Iran: come cambia la strategia regionale dopo la caduta di Assad in Siria
La caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, avvenuta a seguito della rapida ed efficace avanzata della composita alleanza militare denominata Fatah al-Mubin, guidata dal gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS) di Abu Mohammad al-Jolani, rappresenta una delle sconfitte strategiche più significative subite dall’Iran in anni recenti.
La Siria degli Assad, infatti, non era solo tradizionalmente vicina alla Repubblica Islamica, ma rappresentava anche un tassello fondamentale della strategia regionale iraniana nel Levante e in Medio Oriente. Il regime siriano garantiva una discreta libertà di movimento a soggetti legati al network di proxies dell’Iran: su tutti gli Hezbollah libanesi, ma anche Hamas e Jihad islamica palestinese, attivi con proprie cellule principalmente lungo i valichi situati al nord e nord-est del Libano. Inoltre, il Paese arabo ha rappresentato negli anni una via privilegiata per il flusso di denaro e armamenti destinati alle milizie filo-iraniane, oltreché un hub per le triangolazioni utili ad aggirare le sanzioni internazionali relative, per esempio, alla vendita di petrolio. La perdita della Siria, dunque, rischia di spezzare il collegamento esistente tra Iran, Libano e territori palestinesi, teatri dove per gli iraniani potrebbe essere sempre più complesso fornire assistenza militare nel breve periodo. Lo stesso concetto strategico di “difesa avanzata”, adottato dall’Iran in questi anni, rischia di venire meno, rimanendo di fatto limitato a parte del territorio iracheno, cui occorre guardare con grande attenzione nel prossimo futuro. Il colpo subito in Siria, inoltre, si somma alla pressione enorme cui sono sottoposti gli assetti iraniani nella regione dal 7 ottobre 2023. Le operazioni israeliane e di parte degli attori del blocco euro-atlantico, infatti, hanno degradato pesantemente le capacità operative dei gruppi palestinesi, ma anche di Hezbollah, delle milizie Houti in Yemen e dei vari gruppi presenti in Iraq, tra cui Kata’ib Hezbollah. In questo quadro, l’idea stessa di Asse di Resistenza appare oggi a rischio e necessita probabilmente di una riconcettualizzazione.
La rapida evoluzione dello scenario siriano, in particolare, non ha permesso all’Iran di formulare una risposta concreta ed efficace, in grado di tutelare gli interessi nazionali. In un primo momento, davanti all’avanzata del composito mosaico di milizie anti-regime presenti nel Paese, Teheran ha avviato un’azione diplomatica volta a coinvolgere su tutti Turchia e Russia, mossa rivelatasi però tardiva e inefficace. I colloqui con la Turchia, nel dettaglio, sono risultati ampiamente infruttuosi, data l’assenza di fiducia tra gli interlocutori e lo squilibrio di forze in campo a favore del Paese guidato da Recep Tayyip Erdoğan. A giocare un ruolo qui è stata anche la disputa, che affonda le radici nel tempo, riguardante il presunto supporto iraniano a componenti curde ostili ad Ankara attive nella regione. Mentre Presidenza e Ministero degli Esteri iraniani provavano essenzialmente a comprare tempo, il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione (IRGC), attraverso la Forza Quds (QF), ripercorreva la strada dell’invio di consiglieri militari sul terreno per supportare le forze vicine ad Assad. Questi, guidati dal Generale dell’IRGC Javad Ghaffari, comandante veterano attivo nelle battaglie di Aleppo e Deir ez-Zor, non sono tuttavia stati in grado di incidere sulla situazione, data anche l’esiguità delle forze a disposizione e la scarsa predisposizione di queste a ingaggiare i nemici in avanzamento. Inutili si sono rivelati i tentativi in extremis di reclutamento e dispiegamento delle forze composte da afghani e non solo (Liwa Fatemiyoun e Zainebiyoun), mentre l’ipotesi di un maggiore coinvolgimento da parte di Hezbollah, nonché delle milizie irachene, si è scontrato con difficoltà logistiche, debolezza dei gruppi stessi e volontà di non sguarnire l’ultimo fronte avanzato rappresentato proprio dall’Iraq. Dal punto di vista politico, poi, un eventuale dispiegamento di forze si sarebbe scontrato con la percezione di alcuni settori degli apparati che hanno percepito l’azione dell’HTS come sostenuta da attori internazionali rivali dell’Iran, narrativa in linea con quanto affermato dalla stessa Guida Suprema circa sei mesi fa. A tal proposito, un’ampia presenza militare sul terreno in Siria avrebbe esposto le milizie filo-iraniane e i consiglieri delle IRGC ad attacchi incrociati, oltreché all’attività di sorveglianza e penetrazione delle reti di comunicazione e informative da parte di attori rivali. Infine, ogni ipotesi di azione iraniana diretta si è scontrata con la realtà sul terreno, dove l’Esercito Arabo Siriano (SAA), fedele ad Assad, batteva in ritirata, mentre la Federazione Russa decideva di non intervenire e rimanere in attesa lungo le sue postazioni sulla costa tra Latakia e Tartus. In questo contesto, l’arrivo a Damasco del Rappresentante speciale della Guida Suprema iraniana, Ali Larijani, è servito verosimilmente solo a prendere atto della situazione.
