Geopolitical Weekly n.187

Geopolitical Weekly n.187

Di Ce.S.I. Staff
01.10.2015

Sommario: Afghanistan, Burkina Faso, Russia-Siria

Afghanistan

Lo scorso 28 novembre, un gruppo di talebani ha preso d’assalto la città di Kunduz, capoluogo dell’omonima provincia nel nord del Paese. Il contingente talebano, formato da alcune centinaia di militanti, ha attaccato il centro abitato da tre distretti circostanti (Imam Sahib a nord, Khanabad a sudest, Chardara a sudovest): installatisi nei principali palazzi governativi ed espugnata la prigione, i miliziani hanno conquistato le principali arterie stradali e hanno sferrato un pesante attacco contro l’aeroporto locale per cercare di assumere il controllo delle vie d’accesso alla città. Kunduz, infatti, rappresenterebbe un avamposto assolutamente strategico per la militanza, poiché situato a ridosso delle principali rotte per i traffici di droga e armi provenienti dal Tajikistan e dalle regioni dell’Asia Centrale.

L’episodio ha messo in drammatica evidenza le difficoltà che le Forze di sicurezza nazionali (Afghan National Security Forces – ANSF) tuttora hanno grandi difficoltà nel respingere gli attacchi dell’insorgenza. Nonostante Esercito e forze di polizia fossero intervenute per cercare di contenere l’assalto dei talebani a Kunduz, infatti, solo l’intervento delle Forze speciali statunitensi, supportato dal dispiegamento di alcuni assetti aerei americani, ha consentito sia di mantenere il controllo governativo sull’aeroporto sia di iniziare le operazioni di bonifica, ancora in corso, del centro urbano.

La battaglia per il controllo di Kunduz è solo l’ultimo esempio dell’impossibilità per le ANSF di garantire la sicurezza all’interno dei confini nazionali. Nell’ultimo anno, infatti, l’attività dell’insorgenza si è intensificata a macchia di leopardo su tutto il territorio e i talebani sono riuscita a prendere il controllo di interi distretti non solo nelle tradizionali roccaforti del sud e dell’est del Paese ma sempre più spesso anche nelle provincie settentrionali (oltre a Kunduz, anche Badakhshan e Takhar).

Burkina Faso

Giovedì 1 ottobre il Gen. Gilbert Diendéré, ex Comandante del Reggimento della Guardia Presidenziale (RGP) e capo del Consiglio Nazionale della Democrazia (CND), è stato arrestato dalle autorità burkinabè. Dienderè, lealista dell’ex Presidente Blaise Compaorè,  lo scorso 17 settembre, coadiuvato dal RGP, si era reso protagonista di un fallito tentativo di colpo di Stato, culminato con la creazione della giunta del CND, avente lo scopo di rovesciare il Presidente Miachael Kafando e il Primo Ministro Zida. Questi ultimi, a loro volta, avevano assunto il potere lo scorso anno, in seguito all’esautorazione di Compaorè, avvenuta a causa di una estesa rivolta popolare sostenuta dalle Forze Armate. La decisione di Dienderè è giunta dopo una settimana di profonda tensione nella capitale Ouagadougou, dove si sono affrontati il RGP, espressione del CND, e alcuni reparti delle Forze Armate, fedeli a Zida e al governo legittimo. Il bilancio degli scontri è stato di 11 morti. Un ruolo decisivo per la resa dei golpisti è stato svolto dalla diplomazia vaticana. Infatti, pur di sfuggire all’arresto, Dienderè si era rifugiato nella locale sede del Nunzio Apostolico, il quale, dialogando costantemente con il governo burkinabè, ha contribuito alla cessazione delle ostilità.

L’arresto di Dienderè potrebbe aver interrotto definitivamente il tentativo, da parte dei lealisti di Compaorè, degli ex membri del suo partito (il Congresso per la Democrazia e il Progresso) e della RGP di interrompere il processo di rinnovamento politico avviato da Kafando e Zida. Tuttavia, allo scopo di evitare nuove violenze nel prossimo futuro, appare necessario, per il governo di transizione di Kafando e Zida, migliorare il meccanismo di dialogo con i lealisti di Compaorè e con tutte le forze politiche e i movimenti della società civile burkinabè. Infatti, in assenza di un confronto costruttivo e inclusivo tra tutte le anime politiche del Paese, sussiste il rischio del ripetersi di situazioni di crisi simili a quelle che hanno condotto al tentativo di golpe di Dienderè e del RGP.

Russia – Siria

Lo scorso 30 settembre, su richiesta di Damasco, il Governo russo ha avviato una campagna aerea in Siria a supporto delle Forze Armate lealiste del Presidente Bashar al-Assad. Nello specifico, negli ultimi due giorni sono state compiute alcune decine di sortite nelle regioni di Hama, Homs e Idlib contro obbiettivi dell’Esercito della Conquista, coalizione che riunisce gruppi salafiti e jihadisti, tra i quali al-Nusra (costola siriana di al-Qaeda), Haram ash-Sham e dello Stato Islamico. Gli attacchi hanno colpito veicoli, depositi di armi, postazioni e centri di comando e controllo dei gruppi in questione. Tra i velivoli impiegati dall’aviazione russa occorre segnalare i Su-24 FENCER, per interdizione, i Su-25 FROGFOOT, per supporto aereo ravvicinato, e, soprattutto, i Su-34 FULLBACK per la conduzione di attacchi in profondità e a lungo raggio. Secondo alcune fonti del Cremlino, la missione militare potrebbe durare dai 3 ai 4 mesi. Si tratta del primo intervento militare ufficiale della Russia al di fuori del proprio territorio dalla Guerra in Georgia dell’agosto 2008.

La decisione di colpire le formazioni jihadiste costituisce l’apice del significativo aumento di attività che le Forze Armate di Mosca hanno fatto registrare in Siria nelle ultime settimane, a cominciare dall’invio sia di mezzi e uomini nelle basi militari della regione di Latakia sia di equipaggiamento per le truppe siriane fedeli ad Assad. Dal punto di vista strategico, la decisione del Cremlino ha il triplice scopo di tutelare i propri assetti militari in territorio siriano, come la base di Tartous che permette la presenza russa nel Mar Mediterraneo, di difendere il Presidente Assad (almeno fino all’apertura di un possibile tavolo di trattative sul futuro assetto della Siria) e supportare le forze lealiste, messe in difficoltà dalla recente avanzata dei miliziani ribelli, e infine di neutralizzare i gruppi jihadisti operanti nella regione nord occidentale della Siria compresi quelli che hanno usufruito del sostegno logistico e addestrativo del governo statunitense.

L’azione militare russa ha colto di sorpresa le Cancellerie occidentali e, in particolare, quella di Washington e Parigi, parte della coalizione internazionale anti-Stato Islamico. Il Cremlino e i Paesi occidentali appaiono ancora fortemente divisi sulla strategia per la risoluzione della crisi siriana, in particolare per quanto riguarda il destino di Assad. Infatti, mentre la Russia vorrebbe coinvolgere l’attuale Presidente in un processo di dialogo con le opposizioni e i gruppi ribelli non jihadisti, gli Stati Uniti e la Francia considerano irrinunciabile l’esautorazione di Assad quale base per qualsiasi transizione politica. Tuttavia, la crescita del fronte terroristico e la risolutezza della decisione russa potrebbero spingere i diversi Paesi coinvolti nella crisi a rivendere alcune delle proprie posizioni, cercando una soluzione che cerchi di conciliare le necessità della popolazione siriana, le agende dei diversi gruppi politici e la strategia degli attori internazionali.

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