Il modello delle Repubbliche Baltiche nel contesto della lotta alla crisi economica globale
Gli scenari conseguenti alla crisi globale hanno evidenziato delle criticità nel sistema economico dell’UE che così come era stato strutturato con il Trattato di Maastricht e con le successive fasi del Patto di Stabilità e Crescita e del Trattato di Lisbona, non appare più adatto ai tempi; per ovviare a questo è stata intrapresa una riforma della governance economica che, nel giro di pochi anni, ha già fatto registrare l’introduzione di strumenti di stabilizzazione finanziaria in parte già operativi (i cosiddetti fondi salva-Stati EFSF e poi ESM) nell’ambito della strategia denominata OTM.
Tutti i principali protagonisti della scena europea stanno risentendo del difficile momento economico, seppure in maniera diversa; in tale contesto si accentuano gli studi che hanno per oggetto le osservazioni sugli effetti della crisi nei diversi Paesi e le conseguenti politiche di risanamento adottate.
A destare l’attenzione di molti analisti negli ultimi anni è la singolarità della situazione di Estonia, Lettonia e Lituania; si tratta di giovani Repubbliche (che hanno riacquistato l’indipendenza dopo un lungo periodo di occupazione sovietica), con caratteristiche storiche, politiche e culturali diverse tra loro, ma accomunate da un comune denominatore costituito dai dati macroeconomici che si pongono in controtendenza rispetto a quelli degli altri Paesi europei.
Entrate a far parte dell’Unione nel 2004, dopo qualche anno si sono trovate ad affrontare gli effetti di una crisi che ha in parte ridimensionato la progressione economica raggiunta fino a quella data.
Per fronteggiarla hanno operato scelte coraggiose comprendenti tagli alla spesa statale, riduzione dei salari nel pubblico impiego, riforme strutturali del sistema sanitario e pensionistico ed incentivi fiscali.
Tutte queste caratteristiche, unitamente alla stabilità politica ed alla dotazione di infrastrutture funzionali, hanno determinato un notevole interesse da parte di investitori, già attratti dalla particolare posizione geografica che li vede collocate tra l’Europa e la Russia, intervenuti con determinazione in settori quali servizi pubblici, telecomunicazioni e banche, che negli ultimi anni hanno subito un notevole incremento negli investimenti.
L’Estonia (che l’unica, tra le tre Repubbliche Baltiche, ad avere adottato nel 2011 la moneta unica europea) continua a far registrare segnali positivi (proviene da un avanzo di bilancio registrato nel 2011 pari all’1%); attualmente è tra i Paesi dell’eurozona con il più basso debito pubblico e, nello stesso contesto è uno dei pochi a rispettare i criteri deficit/debito; nonostante ciò, stime divergenti parlano di una disoccupazione pari al 16%, con una produzione industriale in calo rispetto ai livelli raggiunti negli scorsi anni.
Il sistema bancario estone continua ad essere solido, favorito in ciò da una forte presenza di gruppi finanziari svedesi (Sedbank e SEB Pank), finlandesi (Nordea Pank) e danesi (Sapo Pank) che giocano un ruolo fondamentale per l’economia, nonché da una serie di altri investitori (anche italiani) con minori ma interessanti quote di mercato.
In Lettonia, le stime predisposte dalla banca centrale per il 2012 sembrano essere confermate ed in qualche caso anche superate da alcuni risultati positivi: si parla di una crescita pari circa al 6% con un incremento del PIL pari al 5% rispetto allo scorso anno.
Tra le variabili che hanno contribuito al raggiungimento di tali risultati c’è sicuramente un’adeguata politica delle esportazioni.
Altro fenomeno attuale è rappresentato dai livelli record dei depositi bancari di proprietà di investitori non residenti (il 49% dei depositi totali) che nello scorso anno sono stati quantificati in circa 5,6 miliardi di lats (equivalenti a circa 8 miliardi di euro): un flusso finanziario considerevole (rapportato alla grandezza del Paese) riconducibile ad investitori provenienti dall’Europa ed, in parte, da Russia, Kazakhstan e Uzbekistan, Paesi che hanno deciso di sostituire i vecchi mercati bancari finora usati (logorati dalla crisi) con il mercato Lettone (l’interesse è dato sia dalla vicinanza geografica sia per la presenza di una grossa percentuale di popolazione di etnia russa, pari al 30%, e di un ulteriore 8% di popolazione russofona).
Tuttavia la tematica dei fondi esteri ripropone una riflessione attenta circa il controllo dei flussi finanziari onde evitare che capitali di dubbia provenienza possano costituire la principale causa di instabilità del sistema bancario.
Il governo lettone intanto ha approvato il progetto di legge contenente le misure da adottare in vista dell’ingresso nella zona euro previsto per il 1 gennaio 2014, e nelle più recenti apparizioni pubbliche molti dei rappresentanti governativi hanno sottolineato come tale scelta sia l’unica strada da percorrere per il conseguimento degli obiettivi di stabilità e di crescita.
Resta da chiedersi quanto tali propositi coincidano con la volontà di una popolazione cosmopolita e multietnica e quanto le scelte politiche potranno essere influenzate dalle dinamiche a ciò connesse.
La Lituania per certi versi sembra risentire in maniera più accentuata della crisi: nel 2011 si era registrato un andamento positivo dell’economia, caratterizzato da risultati apprezzabili nei settori delle costruzioni, trasporti e comunicazioni.
L’obiettivo di contenere un deficit al di sotto del 3% del PIL, per l’anno in corso, potrebbe essere raggiungibile ma non senza problemi.
Le scelte politiche che la nuova compagine governativa, vincente nelle elezioni dello scorso mese di ottobre, dovrà necessariamente compiere dovranno tenere conto di un livello di disoccupazione pari al 13% ed un tasso di emigrazione elevato che per molti rappresenta un serio problema di ordine demografico.
Sul fronte monetario vi sono molte perplessità, visto che la Lituania ha aderito al “Patto per l’Euro”, ritenendo ragionevolmente valide le strategie adottate per l’ingresso nella moneta unica, anche se non è ancora stata stabilita una data fissa e nella prospettiva del contenimento del deficit di bilancio ciò potrebbe avvenire non prima del 2016.
Un’analisi più accurata non può non tenere conto che si tratta di economie di Paesi che complessivamente contano circa 6 milioni di abitanti (la cui gestione ovviamente non è paragonabile ad altri paesi limitrofi) e che negli ultimi anni hanno avuto dei finanziamenti europei e del FMI pari a elevatissime percentuali dei rispettivi PIL, cui si aggiunge un massiccio aiuto da parte delle banche investitrici internazionali; elementi questi difficilmente riscontrabili, nella stessa misura, negli altri membri dell’Unione.
Sostanzialmente, alle Repubbliche Baltiche va riconosciuta l’efficacia dei piani di fiscal adjustment adottati tramite tagli alla spesa ed idonee riforme strutturali nonché l’aver incentivato le esportazioni, uno dei fattori trainanti dell’economia.
A prescindere dalle soluzioni alla crisi che verranno adottate da una Unione Europea di fatto divisa tra i 17 Paesi della zona euro ed i restanti che non hanno ancora adottato la moneta comune, il caso delle Repubbliche Baltiche evidenzia l’importanza degli investimenti esteri e quanto sia proficuo adoperarsi per creare i contesti più favorevoli per attirare gli stessi.
Ovviamente, le specificità delle diverse economie fanno si che non sia possibile parlare di esportazione di un unico modello, ma di fatto è dimostrabile che quando concorrono più interessi è possibile progettare strategie favorevoli.