Iran: proteste per la morte di Mahsa Amini
Dal 17 di settembre, dure proteste e scontri tra manifestanti e forze di sicurezza si sono registrati in gran parte del territorio della Repubblica Islamica dell’Iran. A innescare la rabbia popolare è stata la notizia della morte di Mahsa Amini, ragazza di ventidue anni originaria del Kurdistan iraniano, entrata in coma mentre era sotto la custodia della polizia morale (Gasht-e Ershad), con l’accusa di non aver rispettato le norme relative all’uso dell’hijab. La contestazione, partita da Saqqez, città natale di Amini, si è rapidamente estesa a macchia di leopardo in tutto il Paese, con cortei spontanei che hanno sfilato in almeno 15 grandi centri per manifestare contro il sistema della Repubblica Islamica. Gli scontri con le forze dell’ordine e il gruppo paramilitare dei Basij hanno fino ad ora causato la morte di almeno quattro persone.
Sebbene la contestazione contro l’uso dell’hijab sia assolutamente centrale in queste proteste, la rapida diffusione delle manifestazioni ha riportato alla luce un più ampio risentimento popolare esistente nei confronti dell’esecutivo ultraconservatore del Presidente Ebrahim Raisi. D’altronde, segnali di distacco e frustrazione nei confronti del governo iraniano erano emersi, con chiarezza, già in occasione delle elezioni del giugno 2021, quando l’affluenza si fermò al 48.8 per cento, il dato più basso nella storia della Repubblica Islamica. A questo quadro complicato, si aggiunge il deterioramento delle condizioni economiche in cui versa il Paese e il crollo del tenore di vita complessivo dovuto all’impennata dell’inflazione, cresciuta di oltre il 50 per cento su base annua, che potrebbe spingere circa 5 milioni di lavoratori del settore pubblico sotto la soglia di povertà. Già lo scorso giugno, in reazione all’innalzamento dei prezzi e alla decisione del Governo di aumentare l’imposta sulle vendite, commercianti e pensionati iraniani avevano dato vita a una serie di scioperi e proteste spontanee nel nordovest e nel centro del Paese.
In questo contesto, l’apparente incapacità del governo di instaurare un dialogo con ampi settori della società potrebbe favorire la spinta repressiva nei confronti di oppositori e manifestanti scesi in strada, esacerbando ulteriormente le tensioni.