I nuovi confini marittimi tra Libano e Israele congelano le reciproche ostilità?
Libano e Israele sarebbero pronte a firmare un accordo sulla demarcazione dei confini marittimi nel Mediterraneo Orientale, ponendo così fine a diversi decenni di disputa nell’area. L’intesa giunge dopo lunghe contrattazioni e dopo il rifiuto iniziale di Israele alle richieste di modifica avanzate dal Libano, che hanno quasi vanificato gli sforzi diplomatici statunitensi in corso dal settembre 2020. Sulla base delle revisioni last-minute, ad Israele andrà l’intero giacimento offshore di Karish (che ha suscitato le principali frizioni tra i due Stati), mentre il Paese dei Cedri avrà piena sovranità sul giacimento di Qana, le cui operazioni di estrazione saranno eseguite dalla società TotalEnergies.
L’attuale accordo è stato reso possibile grazie ad una rara – seppure interessante – convergenza di circostanze. Il Libano è dilaniato da una crisi economico-finanziaria senza precedenti con un’inflazione del 180% ed una svalutazione della lira libanese maggiore del 90%. I proventi economici che deriverebbero dallo sfruttamento del giacimento di Qana (il cui potenziale però è ancora sconosciuto) riempirebbero le oramai vuote casse statali, contribuendo inoltre alla ricostruzione del tessuto socio-economico locale. Probabilmente, la peculiare forma del nuovo accordo potrebbe aver avuto un ruolo maggiore nel convincere le diverse componenti del governo libanese, Hezbollah compreso, ad accettare l’intesa. Questa infatti non si configurerebbe più come un accordo diretto tra Libano ed Israele, bensì come due accordi bilaterali con gli Stati Uniti, di cui uno con Israele e l’altro con il Libano. Sebbene il ruolo da garante securitario assunto dagli Stati Uniti e la formula triangolare (e transazionale) dell’intesa potrebbero ricordare il modello assunto da USA, Marocco ed Israele negli Accordi di Abramo, il significato è del tutto diverso. L’accordo sui confini marittimi non è affatto un riconoscimento – neppure velato – da parte del Libano nei confronti dello Stato israeliano. L’intesa infatti non modifica lo status quo esistente tra i due Paesi che, formalmente, sono ancora in guerra e che continueranno (con tutta probabilità) a non avere relazioni diplomatiche.
L’accordo non sarà nemmeno sufficiente a bloccare, né tanto meno ridurre, la retorica del Partito di Dio, fatta di minacce contro obiettivi sensibili israeliani sia in mare sia sulla terraferma. Tuttavia, Hezbollah sa bene che un potenziale conflitto diretto con Israele non solo comprometterebbe le speranze del Paese di emergere dall’attuale pantano, ma ostacolerebbe anche il suo piano di affermazione regionale. Almeno teoricamente, però, l’accordo gode di una notevole valenza storica sia a livello locale sia sub-regionale. Si tratta del primo accordo che i due Stati, storicamente nemici, hanno firmato dal cessate il fuoco successivo alla guerra del 2006. Oltre a rappresentare un’importante vittoria in virtù del ruolo negoziale assunto, gli USA avrebbero assicurato una parziale stabilità dell’area dati gli interessi economici delle due parti. Inoltre, il successo del ruolo statunitense (congiuntamente all’azione francese) potrebbe potenzialmente aprire la porta a nuovi scenari negoziali in contesti di dispute territoriali ma anche in quelli bellicosi. Indirettamente, quindi, la firma prossima dell’accordo potrebbe contribuire a (ri)affermare un ruolo più incisivo – gradualmente affievolito nel tempo – di Washington nella regione.
Nonostante la sua storicità, l’accordo sulla demarcazione dei confini marittimi non simboleggia però una cessazione delle ostilità tra Libano ed Israele almeno nel medio termine.