Nel complesso, la risposta iraniana è apparsa non solo tardiva ma anche scarsamente coordinata tra gli apparati. A tal proposito, le incomprensioni tra Assad e la Repubblica Islamica, col primo che ha cercato nel tempo di limitare l’eccessiva influenza iraniana nel Paese, non hanno certamente facilitato il compito all’Iran. Tensioni si sarebbero registrate nel corso dell’ultimo anno anche tra il regime di Assad e gli Houthi, ma nel complesso la narrazione che vede la Siria responsabile per il mancato supporto di attori esterni appare legata al tentativo di questi ultimi di limitare la portata della sconfitta strategica subita. In un tentativo volto ad evitare l’estromissione totale da un Paese così altamente strategico, gli iraniani hanno anche approcciato le forze “ribelli” siriane, compreso lo stesso HTS. Per ammissione del Ministro degli Esteri Seyed Abbas Araghchi, infatti, le forze di al-Jolani sarebbero state avvicinate per tutelare l’incolumità degli iraniani presenti nelle sedi diplomatiche, nonché garantire il rispetto dei luoghi sacri. La portata del colpo subito dall’Iran emerge con chiarezza anche dalle parole dello stesso al-Jolani, che in un discorso per celebrare la vittoria, l’8 dicembre, ha affermato di aver messo fine alle mire iraniane sulla Siria. Inoltre, aperto supporto per HTS è giunto da parte del gruppo jihadista Jaish ul Adl, attivo principalmente nella regione sud-orientale iraniana del Sistan-Balochistan, che ha provocatoriamente manifestato la volontà di riproporre nella Repubblica Islamica uno scenario siriano. Messaggi di sostegno ad HTS sono poi giunti anche da parte dell’Emirato Islamico di Afghanistan e da Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP). La negatività della situazione attuale, tuttavia, non deve portare a credere che l’Iran mollerà la presa sul Paese arabo. La Repubblica Islamica, invece, proverà molto probabilmente a “rientrare” in Siria nel medio-lungo periodo, facendo leva sulla prevedibile instabilità politica e sulla disastrosa situazione economica.
Proprio l’attuale fase di debolezza, rafforzata dalla crisi siriana, potrebbe produrre mutamenti nella strategia regionale di sicurezza iraniana. Nel contesto attuale, in particolare, è lecito attendersi che l’Iran prosegua gli sforzi diplomatici volti a ingaggiare i vicini arabi per rompere l’isolamento. Parallelamente, Teheran potrebbe fare concessioni ai tavoli negoziali finora impensabili su dossier rilevanti per il Paese, riguardanti per esempio il Caucaso meridionale. Parallelamente, l’Iran dovrebbe puntare con sempre maggiore forza sui partenariati con Russia e Cina, fondamentali per il supporto di carattere finanziario ma anche e soprattutto militare. I duri colpi recentemente subiti, infatti, costringono l’Iran a concentrare nel breve gli sforzi sulla difesa del territorio contro potenziali nuovi attacchi diretti. Probabile anche che continui lo sforzo diplomatico profuso dai settori più dialoganti presenti nell’establishment con Stati Uniti e Unione Europea, anche se appare inverosimile che questi producano effetti nel breve termine, visto l’apparente disinteresse di questi ultimi a negoziare. In assenza di risultati da rivendicare, la diplomazia iraniana potrebbe perdere ulteriore terreno a favore delle componenti maggiormente intransigenti presenti nel Paese, le quali chiamano già apertamente all’accelerazione del programma nucleare come unica forma di protezione contro la minaccia esterna. Tuttavia, quello cui assisteremo all’interno della Repubblica Islamica nei prossimi mesi sembra sempre più uno scontro tra fazioni interne deboli o fortemente indebolite. Se la diplomazia, infatti, non produce risultati, a subire i colpi più duri negli ultimi mesi sono stati proprio IRGC e QF, la cui strategia regionale è in crisi, così come la loro capacità di proiezione. In tal senso, emblematiche appaiono le difficoltà di una figura come quella di Esmail Qaani, comandante della QF, incapace finora di produrre risultati all’altezza di quanto fatto dai predecessori, su tutti Qasem Soleimani. In questo quadro, l’Iran, malgrado le crescenti difficoltà, dovrebbe continuare comunque a sostenere i proxies regionali, anche se la loro utilità ed efficacia appare nel breve sempre più in discussione.