ampio – che include fazioni cristiane, armene e druse – in Parlamento. Infatti, è stata proprio tutta la gestione affannosa del post-esplosione del porto di Beirut a fornire una evidente distanza tra il movimento e il supporto popolare. Questa situazione, che è assurta a potente simbolo del sistema politico e istituzionale libanese, ha contribuito ad aumentare la generalizzata contestazione del sistema e a rivolgere rabbia e proteste anche nei confronti del movimento-partito, intravedendo in questa opera di astrazione dalle proprie responsabilità una difesa a oltranza di quell’establishment e dei suoi meccanismi degenerati, distorsivi e corrotti.
Pertanto, la fase vissuta attualmente dal Libano rimane delicata e imprevedibile e di difficile risoluzione, almeno nel prossimo futuro. Infatti, se da un lato risulta necessario approvare delle riforme atte a modificare concretamente la ripartizione su base confessionale della rappresentanza politica, dall’altro i gruppi parlamentari non hanno alcun interesse a riequilibrare un sistema che garantisce loro privilegi e incarna i loro interessi. Hezbollah, dal canto suo, pare più interessato a rafforzare le sue quote di potere all’interno del delicato panorama domestico e regionale piuttosto che votato ad adoperarsi in un’azione politica volta alla risoluzione delle crisi nazionali. Tuttavia, sebbene lo Stato nella sua interezza necessiti di impegni profondi e urgenti, appare quanto mai evidente che nessuno dei principali attori coinvolti sia interessato ad andare oltre l’attuale fase di cristallizzazione della crisi. Una condizione complessiva volta a favorire alcune élites a scapito di altre. Attuare le riforme, significherebbe per qualsiasi attore perdere il controllo della situazione. Un discorso che è perfettamente coerente anche nel caso di Hezbollah, che preferirebbe indubbiamente tornare alle fasi del 2018, quando il gruppo deteneva la maggioranza parlamentare, controllava tutte le decisioni nazionali e godeva de facto di un potere enorme, dentro e fuori il Paese.
In conclusione, per la sopravvivenza del Libano è oggi fondamentale riuscire a dare voce alle necessità e alle fragilità che lo affliggono, ma allo stesso tempo la storia politica del Paese ci insegna che sarà difficile incorporare le suddette problematiche agli interessi, sempre più pressanti, delle élites libanesi. Considerando quindi la sua capillare presenza sul territorio, le sue alleanze numerose e il cospicuo consenso che è riuscito ad ottenere negli anni, la posizione di Hezbollah potrebbe essere basata su una tattica condizione di attesa rispetto al contesto specifico del Paese. Il Libano, però, rischia di pagare lo scotto peggiore, se non dovessero incrociarsi gli interessi nazionali con quelli del Partito di Dio. Una condizione, questa, che non gioverà alla crisi sistemica del Paese, aggravando ulteriormente le condizioni di uno Stato già al collasso.