STRAGE BURKINA FASO/ I jihadisti attaccano i cristiani per scardinare le istituzioni
Da febbraio il Burkina Faso, paese al centro dell’Africa, è sconvolto da una serie di attacchi sanguinari alle comunità cristiane, ma non solo. Anche molti imam sono rimasti vittime di questi attentati. L’ultimo in ordine di tempo è di questi giorni, un attacco a una chiesa protestante in cui sono rimaste uccise 14 persone, tra cui il pastore che stava celebrando sull’altare e diversi bambini. Il 15 febbraio scorso era stato ucciso un missionario salesiano spagnolo e il 12 maggio altre sei persone, tra cui un sacerdote, all’interno di una chiesa. Una serie di attacchi che colpiscono cattolici, protestanti e musulmani. “In Burkina Faso diverse confessioni religiose hanno sempre convissuto pacificamente. La tragedia del terrorismo rischia di rompere i legami di fratellanza che si sono creati nella società” ha commentato il cardinale Ouédraogo, capo della Chiesa locale. Anche l’ultimo attentato non è stato rivendicato, ma come spiega Marco Di Liddo, analista responsabile del Desk Africa e del Desk ex-Urss presso il CeSI, “si tratta di gruppi di jihadisti provenienti dal Mali, che hanno contagiato tutto il Centrafrica. Il motivo per cui si concentrano contro le istituzioni religiose è perché sono considerate colluse con il potere corrotto del Burkina Faso, ma si tratta solo di motivi politici: creare caos nel paese”.
Il Burkina Faso è considerato uno dei paesi più poveri al mondo. Come si spiega questa lunga scia di attacchi sanguinari alle comunità religiose?
Il Burkina Faso si trova al centro di una tempesta perfetta di instabilità cominciata in Mali nel 2011 e che ancora oggi destabilizza tutta la regione, colpendo tutto il Sahel. In questo senso siamo di fronte al più classico esempio di contagio, cioè di come un gruppo estremista dal Mali sia riuscito a diffondersi in tutta la regione.
Finora nessuno ha mai rivendicato gli attacchi. Chi sono, in realtà, questi estremisti?
Sono una categoria peculiare all’interno dei movimenti islamisti. Sono gruppi armati radicali che hanno preso le difese delle fasce più vulnerabili della popolazione rurale. Il Burkina Faso, come detto, è uno dei paesi più poveri dell’Africa e sta vivendo problemi gravissimi a causa dell’emergenza climatica. La competizione per le poche risorse a disposizione è molto serrata.
Il paese è sempre stato caratterizzato da numerosi colpi di Stato e da governi deboli. Non sono in grado di controllare questi attacchi?
Il paese ha una situazione molto particolare e divisiva. Le autorità locali sono di tipo tribale, veri e propri re di tipo tradizionale che utilizzano politiche di governance poco equilibrate ed efficaci.
Ad esempio?
Favoriscono alcune categorie piuttosto che altre, la popolazione stanziale rispetto a quella nomade e i centri che appartengono ad alcune etnie come i Mossi. Forniscono l’aristocrazia tribale, è la più favorita, mentre altre sono discriminate. In questo contesto i gruppi jihadisti si sono autoproclamati difensori delle rivendicazioni dei più poveri e gli attacchi sono una forma di rivoluzione sociale e di condanna verso le istituzioni.
Quindi attaccare le comunità religiose è solo un motivo politico teso a creare caos sociale?
Vengono colpiti non solo i cristiani, ma anche gli imam. Questo fa capire come la religione sia un pretesto, una cornice ideologica. Sono attacchi motivati da ragioni politiche ed economiche. Si attaccano i religiosi perché visti come collusi con il potere corrotto centrale.
Il Burkina Faso era una colonia francese. La Francia, che è presente militarmente nel vicino Mali, perché non interviene?
La Francia ha una missione in tutta la regione: il quartier generale è nel Mali e in Ciad, ma il contingente, di circa 3mila uomini, si muove in tutta la regione del Sahel. Il contrasto a questi gruppi è però molto difficile. Innanzitutto, perché si tratta di territori sconfinati che i francesi conoscono poco e poi perché i gruppi jihadisti si confondono tra i civili. Difficile colpire una minaccia che si nasconde tra la gente e ha il supporto della popolazione.
Non è previsto l’intervento di una missione internazionale, visto che il conflitto diventa sempre più sanguinario?
Di missione internazionale, o meglio sarebbe dire occidentale, non parla nessuno. Parigi vorrebbe un impegno europeo, ma la discussione è in altissimo mare. C’è una forza multinazionale composta da militari di Ciad, Mauritania, Mali, Niger e Burkina Faso, ma sono forze gravemente impreparate e molto spesso hanno difficoltà proprio perché le popolazioni locali non si fidano di loro.
Fonte: Il Sussidiario