L’India e quelle ambizioni oceaniche
Non di solo Kashmir vive l’India. New Delhi, infatti, oltre alla gestione della politica domestica, che sotto il Governo di Narendra Modi ha assunto una trazione ipernazionalista, confermata ieri dall’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione– che di fatto annulla l’autonomia del due province kashmirine, per inglobarle nel più ampio territorio indiano – guarda anche con interesse alle acque dell’Oceano Indiano, puntando a definire le strategie in tema di difesa e sicurezza.
Ne sono prova una serie di accordi che, sul finire del mese scorso, il Governo indiano ha siglato con Mozambico e Myanmar. Il 29 luglio, infatti, il Ministro della Difesa indiano, Rajnath Singh, è volato a Maputo, dove insieme al suo omologo mozambicano, Atanasio Salvador M’tumuke, ha posto la firma su due Memoranda of Understanding in materia di sicurezza. La prima visita di un Ministro della Difesa indiano in Mozambico è servita a rinsaldare maggiormente una collaborazione volta a «migliorare la sicurezza nella regione dell’Oceano Indiano».
Nella stessa giornata, qualche ora prima tenendo conto del fuso orario, a New Delhi, presso la sede del Ministero della Difesa, andava in scena l’incontro tra il Comandante in capo delle Forze Armate del Myanmar, Min Aung Hlaing, e i capi dei principali servizi armati indiani: il capo dell’Aviazione, il maresciallo BS Dhanoa, il capo dell’Esercito, il generale Bipin Rawat, e il capo della Marina, l’ammiraglio Karambir Singh. Il vertice a quattro ha portato alla firma di un nuovo protocollo d’intesa sulla cooperazione bilaterale, precisamente nei settori dell’addestramento, della sicurezza marittima e della sorveglianza congiunta.
Il giorno dopo, invece, al Governo indiano è stata recapitata una richiesta di sostegno da parte del Vietnam – Paese con cui New Delhi ha recentemente condotto esercitazioni navali bilaterali al largo di Cam Ranh Bay e firmato un accordo per la condivisione delle informazioni – preoccupato per le esplorazioni della Guardia Costiera cinese al largo delle coste vietnamite del Mar Meridionale Cinese, un’area dove sono ingenti gli interessi commerciali della Oil and Natural Gas Corporation(ONGC), la più importante compagnia petrolifera indiana.
Stipulazioni di accordi e richieste d’aiuto dimostrano come l’India stia mettendo in atto delle politiche che le permettano di espandere la sua influenza in tutte le direzioni dell’Oceano Indiano, dal versante africano a quello relativo al Sud-Est asiatico. Mosse che hanno lo scopo – diretto e indiretto – di contrastare la crescente posizione della Cina in quella parte del globo.
Pechino, infatti, oltre a possedere una base militare a Gibuti, pare stia trattando con la Cambogia per l’utilizzo della base navale militare di Ream lungo la costa cambogiana che si affaccia sul Golfo del Siam. A ciò bisogna aggiungere che, in funzione dell’ambizioso progetto della Belt&Road Iniziative (BRI), la Nuova via della Seta, il Celeste Impero ha implementato il corridoio sino-pakistano che sfocia nel porto di Gwadar: infrastruttura che per i mandarini rappresenta lo sbocco sul Mar Arabico, nonché sull’Oceano Indiano, tra le cui profondità svolgono operazioni proprio i sottomarini nucleari cinesi. E sempre in questa regione, in ottica BRI, la Cina ha intrecciato rapporti economico-finanziari con Maldive, Myanmar, Sri Lanka e Bangladesh. Paesi che, dato l’alto tasso di indebitamento nei confronti di Pechino, potrebbero rischiare di finire sotto l’orbita politica cinese.
Questi Paesi, insieme a Mozambico, Sudafrica, Tanzania, Kenya e Seychelles, rientrano nella cosiddetta Indian Ocean Region (IOR) ed è per questo motivo che Modi, durante il suo primo mandato, si è premurato di visitarli e di instaurare relazioni amichevoli con i loro leader. Con Seychelles, in particolare, lo scorso anno, il Primo Ministro indiano ha portato a termine degli accordi militari, all’interno dei quali è prevista la costruzione di una base navale nell’isola di Assuùmption.
