Il futuro incerto del nuovo Medio Oriente: bilanci, prospettive e scenari dopo il primo anno di guerra
Medio Oriente e Nord Africa

Il futuro incerto del nuovo Medio Oriente: bilanci, prospettive e scenari dopo il primo anno di guerra

Di Marco Di Liddo, Giuseppe Dentice, Tiziano Marino, Emmanuele Panero e Alexandru Fordea
07.10.2024

Il 7 ottobre 2023, il brutale attacco di Hamas contro la popolazione civile ed alcuni obiettivi militari nel sud di Israele ha innescato un inarrestabile processo di cambiamento politico, militare, economico e psicologico in tutto il Medio Oriente. Di fatto, si tratta di un avvenimento che ha impattato la regione nella sua interezza con la forza di un asteroide, generando uno tsunami che ha già iniziato a modificare, in maniera quasi irreversibile, i connotati di quel quadrante di mondo che va da Istanbul a Teheran ed attraversa Beirut, Damasco, Baghdad, Amman, il Cairo e Riyadh.

L’azione di Hamas ha segnato il superamento di qualsiasi immaginabile “linea rossa” che delimitava lo spettro del politicamente e militarmente ammissibile ed ha violato il mito dell’invulnerabilità e dell’invincibilità di Israele. Tel Aviv si è improvvisamente scoperta fragile ed esposta ai durissimi colpi degli avversari nonostante la schiacciante superiorità economica e tecnologica. Il trauma di quello che il popolo israeliano ha definito, senza iperboli, il proprio “11 settembre”, ha scatenato la rabbia dell’intero Paese e ha spinto il governo verso due semplici e chiari obiettivi: ripristinare la piena, incontestabile ed illimitata deterrenza israeliana e chiudere i conti con l’Asse di Resistenza (o Asse del Male a seconda delle prospettive) capitanato dall’Iran e formato dai proxy Houthi, Hezbollah e milizie sciite siro-irachene. In ossequio alla legge biblica dell’Antico Testamento dell’“Occhio per occhio, dente per dente”, Israele ha varcato la propria linea rossa, abbandonando ogni pretesa di proporzionalità nella risposta ad un’offesa armata, con l’intento non solo di neutralizzare le minacce, ma di annichilire i sistemi di potere e le leadership politiche che le generano. In questo calcolo rischioso, non esiste limite predefinito, non esiste forma di pressione che possa avere effetto, anche se proveniente dagli Stati Uniti o dai Paesi europei, non esiste modalità operativa o danno collaterale inaccettabile. Le tante, troppe, vittime civili palestinesi sono un prezzo che Tel Aviv è disposto a pagare poiché rientrano in una valutazione esclusiva in cui è in ballo la sopravvivenza stessa dello Stato e del popolo israeliani. L’accettazione di questa logica massimalista mostra, purtroppo, gli aspetti più inquietanti della trasformazione sociale e psicologica di Israele e la sua virata verso modelli identitari a forte connotazione religiosa e, dunque, millenarista, simili a quelli di India e, paradossalmente, dello stesso Iran degli Ayatollah e dei Pasdaran.

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