Il ruolo delle milizie libiche nel processo di revisione dell’Accordo di Skhirat
A quasi due anni dall’istituzione del Governo di Unità Nazionale (GUN) guidato da Fayez al-Sarraj, sancita dall’Accordo di Skhirat (dicembre 2015), il processo di ricostruzione dell’architettura istituzionale della Libia e di pacificazione nazionale versa in una difficile fase di stallo. Mentre il panorama libico continua a essere caratterizzato dal proliferare di milizie e potentati locali, in molti casi capaci di esercitare un forte ascendente sulle istituzioni, l’Accordo non è mai entrato formalmente in vigore a causa del rifiuto del Parlamento di Tobruk di ratificarlo. Con il protrarsi di questa situazione, il Paese resta in un drammatico vuoto di legittimità, che vanifica gli sforzi sin qui compiuti per risollevare il Paese dal caos in cui è sprofondato all’indomani della caduta di Gheddafi.
Nonostante l’avvio di nuovi negoziati sotto l’egida delle Nazioni Unite, a ottobre, con lo scopo di emendare i termini dell’intesa raggiunta nella città marocchina, l’inviato del Palazzo di Vetro Ghassam Salamé non è ancora riuscito a sciogliere i principali nodi politici che dividono l’Alto Consiglio di Stato (ACS), basato a Tripoli e guidato da Abdurrahman Swehli, e la Camera dei Rappresentanti di Tobruk (CR), su cui esercita una forte influenza il Generale Khalifa Haftar.
È proprio sul futuro ruolo di Haftar che si è arenato l’ultimo round negoziale lo scorso 21 ottobre.