Ue-Turchia,: Erdogan minaccia di riaprire le frontiere ai rifugiati
Si riaccende la tensione tra Europa e Turchia. Il Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha minacciato di aprire le frontiere ai rifugiati diretti in Europa, contravvenendo all’accordo sui migranti, raggiunto con Bruxelles lo scorso marzo, dopo il voto, non vincolante, con cui il Parlamento europeo chiede alla Commissione di congelare i negoziati per l’adesione di Ankara all’Unione. Il portavoce della Commissione, Maragaritis Schinas, ha assicurato, ieri, che l’impegno per far funzionare l’accordo continua. Per una analisi sulla possibile evoluzione dei rapporti tra Turchia e Unione europea, Elvira Ragosta ha intervistato Gabriele Iacovino, analista del Centro studi internazionali:
R. - È un po’ il gioco delle parti: Erdogan deve dare una risposta; l’unica risposta che può dare nei confronti dell’Europa è giocare sulla valvola dei flussi dei rifugiati. L’accordo “serve” ad entrambi, perché se l’Unione Europea ha bisogno di questo per fermare il flusso dei rifugiati, dall’altra parte c’è Erdogan che “ha bisogno” dei finanziamenti europei. Quindi è un gioco delle parti che inevitabilmente continua ad inasprire i toni. Nel momento in cui si andasse verso la rottura, senza una reale politica di gestione dei flussi migratori dell’Europa, l’apertura della valvola turca comporterebbe nuove problematiche. A questo punto, siccome il flusso dei rifugiati provenienti dalla Turchia arriva al cuore dell’Europa, forse può svegliare nuovamente l’attenzione dell’Unione Europea perché di fatto quelli provenienti dall’Africa che arrivano in Italia non sembrano essere un problema di Bruxelles.
D. - A proposito dell’accordo raggiunto tra Unione Europea e Turchia lo scorso marzo, questo prevedeva un aiuto economico di sei milioni di euro ad Ankara che si impegnava a gestire il flusso migratorio in cambio dell’apertura di nuovi capitoli sul processo di adesione all’Unione e anche della liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi. A che punto è ad oggi l’attuazione dell’accordo?
R. - Da un punto di vista prettamente economico non c’è chiarezza da parte dell’Unione Europea, ma alcune tranche di pagamento nei confronti dovrebbero essere state versate. Dall’altra parte c’è stata fin da subito, punto fondamentale da parte di Erdogan per la sottoscrizione dell’accordo, la facilitazione della politica dei visti nei confronti dei cittadini turchi per quanto riguarda l’entrata dell’Unione Europea; dall’altra parte c’è stata, di fatto, non una politica di gestione dei flussi da parte di Ankara, ma la chiusura delle frontiere che quindi rende maggiormente difficile per i rifugiati raggiungere l’Unione Europea. Questo è stato un po’ il modello che si è voluto attuare, ma non risolve la situazione perché i problemi dei rifugiati continueranno ad esserci in un momento in cui la crisi siriana continua a peggiorare anche alla luce di quello che sta succedendo in Iraq. Quindi l’accordo tra Turchia ed Unione Europea è stata un po’ una foglia di fico rispetto ad un problema che non è più un’emergenza ma è qualcosa di strutturale che prima o poi l’Unione Europa dovrà affrontare.
D. - Nella Turchia del dopo golpe fallito, c’è stato un inasprimento dei diritti e delle libertà molto criticato a livello internazionale; il Presidente Erdogan ha anche detto di essere pronto a firmare, se approvata dal parlamento turco, la legge che reintroduce la pena di morte in Turchia. Questo è un altro degli elementi che possono far ritardare l’adesione della Turchia all’Unione Europea…
R. - Potrebbero farlo ritardare nel momento in cui ci fosse una reale volontà da parte turca di entrare nell’Unione Europea. Di fatto la sensazione è che il treno dell’entrata della Turchia nell’Unione Europea si è perso dieci anni fa, quando l’opposizione di Paesi come la Germania, di fatto, hanno bloccato questo processo di integrazione. Da lì c’è stata una scelta netta, se vogliamo, da parte del governo di Ankara di proseguire verso un’altra politica.
Fonte: RadioVaticana