Arabia Saudita-Egitto-Israele tra nuove opportunità e antiche incertezze
Nella notte tra martedì 24 e mercoledì 25 maggio, alcune testate giornalistiche israeliane e statunitensi hanno riportato la notizia di un imminente accordo trilaterale tra Arabia Saudita, Egitto e Israele. A fare da mediatore in questa trattativa è l’Amministrazione Biden che, da un lato, punta a recuperare, per opportunità, un ruolo politico attivo nei rapporti con i partner mediorientali, allo stesso tempo mira a mantenere una certa influenza sulle questioni di sicurezza e politica regionale. I negoziati riguardano la cessione delle isole di Tiran e Sanafir, che si trovano all’entrata degli omonimi stretti, dall’Egitto all’Arabia Saudita. La posizione geografica delle due isole le rende di estrema importanza a livello strategico: esse garantiscono l’accesso alle acque territoriali che conducono ai porti di Eilat in Israele e Aqaba in Giordania; inoltre, si trovano vicine all’entrata del Canale di Suez, passaggio marittimo geo-strategico che pesa il 12% a livello di commercio globale.
Le due isole sono al centro dei rapporti tra Egitto, Arabia Saudita e Israele da oltre settant’anni. Nel 1950 il Monarca saudita Ibn Saud aveva concesso il controllo di Tiran e Sanafir al Cairo in quello che è stato considerato un tentativo di arginare le mire espansionistiche israeliane nella zona. Successivamente, nel 1979, a seguito degli Accordi di Camp David e della ratifica della pace tra Il Cairo e Tel Aviv, le due isole vennero occupate da una forza militare internazionale sotto la guida degli Stati Uniti. Gli accordi presi garantirono il naviglio dei vascelli israeliani per gli Stretti di Tiran e per il Canale di Suez, risolvendo uno degli elementi critici alla base alla base della Guerra dei Sei Giorni (1967). In tempi più recenti, la disputa sul controllo delle due isole è stata riaccesa nel 2016 quando il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato di voler restituire il controllo a Riyadh, in quanto originariamente il Re saudita Abdulaziz al-Saud le aveva concesse all’Egitto per proteggerle. Nonostante le proteste interne, la Corte Suprema egiziana nel marzo 2018 ha approvato il trasferimento della sovranità di Tiran e Sanafir dal Cairo al Regno degli al-Saud.
Quest’ultimo atto della vicenda si inserisce in un discorso di più ampio respiro per quanto riguarda le questioni di sicurezza e politica regionale. Arabia Saudita ed Egitto sono due dei principali attori del mondo arabo: Riyadh vanta una grande disponibilità di risorse energetiche che la rende potenzialmente l’attore più rilevante del quadrante; Il Cairo invece, storicamente parlando, ha uno degli eserciti più numerosi e meglio addestrati della regione, fattore che rende praticamente impossibile la sua esclusione da qualsiasi discorso relativo alle dinamiche di sicurezza dell’area. L’attivismo saudita degli ultimi anni in chiave securitaria e diplomatica è stato uno dei motivi che ha portato ad uno scontro, seppur contenuto, tra i due attori. La tensione tra Riyadh e Il Cairo è stata visibile in particolare all’interno del JAMF (Joint Arab Military Force) e dell’IMCTC (Islamic Military Counter Terrorism Coalition), due iniziative di cooperazione di sicurezza e militare promosse nel 2015, rispettivamente da Egitto e Arabia Saudita, secondo logiche e prospettive di lungo periodo differenti che ad ogni modo si richiamavano una necessità di lotta al terrorismo regionale. Nel primo caso, la monarchia saudita ha osteggiato qualsiasi iniziativa velatamente di richiamo panarabo voluta dal Presidente Abdel Fattah al-Sisi nel timore di vedere compromessa la sua capacità di influenza nel contesto regionale. Nel secondo caso, al contrario, Il Cairo ha percepito il proprio ruolo ridotto a semplice comparsa, relegandolo a figura di junior partner. Ad accomunare le casistiche vi è una diversa percezione delle minacce: se per l’Arabia Saudita il principale pericolo deriva dall’Iran, lo stesso non può essere detto per l’Egitto. In questo contesto, Israele rimane ad aspettare. Tel Aviv ha già rapporti ufficiali con Il Cairo dal 1979; dall’altra parte, Riyadh non ha ancora ufficializzato nessun tipo di rapporto con Israele, nonostante vi siano state dichiarazioni distensive negli ultimi anni tra la monarchia saudita e il governo israeliano.
Un eventuale ratifica dell’accordo sulle isole nel Mar Rosso porterebbe, in ottica israeliana e non solo, a un ulteriore step di distensione con l’Arabia Saudita, già di fatto avviato col riconoscimento da parte di Riyadh degli Accordi di Abramo. Sul fronte di Washington, questo negoziato significherebbe anche un riavvicinamento al partner del Golfo dopo le tensioni che si erano verificate per questioni relative ai diritti umani e all’avvicinamento del Regno saudita a Pechino. In un’ottica invece regionale, la cessione di Tiran e Sanafir potrebbe portare anche a un rinnovamento del dialogo sui temi di sicurezza tra Egitto e Arabia Saudita, dopo il quasi fallimento delle iniziative promosse da entrambi gli attori arabi negli ultimi anni. In conclusione, un eventuale accordo tra Tel Aviv, Riyadh e Il Cairo, mediato da Washington, rappresenterebbe un importante successo per l’Amministrazione Biden, che vedrebbe la propria influenza intatta in quel quadrante di regione e a supporto diretto di un possibile asse politico-militare il cui obiettivo principale sarebbe il contenimento della politica iraniana nell’area.