Geopolitical Weekly n.319

Geopolitical Weekly n.319

Di Andrea Cerasuolo e Gloria Piedinovi
21.02.2019

Libia

Il 17 febbraio scorso, a Tripoli si è tenuto un summit tra diversi rappresentanti delle milizie ed esponenti del panorama politico della Tripolitania, che hanno dato vita ad un nuovo partito, denominato Assemblea Nazionale Libica (ANL). Al momento, la coalizione resta ancora un’unione di forze militari e politiche eterogenee e diversificate, il cui unico collante è la volontà comune di porre un freno al rafforzamento del Generale Khalifa Haftar.

Leader dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico (ENL), nel 2014 Haftar è stato nominato Ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore dal governo della Cirenaica. Da allora ha incrementato gli sforzi per estendere la sua influenza anche nelle altre regioni della Libia, bilanciando l’azione militare con una costante politica di alleanze con le realtà tribali. Queste alleanze hanno consentito all’ENL di assumere il controllo della regione del Golfo di Sirte nell’autunno 2016. Allo stesso modo, tra l’8 e il 10 febbraio scorsi il Generale è riuscito ad impadronirsi di due nodi di grande rilevanza strategica nella regione del Fezzan, nella Libia centrale: il capoluogo Sebha e il giacimento petrolifero di Sharara. Con il controllo di queste ingenti risorse energetiche, Haftar dispone di un’importante strumento per far valere le proprie rivendicazioni politiche nello scacchiere libico e, soprattutto, nell’ambito del processo di pace guidato dalle Nazioni Unite.

Tuttavia, data l’eterogeneità e la consistenza ridotta dell’ENL, resta incerto se il generale riuscirà a mantenere nel tempo un controllo sui nuovi territori conquistati. Per farlo, egli dovrebbe prima di tutto garantire continuità alle alleanze con le realtà tribali locali. Infatti, è proprio grazie a queste alleanze che Haftar, nelle ultime settimane, ha potuto avanzare nel Fezzan senza che vi fossero, di fatto, scontri armati di una certa entità.

Allo stesso modo, la reale efficacia della nuova coalizione tripolina ANL nel contrastare Haftar e nell’impedire un suo rafforzamento anche in Tripolitania resta subordinata al superamento degli interessi delle singole componenti e, eventualmente, alla creazione di un progetto politico unitario.

Nigeria

Il 16 febbraio, poche ore prima dell’apertura dei seggi, il Segretario della Commissione Nazionale Indipendente per le Elezioni, Mahmood Yakubu, ha annunciato che le elezioni generali sono state posposte di una settimana: per eleggere Presidente della Repubblica e Assemblea Nazionale si dovrà attendere il 23 febbraio mentre le elezioni dei governatori e delle assemblee degli Stati federali slitteranno dal 2 al 9 marzo.

Formalmente, il rinvio è avvenuto a causa delle difficoltà organizzative e procedurali seguite alla rimozione di Walter Onnoghen da giudice capo della Corte Suprema, organo responsabile della va-lidazione dell’esito elettorale. La destituzione di Onnoghen, decisa dal Presidente Buhari, era stata motivata dalla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi del magistrato e aveva scatena-to l’ira delle opposizioni, che avevano sospeso la campagna elettorale e accusato il Presidente in ca-rica di voler condizionare lo svolgimento delle consultazioni popolari. Dunque, al di là delle dichia-razioni pubbliche, il rinvio delle elezioni si è reso necessario al fine di evitare l’escalation delle tensioni tra i partiti politici.

Le elezioni vedono contrapposti numerosi partiti ma sono solo due le formazioni che possono reali-sticamente ambire alla vittoria: il Congresso di Tutti i Progressisti (APC), guidato dal già citato Bu-hari, e il Partito Democratico del Popolo (PDP), capeggiato dall’ex Primo Ministro e imprenditore Atiku Abubakar. Entrambi sono originari degli Stati settentrionali a maggioranza musulmana e ap-partengono all’etnia Fulani, che rappresenta circa il 29% della popolazione. Come da consuetudine costituzionale, per non alienarsi le simpatie degli elettori degli Stati meridionali, i candidati hanno scelto come propri vice due esponenti del sud. Il Presidente Buhari si accompagnerà ad Yemi Osin-bajo di etnia Yoruba, la seconda più numerosa nel Paese, mentre lo sfidante Abubakar ha scelto Pe-ter Obi appartenente agli Igbo, gruppo etnico a cui appartiene il 18% dei nigeriani.

Il Paese più popoloso dell’Africa, con oltre 180 milioni di abitanti, è teatro di molteplici sfide ma quelle più importanti sono sviluppo e sicurezza. Buhari punta alla continuità della sua amministra-zione puntando su lotta alla corruzione e sulla determinazione ad affrontare le molteplici minacce alla sicurezza interna, come il gruppo jihadista Boko Haram. Abubakar, invece, attacca Buhari sulla gestione dell’economia (il PIL della Nigeria è calato di quasi il 34% dal 2014 al 2017) e basa la sua corsa sulla promessa di maggiori opportunità economiche e la creazione di nuovi posti di lavoro.

Senegal

Il 24 febbraio si svolgerà il primo turno delle elezioni presidenziali a cui prenderanno parte cinque candidati. Il favorito, stando agli ultimi sondaggi disponibili, è l’attuale Presidente Macky Sall, 57 anni del Partito Democratico Senegalese (PDS) che punta alla riconferma. Sall è conosciuto in patria come colui che ha costruito il Senegal moderno, contribuendo agli alti standard di stabilità e benessere che lo caratterizzano nel contesto regionale africano. Negli anni del suo primo mandato, a partire dal 2012, il Paese ha conosciuto un notevole sviluppo infrastrutturale: linee ferroviarie, ponti, autostrade e aeroporti sono stati inaugurati frequentemente negli ultimi anni. L’economia è cresciuta del 18,5% dal 2012 al 2017 e nel 2018 si è registrato un aumento del PIL del 6,8% rispetto all’anno precedente.

Fra gli sfidanti, due hanno qualche possibilità di insidiare il favorito: l’ex Primo Ministro Idrissa Seck del Fronte per la Giustizia e il Progresso (FGP, “Remwi”, ossia “popolo” in lingua wolof) e l’esordiente Ousmane Sonko. Il primo, 59 anni, può contare su una base di consenso relativamente estesa, coltivata nel corso di una lunga carriera politica passata al fianco dell’ex Presidente Abdou-laye Wade. Il secondo, 44 anni, è particolarmente popolare fra i giovani senegalesi: un aspetto da non sottovalutare visto che il 60% della popolazione ha meno di trent’anni. Sonko ha acquisito po-polarità anche a seguito della pubblicazione di un suo libro in cui si denunciava la cattiva gestione delle risorse gasiere e petrolifere del Paese.

Tuttavia, molti commentatori sostengono che l’esito delle elezioni sarà condizionato dal fatto che altri due sfidanti come Khalifa Sall, popolare ex sindaco di Dakar, e Karim Wade, figlio dell’ex Presidente Abdoulaye, sono stati condannati rispettivamente nel 2018 e nel 2015 per corruzione e appropriazione indebita. Le opposizioni sostengono che la condanna sia stata ispirata dall’attuale governo che mirava ad eliminare due scomodi rivali di Macky Sall. Benché in carcere, Khalifa Sall ha stretto un’alleanza con Idrissa Seck, invitando i suoi sostenitori a votare per lui. Parallelamente, in difesa del figlio e della suo partito, l’ex presidente Wade ha esortato i suoi simpatizzanti a boicottare le elezioni suggerendo anche di bruciare i registri elettorali.

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