Dal Colonnello alle milizie
Medio Oriente e Nord Africa

Dal Colonnello alle milizie

Di Staff Ce.S.I.
29.08.2013

A 2 anni dalla caduta di Gheddafi, la Libia non è riuscita ancora a portare a pieno compimento il processo di ricostruzione delle proprie istituzioni; sul piano della sicurezza, la Polizia e le Forze Armate rimangono deboli e poco organizzate e il Paese resta così vittima delle lotte tra le tante milizie ancora attive dalla fine della guerra civile. Questi gruppi di combattenti, circa 300 in tutto il Paese, rimangono legati più alle tradizionali appartenenze tribali che alle istituzioni nazionali. Proprio per questo, la stragrande maggioranza delle milizie che si erano formate durante la guerra contro i lealisti del Rais si sono finora rifiutate di cedere le armi al Governo e hanno rigettato qualsivoglia piano di integrazione all’interno delle Forze Armate libiche. È così che le istituzioni centrali non sono riuscite ancora a mettere in piedi un Esercito nazionale. Anche perché una cospicua fetta dei fondi destinati dal Governo al rafforzamento delle Forze Armate viene invece utilizzata dal Ministero della Difesa per finanziare le varie milizie e tenerle buone per evitare che compiano operazioni come l’assedio dell’ufficio del Primo Ministro Zindan, avvenuto alla fine del marzo scorso, o di quelli dei Ministeri della Giustizia e degli Esteri, avvenuto a fine aprile e durato circa 15 giorni. In questo modo, le milizie non solo si garantiscono una sicura fonte di finanziamento, ma riescono anche a manipolare la politica libica, esattamente come avvenuto in occasione dell’assedio ai Ministeri, conclusosi solo quando il Governo ha approvato una legge che bandisce dalle cariche pubbliche chiunque abbia fatto parte del passato regime. Tra le più importanti milizie, per numero di effettivi e per capacità, vi è da annoverare la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio, che conta circa 12 battaglioni e possiede un importante arsenale di armi leggere e pesanti grazie al controllo di numerose caserme del vecchio regime situate in tutta la Cirenaica. La Brigata, data la sua importanza, è una delle milizie che ricevono finanziamenti dal Ministero della Difesa. Vi è poi la Brigata dei Martiri di Abu Salim, milizia composta da ex combattenti jihadisti che prende il suo nome dal carcere di Abu Salim, la struttura dove il regime di Gheddafi era solito internare gli oppositori islamisti. Tra le prime a formarsi durante la rivolta contro il Colonnello, la Brigata è nata sulle ceneri di alcune delle realtà islamiste attive in territorio libico; al momento, tuttavia, si hanno poche notizie circa la sua affiliazione al network jihadista globale. Grazie alla forza e all’importanza che ha raggiunto nel corso della guerra civile, un’altra realtà rilevante è il Consiglio Militare di Zintan, assurto agli onori delle cronache poiché tuttora detiene, dopo la sua cattura, il figlio del Rais, Saif al-Islam. Uno dei suoi leader, Osama al-Juwali, è stato Ministro della Difesa fino a novembre 2012, circostanza che ha fatto della milizia uno dei principali fruitori dei finanziamenti statali, ma che ha causato, parallelamente, i malumori di altri gruppi le cui proteste hanno portato alla sostituzione di Juwali. Il Consiglio Militare di Zintan è composto da 5 brigate, la più importante delle quali è la Brigata Mohammed al-Madani, per un totale di circa 4.000 uomini. Un discorso a parte merita la città costiera di Misurata, dove l’autorità centrale del Governo di Tripoli non è assolutamente riconosciuta, che è amministrata come una vera e propria “città Stato”. Qui, tra le altre, è attiva la Brigata Sadun al-Suwayli. Oltre ad aver partecipato all’avanzata verso Tripoli, la Brigata ha guidato l’assalto finale contro Sirte, ultima roccaforte di Gheddafi. Al di là del controllo di Misurata, una parte dei miliziani, rimasta nella capitale, continua ad occuparsi della protezione di alcuni edifici governativi. In questo modo la Brigata garantisce che la propria voce sia ascoltata a Tripoli. Vi è, poi, Ansar al-Sharia. Quest’ultima, di fatto, non può essere considerata