Geopolitical Weekly n.125
Israele
Lo scorso fine settimana le autorità israeliane hanno scoperto un maxi-tunnel illegale destinato, una volta completato, a realizzare un passaggio segreto tra la Striscia di Gaza e il territorio israeliano. La scoperta è stata quasi fortuita. Il tunnel – lungo ben 1,7 chilometri e profondo circa 15 metri – avrebbe terminato il proprio percorso nelle vicinanze del kibbutz di Ein Hashlosha, i cui abitanti si sono rivolti alle autorità perché allarmati dai rumori degli scavi. Un simile tunnel era stato utilizzato nel 2006 dagli uomini di Hamas – la cui dirigenza, in questa circostanza, ha affermato la propria estraneità al progetto – per il sequestro del soldato israeliano Gilad Shalit, liberato nel 2011 dopo a seguito di un accordo con il governo di Tel Aviv.
La notizia, a seguito della quale l’esecutivo israeliano ha annunciato una nuova sospensione delle autorizzazioni per l’importazione di materiali edili nella Striscia di Gaza, arriva in un momento in cui il graduale logoramento delle condizioni di sicurezza nei Territori Palestinesi rischia di gettare nuove e pesanti incognite sulla ripresa dei negoziati di pace. Negli ultimi giorni, gli episodi di violenza hanno interessato in modo particolare la Cisgiordania, dove il movimento Fatah sembra riuscire sempre meno a tenere a freno la crescente insofferenza della popolazione locale. Qui giovedì sera un uomo palestinese ha tentato di fare irruzione in una base militare israeliana a bordo di un bulldozer prima di essere colpito a morte; venerdì scorso, l’attacco di un gruppo di palestinesi armati di spranghe di ferro aveva causato la morte di un cittadino israeliano appena uscito dalla propria abitazione. Il 10 ottobre, alcuni coloni ebraici avevano invece assaltato una moschea nel villaggio di Burqa e dato fuoco a diverse automobili.
Iran
I negoziati sul programma nucleare iraniano che si sono tenuti a Ginevra il 15 e 16 ottobre fra l’Iran e il gruppo dei 5+1 (USA, Regno Unito, Francia, Russia, Cina e Germania), sono stati i primi in cui la Comunità Internazionale ha potuto saggiare il nuovo approccio del neo-eletto Presidente Rowhani. Sui colloqui è stato imposto il più stretto riserbo, ma quel che è trapelato è la necessità di entrambe le parti di giungere a risultati tangibili nel più breve tempo possibile. Infatti, se per il team iraniano l’urgenza è dettata dalla disastrosa situazione in cui le sanzioni hanno costretto l’economia nazionale, per il 5+1 è l’opportunità di dimostrare l’efficacia di un processo negoziale che sinora non ha impedito al programma nucleare di fare enormi progressi. La proposta iraniana, inoltre, dovrebbe prevedere tre fasi finalizzate al raggiungimento di un accordo nel giro di un anno, in cui l’Iran continua l’arricchimento domestico dell’uranio in cambio, però, dell’accettazione di un robusto regime di ispezioni e di una cessazione della linea di arricchimento al 20%.
Marocco
Il 10 ottobre scorso il rimpasto del governo marocchino ha segnato la conclusione della crisi politica che ha afflitto il Paese negli ultimi mesi, dopo il ritiro, nello scorso luglio, di al-Istiqlal, partito conservatore filo-monarchico, dall’esecutivo. In quel momento, al-Istiqlal aveva deciso di togliere la fiducia al governo guidato dal partito islamista moderato PGS (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) come forma di protesta contro le misure di austerity, i tagli alla spesa pubblica e la sospensione dei sussidi statali alla popolazione. Il nuovo governo, formato da 39 ministri, di cui 6 donne, vedrà la partecipazione dell’UNI (Unione Nazionale degli Indipendenti), formazione filo-monarchica vicina alle posizioni di politica economica del PGS che ha ottenuto il prestigioso dicastero degli Esteri. Nonostante la risoluzione della crisi, la tenuta e la stabilità del governo marocchino e del PGS continuano a essere precari, a causa soprattutto del diffuso malcontento popolare dovuto alle severe misure di contenimento della spesa pubblica e di riduzione del budget destinato al welfare.
Repubblica Centrafricana
Il 7 ottobre si sono verificati violenti scontri tra le milizie di Seleka (coalizione sorta dall’unione della Convenzione dei patrioti per la Giustizia e la Pace CPJP e dalla Convenzione patriottica per salvare il Paese CPSK) e gruppi armati locali di Garga, viaggio 250 km a sud della capitale Banguì. Il bilancio degli scontri è stato di almeno 60 vittime, molte delle quali morte durante il rogo del villaggio. La situazione nel Paese è sempre più caotica da quando i ribelli, dopo il colpo di Stato di marzo, hanno costretto alla fuga il presidente Francois Bozizè. Michel Djotodia, leader di Seleka e nuovo presidente del Paese, non è riuscito però a controllare completamente i gruppi armati un tempo suoi alleati, i quali hanno iniziato a non rispondere più ai suoi ordini. Interi villaggi sono stati rasi al suolo e decine di migliaia di persone sono state costrette alla fuga. Vista la situazione, la Francia, a tutela dei propri interessi nella regione, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di considerare un possibile assorbimento e ampliamento della missione di pace dell’ECCAS (Economic Community of Central Africa States). Nel frattempo, il governo di Parigi ha annunciato la volontà di aumentare la propria presenza militare nella Repubblica Centrafricana, portando il proprio contingente a Banguì da 410 a 800 uomini.