Il ruolo del Ciad nella crisi maliana e nel quadro di sicurezza dell’Africa centro-occidentale
L’intervento militare del Ciad in Mali ha rappresentato un caso particolare all’interno della vasta coalizione di Paesi che ha combattuto, nel nord del Mali, le milizie salafite di AQMI (Al-Qaeda nel Maghreb Islamico) del MUJAO (Movimento per l’Unità ed il Jihad nell’Africa Occidentale) e tuareg di Ansar al Din. La precisa delineazione dei partecipanti al conflitto si è avuta dopo la risoluzione 2085 del Consiglio di Sicurezza ONU del 20 dicembre 2012: questa autorizzava la costituzione di un African-led International Support Mission to Mali (AFISMA), e, visto gli interlocutori con i quali l’Organizzazione si era confrontata per la stesura della risoluzione, la missione sembrava includere esclusivamente i Paesi confinanti con il Mali, raccolti nella Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS).
La Francia invece, già il 10 gennaio successivo, aveva avviato l’operazione “Serval”, rispondendo alla richiesta di aiuto del governo di Bamako ed attenendosi alle indicazioni del Consiglio di Sicurezza, contenute nel preambolo della risoluzione, che invitava “la Comunità Internazionale a fornire supporto per risolvere la crisi in Mali attraverso azioni coordinate per esigenze immediate e a lungo termine e comprendenti la sicurezza, lo sviluppo e la questione umanitaria”. Tale paragrafo ha fornito l’indispensabile legittimità politica necessaria per la partecipazione del Ciad alla missione al fianco delle truppe francesi. Occorre sottolineare come l’intervento ciadiano sia stato sponsorizzato e promosso dal governo di Parigi, desideroso di avere al proprio fianco le truppe ben addestrate del suo principale alleato nella regione dell’Africa Centrale. Inoltre, la Francia aveva bisogno di bilanciare la presenza del contingente della Nigeria, Paese egemone in Africa Occidentale e politicamente vicino a Regno Unito e USA, con un contingente altrettanto numeroso e preparato. In questo modo, il Ciad, pur non facendo parte dell’ECOWAS, né confinando direttamente con lo Stato maliano, è stato il paese africano alleato che ha messo a disposizione il maggior numero di soldati. Collaborare al fianco della Francia avrebbe permesso al Ciad di rafforzare ulteriormente i già privilegiati rapporti con Parigi, soprattutto nel settore della sicurezza nella fascia centrale africana e in tutto il Sahel. I ciadiani, infatti, sono stati da subito coinvolti nelle operazioni sul fronte di Gao e Kidal: il governo di N’Djamena ha costituito, a metà gennaio, le Forcées Armée Tchadiennes d’Intervention au Mali (FATIM), formate da un reggimento di 1200 unità e due battaglioni da 400 uomini ciascuno, per un totale di 2000 uomini (che all’apice della guerra sono arrivati fino a 2250), guidati dal generale in capo Oumar Bikimo e dal comandante Mahamat Idriss Deby, figlio del presidente Idriss Déby Itno.
La prima operazione a cui hanno partecipato i ciadiani è datata 24 gennaio, quando 550 soldati stanziati in Niger, nei pressi della capitale Niameny in attesa di ordini per raggiungere il confine occidentale con il Mali, sono stati impiegati nella presa di Gao, città fino ad allora in mano al MUJAO. Il 30 gennaio invece, dopo aver risalito il Niger a nord-est, i ciadiani hanno contribuito alla liberazione di Kidal, roccaforte di Ansar al Din. La protezione di Kidal, divenuta principale avamposto di AFISMA nel nord del Mali, è stato il compito di maggior responsabilità assegnato ai ciadiani, che hanno portato nella regione fino a 1800 uomini. Tuttavia, le azioni sul campo non sono terminate con la presa di Kidal. L’8 febbraio le truppe ciadiane hanno supportato i francesi nella risalita a nord, conquistando Tessalit e spingendo i fondamentalisti a disperdersi nell’immenso altopiano roccioso e desertico dell’Adrar des Ifoghas. È stata in quest’ultima fase di combattimenti che i ciadiani hanno riportato gravi perdite. Dopo che, il 18 febbraio, era partita l’operazione franco-maliana “Phantera IV”, a cui il Ciad dava il suo contributo con 800 militari, il 22 febbraio, durante un rifornimento nella valle dell’Amettetai, un convoglio ciadiano ha incrociato un gruppo di ribelli. Le vittime ciadiane sono state 26, tra cui 11 ufficiali. Infine, a inizio marzo, le truppe di N’Djamena sono entrate formalmente in AFISMA, occupando un ruolo apicale nella catena di comando, ma, di fatto, restando sotto le direttive dei francesi. L’entrata in AFISMA, avvenuta grazie alle negoziazioni franco-nigeriane, è stata una mossa necessaria per garantire alle truppe ciadiane i finanziamenti delle Nazioni Unite e dei donatori occidentali per la missione. Con questa mossa, Parigi ha voluto impedire un possibile indebolimento delle proprie truppe, supportate quasi in ogni missione dai soldati ciadiani, lasciando che l?ECOWAS si occupasse della force protection dei siti messi in sicurezza e di Bamako, dove permaneva il rischio di azioni ostili da parte dei gruppi militari maliani fedeli al Capitano Amadou Sanogo, responsabile del golpe contro il Presidente Touré il 21 marzo 2012. Le ultime tre vittime di FATIM si sono registrate il 12 marzo a seguito dell’esplosione di un ordigno nel mercato principale di Kidal.
