Il nesso tra scarsità di risorse e instabilità: il caso della crisi idrica nella provincia irachena di Bassora
Medio Oriente e Nord Africa

Il nesso tra scarsità di risorse e instabilità: il caso della crisi idrica nella provincia irachena di Bassora

Di Melania Malomo
06.10.2019

Dallo scorso martedì primo ottobre, in Iraq si stanno svolgendo una serie di proteste anti-governative che hanno raggiunto una portata nazionale. Da Baghdad a Nasiriyah, da Kut a Bassora, migliaia di iracheni sono scesi nelle principali piazze per rivendicare il loro diritto al lavoro, per chiedere una migliore gestione dei servizi pubblici da parte delle autorità governative e per risolvere la piaga della corruzione a livello istituzionale. Alcune delle proteste, come quelle a Nasiryah e nella capitale sono degenerate in episodi di violenza e vandalismo, che hanno causato una dura repressione da parte delle forze di polizia locali, con decine di morti e centinaia di feriti.

Le proteste sono nate spontaneamente tra le fila di gente comune, che si è organizzata autonomamente tramite internet e senza un leader/partito di riferimento, come risposta ad un governo percepito come negligente verso le richieste dei cittadini.

Sotto molti aspetti, quest’ultima ondata di proteste ricalca quella avvenuta tra la tarda estate e l’autunno del 2018 nella provincia di Bassora, nel sud dell’Iraq, peraltro proprio nel momento in cui si stava installando, con non poche difficoltà, il nuovo governo del Primo Ministro Adel Abdul-Mahdi. In quell’occasione, manifestazioni spontanee di protesta si erano rapidamente trasformate in una vera e propria guerriglia urbana, con l’assalto a molte sedi governative, di istituzioni locali, di partiti politici e di milizie paramilitari.

Le ragioni che allora avevano spinto la maggior parte della popolazione a manifestare erano anch’esse legate a cause strutturali onnicomprensive come la disoccupazione, la mancanza di servizi pubblici e la corruzione dilagante. Tuttavia, la vera radice del malcontento è da ricercare nella gravissima crisi idrica che investe da anni la provincia meridionale, assumendo ormai una dimensione cronica. Non è un caso che la causa scatenante delle proteste del 2018 sia stata l’emergenza sanitaria avvenuta durante l’estate e causata dagli elevati livelli di tossicità dell’acqua corrente.

Un’emergenza sanitaria sulla cui portata e diffusione ha influito soprattutto la mancanza di servizi di base, come elettricità, acqua potabile e un sistema fognario disponibile per la totalità degli abitanti. Inoltre, nonostante la provincia fornisca il 70% delle riserve petrolifere irachene, i cittadini faticano a trovare un’occupazione al di fuori dell’industria petrolifera o, al massimo, manifatturiera. Infatti, proprio la mancanza di acqua potabile riduce al minimo i ricavi che potrebbero derivare da attività come agricoltura, allevamento e pesca che, fino agli anni ‘80, erano la principale fonte di sostentamento per la popolazione, rurale e non, di Bassora e provincia.

A questi fattori si somma una cattiva gestione della crisi da parte di governo e autorità locali. Nonostante 130mila persone fossero  state ricoverate con sintomi (vomito, diarrea, dolori addominali, mal di testa, febbre) riconducibili alla pessima qualità dell’acqua, il governo iracheno, nella persona di Assad al-Edani, Ministro della Salute, ha addirittura negato l’esistenza di una crisi sanitaria nella regione. Di conseguenza, non ha ritenuto necessario informare la popolazione dei rischi derivanti dagli alti livelli di contaminazione dell’acqua né tantomeno fornire le dovute precauzioni al fine di scongiurare l’emergenza. Oltretutto, non era la prima volta che si verificava una crisi di tale portata a Bassora: già nel 2015 e nel 2009, migliaia di persone erano state ricoverate accusando gli stessi sintomi ma, anche in questo caso, il governo non era intervenuto per dare una risposta concreta a questa crisi. Anzi, non erano stati nemmeno pubblicati i risultati dei test condotti dall’università di Baghdad sui campioni d’acqua dello Shatt al-Arab, il fiume nato dall’unione del Tigri e dell’Eufrate che scorre integralmente nella provincia del Bassora e, quindi, rappresenta la principale fonte di approvvigionamento d’acqua per i cittadini dell’Iraq meridionale. Nonostante non si abbiano dati certi riguardo il livello di contaminazione delle acque, è palese che l’acqua del fiume non sia potabile, né tantomeno utilizzabile per lavarsi o cucinare. Il colore dell’acqua appare infatti non cristallino, tendente al marrone, e all’interno del liquido si possono trovare schiuma e agenti infiammabili.

