Draghi in Libia: una visita per il rilancio dell’Italia nel Mediterraneo
Il 6 aprile, il Presidente del Consiglio Mario Draghi, accompagnato dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, si è recato a Tripoli per una visita di Stato molto attesa. Negli incontri con le autorità del Governo di Unità Nazionale (GNU), Draghi ha puntato a far emergere un carattere prettamente politico nel quale si è evidenziata una volontà e una chiara ambizione italiana nell’intestarsi il processo di transizione libica. La visita del Premier a Tripoli, la prima dall’insediamento del 13 febbraio, si pone di fatto in continuità con l’intenso lavoro diplomatico svolto nelle settimane precedenti dal Ministro Di Maio, dall’Ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Buccino, e dall’Inviato Speciale per la Libia, Pasquale Ferrara, con gli stessi leader libici del GNU.
Al centro dei colloqui di Draghi con l’omologo Abdulhamid Dbaiba vi sono stati diversi argomenti: dall’endorsement politico alle nuove istituzioni transitorie libiche – in una chiara ottica di consolidamento del processo di pacificazione del Paese sino alle elezioni generali del 24 dicembre prossimo – sino al rafforzamento della cooperazione in ambito bilaterale, attraverso un’azione congiunta su temi quali energia (forniture di gas e petrolio, transizione green, investimenti nelle infrastrutture elettriche), sanità (soprattutto in materia di vaccini e forniture di materiale medico necessario per affrontare l’epidemia di Covid-19) sicurezza (la lotta alle migrazioni illegali e ai fenomeni asimmetrici che si richiamano al terrorismo e alla human security), economia (ricostruzione delle infrastrutture distrutte dalla guerra e delle commesse interrotte dopo il 2011) e tecnologia (si pensi alla possibilità di inserire la Libia all’interno della questione BlueMed e al tema sempre più cruciale dei cavi marittimi).
In questa prospettiva, la visita di Draghi è fondamentale per una serie di elementi di riflessioni, a cominciare dal fattore economico-commerciale che fa da traino a tutte le altre dimensioni della cooperazione bilaterale. L’insediamento di un nuovo esecutivo di unità nazionale e la ricerca di una vasta rete di appoggi e interessi su scala internazionale potrebbe vedere l’Italia avvantaggiata in virtù della nostra postura di diplomazia economica e della peculiare capacità di Roma di proporsi come attore/mediatore in termini di soft-power. Di fatto in questo contesto, l’Italia potrebbe fornire un aiuto concreto e ben apprezzato dalle parti di Tripoli, che ha mostrato disponibilità e interesse nel rialimentare il dialogo con Roma. Una convergenza utile anche allo stesso GNU per garantirsi una certa capacità di galleggiamento rispetto alle tendenze ben più assertive di altri attori regionali e internazionali, oggi decisamente rilevanti nel dossier libico (su tutti Russia e Turchia). In questo senso, l’aspetto economico potrebbe aprire una riflessione dal punto di vista politico, sia in termini di rapporti bilaterali, sia in relazione alle capacità di Roma di proiettare e rafforzare la sua azione esterna nell’intero Mediterraneo, sfruttando così le opportunità e le coincidenze offerte dal contesto internazionale e dagli schemi di alleanze ai quali l’Italia si richiama in queste condizioni.
Un’opportunità nuova con evidenti ricadute geopolitiche, economiche e strategiche per la nostra diplomazia dopo i passaggi a vuoto del recente passato. Altresì la coincidenza tra dinamiche differenti a più livelli ha permesso un ritorno in campo della diplomazia come strumento di mediazione e risoluzione della crisi, garantendo al contempo una postura più adeguata al ruolo italiano nel dossier libico.
Ulteriore fattore cruciale per comprendere e avvalorare il “ritorno” italiano in Libia è dato dal nuovo contesto internazionale a noi favorevole, specie dopo l’elezione del Presidente Joe Biden negli USA e l’investitura più o meno diretta che l’Amministrazione americana ha dato all’Italia in particolare nelle questioni riguardanti il Mediterraneo – che nelle intenzioni di Washington si inseriscono in una chiave di lettura anti-russa e anti-cinese nell’area. Proprio queste circostanze esterne e una rinata vocazione più europea del Governo Draghi, potrebbero aiutare l’Italia a vedersi riconosciuta una gestione diretta e importante delle dinamiche libiche, nonché una concertazione anche su altre questioni fondamentali per la sicurezza comunitaria che vanno ben oltre i confini geografici della Libia. Una condizione facilitata anche dalla ritrovata sincronia tra Italia ed Egitto. Quest’ultimo, in particolare, ha rimodulato il suo approccio verso il dossier libico in virtù delle mutate condizioni strategiche e ambientali che hanno portato Il Cairo a trovare una certa sintonia con Roma su più temi trasversali di sicurezza riguardanti sia l’Africa mediterranea e subsahariana. Altresì, la Libia è una naturale porta di accesso verso la vasta regione desertica del Sahel, attraversata da minacce di sicurezza molteplici (terrorismo, smuggling e trafficking) e nella quale Roma andrà ad operare all’interno della task force Takuba, la quale esprimerà un contingente italiano che opererà in coordinamento con l’operazione francese Barkhane.
Anche in quest’ottica, il ruolo italiano potrebbe essere cruciale non solo nel presente ma anche nel prossimo futuro libico, soprattutto se le iniziative italiane riusciranno a salvaguardare politicamente questa fase di transizione impegnativa ed estesa, nella quale Roma, in coordinamento con l’UE e gli Stati Uniti, potrebbe sviluppare una risposta unica atta a bloccare e isolare gli spoiler nazionali e internazionali, riorientando il binario politico su interessi e obiettivi comuni (sostegno al dialogo politico e riforma del settore della sicurezza).
In tal senso, questa tempestiva serie di contatti e incontri ai massimi livelli mostra non solo una rinnovata attenzione italiana per gli sviluppi libici, ma anche una fiducia e una volontà nel ribadire un ruolo politico del Paese nell’intero assetto geopolitico e di sicurezza del Mediterraneo allargato.