Dopo questo episodio il presidente Déby ha annunciato il graduale ritiro delle proprie truppe dal suolo maliano per la proclamata inadeguatezza del Ciad a far fronte ad una minaccia di tipo asimmetrico. La spiegazione dell’annunciato ritiro, che ha seguito quello parziale francese, si rintraccia tra i dati ufficiali del bilancio della missione. Sulla base delle cifre esposte in Parlamento il 15 aprile, il governo di Déby, al di là delle perdite, ha utilizzato 240 veicoli tra mezzi pesanti e di rifornimento e speso in tre mesi 87 milioni di euro mettendone a bilancio altri 137 se la missione si fosse protratta fino alla fine del 2013. Una spesa notevole e poco sostenibile per uno dei Paesi più poveri della fascia sahariana. La soluzione ai problemi di sostenibilità di bilancio, per il Ciad come per i Paesi altrettanto poveri dell’ECOWAS, è venuta dall’Onu: dal 1° luglio AFISMA sarà sostituita dall’United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali (MINUSMA), una missione che ingloberà le truppe dell’ECOWAS e del Ciad, oltre al contingente-guida di 1000 francesi, che sarà totalmente finanziata dalle Nazioni Unite. Di fatto la missione cambia solo nome e partenariato visto che i compiti e le regole di ingaggio restano le stesse: stabilizzazione delle città chiave strappate ai ribelli, ristabilimento dell’autorità statale in tutto il Mali e supporto nel prossimo processo di peace enforcement. L’ONU è, infatti, si è decisa a finanziare un’imposizione della pace per assestare un duro e decisivo colpo ai ribelli fondamentalisti islamici. Il Ciad, incalzato dalla Francia e desideroso dei finanziamenti internazionali, continua ad interessarsi del Mali non lasciando la seconda fase di stabilizzazione ad altri attori. Questa decisione può essere interpretata seguendo due direttrici: la partnership con la Francia e le misure di contrasto al terrorismo islamico.
Un contingente francese di circa mille uomini è presente in pianta stabile nel Ciad ormai dal 1986 quando, con l’operazione Epervier, si è sventato un colpo di Stato, appoggiato dalla Libia di Gheddafi, ai danni dell’allora presidente Hissène Habré a causa delle reciproche rivendicazioni sulla striscia di terra dell’Aouzou. Il Dispositivo Epervier è stato implementato nel 2004 con l’operazione “Dorca”, missione che la Francia ha lanciato per impedire il collasso delle frontiera orientale ciadiana, sollecitata in quel momento dalle ondate di rifugiati provenienti dal Darfur. L’attuale presidente Idriss Déby, in carica dal 1991, deve quindi alla Francia il mantenimento della pace e dei propri mandati grazie ad una capacità di deterrenza importante verso gruppi di ribelli, come nel caso delle rivolte interne del 2006. L’utilizzo di oltre duemila soldati in Mali è servito a corroborare così un’alleanza strategica per entrambi i Paesi.
Per quanto riguarda le misure di contrasto al terrorismo, il Ciad si trova al centro della fascia del Sahel, all’interno di quell’area di attività salafita nell’Africa occidentale e centrale che nella direttrice ovest-est ingloba il sud dell’Algeria, gran parte del Niger fino alle propaggini del deserto di Tibesti in territorio ciadiano. Le reti terroristiche possono stringere le maglie nei Paesi le cui strutture statali sono più deboli e dove è più forte il malcontento e la povertà della popolazione. In questo senso, il Ciad presenta alcune criticità sociali che potrebbero esporlo a rischi di penetrazione islamica radicale. Il gruppo religioso più numeroso è quello islamico che abita il povero nord desertico, svantaggiato rispetto alle minoranze cristiane che vivono nel sud più fertile. Le capacità di infiltrazione di gruppi islamici provenienti dal Mali potrebbero trovare facile ancoraggio ideologico nel nord del Paese. Appoggiare la coalizione franco-maliana è stato quindi per Déby il primo passo per evitare l’infiltrazione terroristica nel proprio territorio e dare supporto a quei Paesi che vedono porzioni di Stato dominate da forze di ispirazione qaedista. Il territorio ciadiano è geograficamente molto esposto ai tentativi di destabilizzazione non solo a nord: i principali centri economici e politici del Paese, compresa la capitale N’Djamena, si trovano a sud-ovest, lungo i confini che il Ciad condivide con il Camerun e soprattutto con il nord della Nigeria, territorio dov’è forte la presenza della setta salafita Boko Haram.
Aprendo però un altro fronte di lotta in Mali, il Ciad ora è praticamente impegnato a controllare tutti i suoi confini. A nord incombe la minaccia dei nuovi gruppi salafiti presenti nel sud della Libia, a est permangono le tensioni con il regime sudanese di Bashir; a sud, nella Repubblica Centroafricana, la nuova compagine governativa di Seleka, il gruppo ribelle che ha destituito il Presidente Bozizé, non garantisce ancora il necessario controllo della situazione di sicurezza nel Paese.
Data la sua posizione geografica, il Ciad accerchiato da minacce sta proiettando le proprie politiche estere ben oltre i confini regionali della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (ECCAS) di cui fa parte, impiegando le sue truppe non solo per il Council for Peace and Security in Central Africa (Copax), ma anche per altre organizzazioni regionali. Questa capacità di impegno trasversale collaborativo è essenziale al Ciad per difendere i propri confini che rappresentano le delimitazioni territoriali di altrettante organizzazioni regionali: come detto l’ECOWAS a ovest, l’Unione del Maghreb Arabo a nord, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) a est. Una capacità di proiezione che viene equilibrata e ancor di più direzionata dalla Francia, vero pivot dell’Africa centro-occidentale.