Israele: crisi di governo e ritorno alle urne
Medio Oriente e Nord Africa

Israele: crisi di governo e ritorno alle urne

Di Emanuele Volpini
27.06.2022

Nir Orbach, ex membro del partito The Jewish Home e che si era unito all’alleanza Yamina per le elezioni della primavera del 2021, ha lasciato la coalizione di governo guidata da Yair Lapid e Naftali Bennett, ultima di una serie di defezioni che hanno reso impossibile alla ormai ex maggioranza di proseguire con l’attività parlamentare. Il Primo Ministro Bennett ha annunciato l’intenzione di sciogliere la Knesset entro pochi giorni: in caso di approvazione, verrebbe creato un governo ad interim presieduto dal Ministro degli Esteri Yair Lapid con il compito di condurre il Paese alle elezioni di ottobre, le quinte in 3 anni. Lapid, centrista del governo, lascerebbe il Dicastero di competenza per assumere quindi la carica di Primo Ministro ad interim. Il passaggio di carica tra quest’ultimo e Bennett era già previsto negli accordi che avevano portato alla formazione della coalizione di governo nel maggio dello scorso anno; tuttavia, secondo alcuni insiders Bennett non sarà presente nella nuova squadra di governo come Ministro degli Interni, nonostante anche questo punto rientrasse negli accordi presi prima delle ultime elezioni per la coesistenza dei diversi partiti nella maggioranza. Nessuno, però, avrebbe potuto prevedere che solamente a un anno dalla vittoria del fronte anti-Netanyahu, questo crollasse.

A livello di politica interna, il governo Bennett ha dovuto affrontare fin dal primo giorno numerose difficoltà legate all’eterogeneità della coalizione: al suo interno, infatti, vi sono partiti di sinistra, di centro e di destra, senza dimenticare il primo partito arabo presente in un governo israeliano. Proprio con quest’ultimo, il partito islamista Ra’am (Lista Araba Unita), il Primo Ministro Bennett ha dovuto lottare su numerose questioni, a cominciare dalla irrisolta questione palestinese. Infatti, le tensioni intorno a questo dossier hanno inciso profondamente nella stabilità del governo, tanto da condurlo nel perseguire un approccio differente rispetto al passato rispetto al tema: il nuovo mantra adottato dall’esecutivo non vuole risolvere diplomaticamente il conflitto, ma attuare politiche di integrazione della popolazione palestinese che in molti hanno interpretato come un nuovo modo di continuare la politica israeliana nei confronti del problema. Negli ultimi mesi queste tensioni sono aumentate ulteriormente per gli episodi di violenza che si sono svolti nella moschea di Al-Aqsa durante il Ramadan: lo scontro tra i fedeli musulmani e le forze di polizia israeliane hanno mostrato come i contrasti interni sono ben lungi dall’essere risolti. L’episodio ha poi scatenato anche una serie di proteste da parte degli attori arabi che stanno normalizzando i rapporti con Tel Aviv, in primis la Giordania. A seguito di questi episodi, Ra’am ha deciso di congelare il suo status di membro della coalizione: ciò ha significato la sospensione della partecipazione del partito islamista dalle attività della Knesset. Sempre ad aprile, a minare la stabilità dell’esecutivo vi era stato anche un altro episodio di defezione che di fatto aveva fatto perdere la maggioranza al governo. Idit Silman, capogruppo parlamentare della coalizione di governo alla Knesset, aveva abbandonato l’esecutivo per contrasti interni col Ministro della Salute Nitzan Horowitz, leader del partito di estrema sinistra non-sionista Meretz. Questa decisione aveva comportato la perdita della maggioranza assoluta alla Knesset (da 61 a 60 deputati su 120).

A livello di politica estera, la crisi di governo israeliana giunge in una fase estremamente importante all’interno dello scacchiere mediorientale. Il 13 e il 14 luglio, infatti, il Presidente statunitense Joe Biden si recherà in visita a Gerusalemme, in quello che è considerato uno dei viaggi più importanti sia per l’Amministrazione USA sia per i suoi partner regionali. Per Israele, e in particolare per Lapid, il viaggio di Biden rappresenta un’occasione per rafforzare la propria figura di leadership anche in vista delle elezioni che, secondo le leggi nazionali, dovranno essere svolte entro 90 giorni dallo scioglimento della Knesset. Allo stesso tempo, Biden ha confermato la propria visita nonostante le difficoltà che sta attraversando Israele anche per supportare la figura di Lapid come candidato credibile nel turno elettorale di ottobre.

Lo spettro di un possibile ritorno di Benjamin Netanyahu, figura avversa anche all’Amministrazione Biden, potrebbe essere una carta spendibile nelle relazioni tra Lapid e l’attuale inquilino della Casa Bianca. Il tour regionale, come ribadito anche dalla portavoce del National Security Council Emily Horne, non poteva non comprendere la tappa israeliana al suo interno. Gli argomenti che verranno discussi tra i leader israeliani e Biden spaziano dalla sicurezza regionale – in particolare il ruolo iraniano in Medio Oriente e il dossier nucleare – alla questione palestinese, fino ad arrivare alla cooperazione regionale per promuovere le relazioni tra Israele e i suoi vicini, primo fra tutti l’Arabia Saudita.

In particolare, il tentativo di riavvicinamento di Washington a Riyadh, anche grazie ad una mediazione israeliana, rientra in un progetto di più ampio respiro che vede l’Arabia Saudita volersi ergere come un reintegrato e pienamente legittimato attore regionale. Israele, in tutto ciò, vorrebbe sfruttare la visita di Biden per poter intavolare un dialogo con Riyadh, per dare continuità agli Accordi di Abramo e cercare di far procedere i discorsi sotterranei sull’instaurazione di relazioni diplomatiche ufficiali con i sauditi. Nonostante l’apertura del Principe ereditario Mohammed bin Salman, ancora molti gli ambienti della società saudita, fra cui i vertici politici – compreso Re Salman bin Salman –, che rifiutano categoricamente il dialogo con Tel Aviv, essendo Riyadh uno dei principali sostenitori della causa palestinese.

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