solo una vera e propria milizia perché, nei fatti, al momento è la realtà in Libia più vicina al network del qaedismo internazionale, con legami non solo con la leadership centrale di Al Qaeda in Pakistan, ma anche con tutta la costellazione delle realtà jihadiste regionali, da Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) all’omonima Ansar al-Sharia tunisina. Sono stati proprio esponenti di questo movimento a organizzare e ad effettuare, durante le manifestazioni di protesta dello scorso 11 settembre, il blitz contro il consolato statunitense a Bengasi nel quale ha perso la vita l’Ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens. Più che indicare specificamente un preciso gruppo, in ogni modo, il termine Ansar al-Sharia può essere considerato un ombrello sotto il quale gravitano diverse realtà jihadiste. Sicuramente, la spina dorsale di tale realtà è il gruppo di militanti jihadisti facenti capo alla leadership di Derna, villaggio sulla costa orientale libica, a circa 300 chilometri dal confine con l’Egitto. Storicamente, Derna è stato il luogo dove hanno trovato rifugio i leader del Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG) durante la repressione da parte del regime di Gheddafi. Tra i leader più importanti del panorama islamista vi è, poi, Wisam Ben Hamid, giovane combattente originario dell’area di Sirte. Hamid non può tuttavia essere indicato come un leader jihadista in senso stretto, e la sua resta una figura alquanto trasversale. In primo luogo, perché intrattiene frequenti rapporti con la stampa libica e il suo è un volto assai noto al grande pubblico del Paese: in questo senso, la sua immagine appare particolarmente lontana da quello che è lo stereotipo del leader jihadista, sfuggente e nascosto per non attirare troppe attenzioni e non essere facilmente localizzabile. In più, poi, Hamid nasce come leader di 2 milizie in partenza non assimilabili al contesto jihadista, cioè la Katiba al-A’hrar Libya e la Katiba Dir’ Libya, molto attive a Sirte e nella regione desertica, sud-orientale, di Cufra. Con il passare del tempo, la figura di Hamid si è fatta sempre più autorevole, tant’è che attualmente egli è il leader della Forza Scudo Libia, destinataria di finanziamenti diretti del Ministero della Difesa: si tratta di un ombrello che raccoglie numerose milizie, non solo legate all’universo jihadista, presenti in tutto il Paese. La Forza Scudo è organizzata sulla falsariga di un vero e proprio esercito, con 3 brigate strutturate su base regionale che operano nel mantenimento dell’ordine pubblico e hanno ruoli di combattimento. È ipotizzabile, altresì, che nel rafforzamento di questa milizia possa avere avuto un ruolo lo stesso Hamid, grazie anche ai suoi contatti con il mondo jihadista. Nel 2011, si era parlato anche della possibilità che lo stesso Moktar Belmoktar, leader storico di AQMI, fosse stato ospite a Sirte di Hamid. Tali rapporti potrebbero esser stati facilitati dalle origini dello stesso Hamid, il quale è di etnia Tebu, una popolazione che abita le regioni desertiche a cavallo tra Ciad, Libia e Niger, dove è molto attivo Belmoktar. Non è da escludere, dunque, che tra i 2 leader siano state poste le basi per una sorta di alleanza, soprattutto in un momento in cui il movimento di Belmoktar, a causa delle operazioni francesi, ha perso le proprie roccaforti nel nord del Mali e molti suoi miliziani potrebbero aver trovato rifugio nelle aree desertiche della Libia meridionale. È possibile che proprio attraverso questi rapporti i movimenti jihadisti abbiano avuto il beneplacito per ricostruire campi di addestramento per nuove reclute e per il coordinamento dei miliziani nel sud della Libia, dopo aver perso le infrastrutture maliane. Sembra, però, non da escludere la possibilità che strutture analoghe siano presenti anche nei pressi di grandi centri urbani come Tripoli e Bengasi. A quanto pare, infatti, i miliziani potrebbero sfruttare le aree urbane periferiche per meglio camuffare queste infrastrutture ed evitare di essere individuati dall’osservazione aerea.

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