La gravità della crisi idrica assume dimensioni ancor più imponenti, dal momento che non si configura affatto come un fenomeno isolato e recente, ma colpisce la provincia fin dal 1980. La causa principale è da ricercarsi nella diminuzione della portata dello Shatt al-Arab, dovuta ad una riduzione dei livelli dell’acqua dei suoi due affluenti, il Tigri e l’Eufrate, le cui sorgenti originano in territorio turco, rispettivamente nel Tauro armeno e nella regione dell’Ararat. La Turchia controlla infatti il 60% delle sorgenti del Tigri e il 95-97% di quelle dell’Eufrate e, fin al 1970, ha avviato il Progetto per l’Anatolia Meridionale (GAP, GüneydoÄŸu Anadolu Projesi), a seguito del quale sono state costruite numerose dighe (ad oggi se ne contano 22) che di fatto riducono di due terzi la portata dello Shatt al-Arab. La stessa politica di costruzione di dighe è stata attuata dal confinante stato iraniano, sede di tributari orientali minori dello Shatt al-Arab.

A tali fattori antropici si aggiungono quelli direttamente legati ai cambiamenti climatici. Infatti, dal momento che la provincia di Bassora è situata nella fascia climatica arida, essa è più soggetta ai danni legati al climate change di altre parti del Paese. La regione ha infatti registrato un elevato aumento della temperatura (1-2°C dal 1970) e una riduzione nella frequenza delle precipitazioni. I dati UNEP (UN Environmental Programme) stimano un livello di precipitazioni annuali medie molto basso, di 100-200 mm, contro i 300-1000 nella parte settentrionale dell’Iraq. La regione quindi è stata maggiormente esposta a periodi di siccità che hanno provocato l’evaporazione sostenuta delle acque superficiali di fiumi, laghi e bacini idrici di altra natura, causando un’ulteriore riduzione della disponibilità di acqua. Di conseguenza, l’evaporazione e la riduzione nella portata del fiume hanno favorito il verificarsi del fenomeno dell’intrusione salina, per cui l’acqua del mare del Golfo Persico ha avuto modo di inondare il corso dello Shatt al-Arab, aumentando i livelli di salinità dell’acqua a 10 grammi per litro e rendendola di fatto imbevibile e non potabile.

La già precaria situazione ambientale è stata aggravata dai danni provocati dall’incuranza umana. Infatti, i numerosi canali che attraversano la provincia del Bassora e che, una volta, gli erano valsi l’appellativo di “Venezia del Medio Oriente”, ora sono attraversati da acque reflue, inondate da rifiuti, materiali di scarto agricoli e industriali, nonché da fuoriuscite di petrolio. Inoltre, il fiume risulterebbe contaminato anche da detriti di altri rifiuti tossici.

Inoltre, la portata di tale inquinamento è acuita da altri fattori che impediscono la diluizione delle componenti tossiche presenti all’interno del fiume, come la riduzione del corso degli affluenti dello Shatt al-Arab, l’irrigazione intensiva e la mancanza di strutture atte alla depurazione dell’acqua. Infatti, gli impianti idrici della regione che dovrebbero, attraverso procedimenti chimici, ripristinare la qualità dell’acqua a livelli normali, non vengono manutenuti da anni. Di conseguenza, i guasti alle strutture idriche si sono ulteriormente aggravati nel corso del tempo, diventando insostenibili. Attualmente, i danni agli impianti idrici di Bassora ammonterebbero, secondo alcune stime, a 60 milioni di dollari, ma il governo non dispone della somma necessaria per la loro riparazione. L’attuale grado di diffusione di fenomeni di corruzione, infatti, si è sommato al peso dei recenti conflitti e della lunga stagione di sanzioni internazionali e continua a indebolire l’economia irachena e, di riflesso, la capacità del governo di mitigare i danni derivanti dal cambiamento climatico attraverso investimenti volti all’ammodernamento delle strutture idriche.

Oltre a ciò, gli impianti non dispongono neppure delle attrezzature necessarie per mitigare almeno parzialmente i livelli di contaminazione delle acque, ossia per contrastare i livelli di salinità dell’acqua, né tantomeno dispongono della quantità di cloro necessaria per sterilizzarla. Infatti, la vendita di cloro è stata fortemente ridotta poiché questa sostanza veniva impiegata dai combattenti dello Stato Islamico (IS o Daesh) nella produzione di ordigni esplosivi improvvisati. Ma, in ogni caso, anche se la vendita del cloro non fosse sensibilmente ridotta, si stima che nessun livello di cloro sarebbe sufficiente a purificare l’acqua dello Shat al-Arab, fortemente inquinata dopo quasi 40 anni in cui i canali sono stati usati come discarica a cielo aperto. In più, tutti questi fattori hanno causato la nascita nel letto del fiume di una particolare alga, che si nutre delle sostanze nocive e rilascia biotossine, alimentando il circolo vizioso dell’inquinamento e innalzando esponenzialmente i livelli di tossicità dell’acqua.

L’inquinamento delle acque ha provocato danni anche ai principali settori produttivi della provincia di Bassora. L’attività agricola, che, come già accennato, era la principale fonte di impiego e sostentamento per la popolazione, è ridotta dell’87% a causa della scarsa disponibilità d’acqua potabile. Infatti, gli alti livelli di salinità dell’acqua hanno inaridito il terreno, causando una perdita di suolo coltivabile che, dal 1980, ammonta a 25mila ettari l’anno, oltre che la morte di un numero sostanzioso di piante di dattero, di cui l’Iraq era forte esportatore e che avevano proprio a Bassora l’area di maggior produzione. Inoltre, il settore agricolo non può nemmeno sfruttare l’acqua stagnante delle paludi irachene per irrigare i campi, dato che i livelli di acqua delle paludi appaiono sempre più ridotti di anno in anno. Ciò è dovuto all’eredità lasciata dal regime di Saddam Hussein: negli anni ’90, infatti, il dittatore iracheno aveva ordinato di prosciugare le paludi per punire i contadini della zona, visto che le paludi avevano dato rifugio alle forze ribelli che combattevano contro il regime iracheno. Il corso del Tigri e dell’Eufrate, che provvedeva a rifornire le paludi di acqua, era stato quindi deviato tramite la costruzione di canali artificiali e il territorio ha cambiato i suoi storici connotati, trasformandole in una zona per lo più semi-arida. L’acqua è tornata ad inondare il terreno solo all’indomani della caduta di Saddam Hussein nel 2003, ma il completo recupero delle paludi richiederà molti anni ed innumerevoli sforzi da parte delle autorità competenti.

La sostanziale riduzione delle attività agricole in Iraq ha quindi reso necessario un aumento nelle importazioni di prodotti agricoli, il cui costo è salito, e ha conseguenze anche nel settore dell’allevamento. Infatti è diventato molto più costoso per pastori e imprenditori provvedere al sostentamento del bestiame, in quanto l’acqua disponibile in natura, e quindi il grano coltivato con la stessa acqua, sono tossici e la loro assunzione provocherebbe l’immediata morte degli animali. Di conseguenza, gli allevatori sono costretti ad acquistare presso i rivenditori sia il mangime che l’acqua per i propri animali, per di più a prezzi esorbitanti. Questo perché le aziende private hanno sfruttato l’elevata richiesta di acqua potabile e la scarsità di risorse per aumentare i loro margini di profitto. Ad esempio, il costo dell’acqua in bottiglia è aumentato esponenzialmente: ogni famiglia di Bassora spende in media 60 dollari al mese per comprare la quantità di acqua necessaria al proprio sostentamento, più altri 60 per le risorse idriche destinate all’igiene personale. Considerato che il reddito familiare medio in Iraq è di 140 dollari al mese, la maggior parte dei nuclei familiari non possiede abbastanza risorse economiche per colmare altre necessità, visto che la maggior parte dello stipendio viene utilizzato per l’acquisto di acqua potabile. Nonostante ciò, la disponibilità di risorse idriche per la popolazione appare comunque gravemente al di sotto della media globale: infatti, in media, ogni cittadino iracheno ha accesso a 2467 m3 di acqua all’anno, contro i 5800 m3 a livello globale.

L’aggravarsi delle condizioni di vita ha inoltre generato un imponente fenomeno migratorio dalla provincia del Bassora verso le province confinanti, il che ha ulteriormente accelerato il degradamento ambientale, visto che a maggiori ettari di terreno abbandonati corrisponde un aumento dell’estensione dell’area semi-desertica e quindi una maggiore frequenza e l’intensità delle tempeste di sabbia che sconvolgono la zona.

Nel complesso, la scarsità delle risorse idriche fin qui delineata ha ripercussioni anche nel già precario panorama di sicurezza dell’area. Infatti, la competizione per il controllo e lo sfruttamento di risorse così scarse favorisce l’inasprimento delle tensioni già esistenti tra una varietà di attori locali, organizzati su base tribale o afferenti a milizie armate. Infatti, da un lato la crisi idrica ha palesato la negligenza e la corruzione dilaganti all’interno delle istituzioni governative irachene, con la conseguente perdita di legittimità da parte del governo e delle stesse autorità locali, che non sono nemmeno in grado di fornire alla popolazione i servizi pubblici basilari. Dall’altro, il vuoto lasciato dalle istituzioni è stato sfruttato dalla criminalità locale e da altri attori para-statali per consolidare ulteriormente il proprio controllo, andando ad assumere un ruolo primario nella gestione delle risorse e cercando di porsi come referenti obbligati per la popolazione di Bassora. Inoltre, la scarsità di risorse ha favorito la marginalizzazione degli strati meno abbienti della popolazione, che sono stati quindi maggiormente attratti dalla retorica antigovernativa di gruppi parastatali nella prospettiva di avere accesso ad una porzione delle risorse. Questo circolo vizioso, che di fatto riduce ai minimi termini i livelli di governabilità della zona, rischia di fratturare ulteriormente il già frammentato scenario politico e sociale in Iraq meridionale, minacciando non solo i livelli di produzione petrolifera nazionale, ma anche la stabilità di una regione che si trova a dover fare i conti con la ricostruzione del proprio panorama politico, economico e securitario nell’era post-Daesh.

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