Il Governo indiano, dunque, vuole proiettarsi verso l’Oceano Indiano, dopo anni in cui la regione è stata trascurata. L’azione di Modi rientra a pieno nel programma della ‘East Act Policy’ varato dal Governo indiano nel 2015 «per promuovere la cooperazione economica, i legami culturali e lo sviluppo di relazioni strategiche con i Paesi della regione Asia-Pacifico». Anche il commercio marittimo funge da fattore propulsivo per New Delhi nella sua proiezione verso l’Oceano Indiano. Il commercio via mare rappresenta, infatti, il 90% in volume e oltre il 70% in valore del commercio internazionale dell’India, la quale, quindi, deve garantire la sicurezza delle flotte mercantili e che le rotte oceaniche siano fluide e prive di ostacoli.
In questo senso bisogna leggere il potenziamento della Marina attuato dal Governo indiano, il quale ha l’obiettivo si espandere la flotta entro il 2027 e di dotarsi di 189 navi, 500 aerei e 24 sottomarini. L’obiettivo rientra nel piano di uno stanziamento di 8,5 miliardi di dollari all’anno, dal 2015 al 2030, alla Marina: al 2017, però – come spiega il centro di ricerca Stratfor – sono stati stanziati solamente 3 miliardi di dollari. Sebbene abbia compiuto dei progressi, la Marina indiana «manca di elicotteri e sottomarini e ha un tasso preoccupante di incidenti»: attualmente l’India possiede poco più di 130 navi, 220 aerei e 15 sottomarini.
Per far fronte a queste complicazioni, il Governo indiano ha stretto una forte collaborazione militare con gli Stati Uniti e con la Francia. Con quest’ultima, New Delhi ha chiuso l’anno scorso un accordo di cooperazione militare che prevede l’uso reciproco delle basi militari. L’interesse francese per l’Oceano Indiano deriva dai suoi possedimenti d’oltremare di Riunione e di Mayotte, nel sud-ovest dell’oceano, per questo motivo, dal 2001, Parigi ha iniziato ad eseguire esercitazioni militari con l’India: insieme, nel maggio scorso, hanno concluso la loro più grande esercitazione navale di sempre. Accordi simili sono stati firmati da Washington e New Delhi nel 2016, con Donald Trump che ha definito l’India «major defense partner», mentre nel maggio di quest’anno i due Paesi hanno ulteriormente approfondito la loro collaborazione in campo marittimo. Per capire l’importanza che riveste l’Oceano Indiano per l’India e le strategie del Governo indiano, abbiamo contattato Francesca Manenti, senior analyst e responsabile del desk Asia e Pacifico presso il Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali).
Qual è la strategia di fondo che ha portato l’India a firmare accordi con Mozambico e Myanmar?
L’India sta cercando di ritagliarsi un ruolo più presente e attivo in quella che considera la regione di sua naturale appartenenza: l’Oceano Indiano. Ciò avviene in un momento in cui la Cina ha un focus strategico sull’Oceano Indiano e in cui anche potenze extra regionali sono massicciamente presenti in queste acque. New Delhi, quindi, sta ripensando al proprio ruolo nella regione e lo sta facendo andando a stringere degli accordi con gli Stati della cosiddetta Indian Ocean Region e, soprattutto, con i Paesi dell’area asiatica, poiché la strategia indiana sull’Oceano Indiano si abbina alla ‘East Act Policy’ del Governo Modi. Vi è, dunque, un engagement più attivo e importante rispetto a una serie di interlocutori regionali che, per troppo tempo, non hanno visto in New Delhi un punto di riferimento. In questo conteso si inserisce, appunto, la strategia indiana per l’Oceano Indiano, che porta inevitabilmente l’India a diventare partner strategico di rilievo di attori esterni come, ad esempio, gli Stati Uniti.
Che importanza riveste l’Oceano Indiano nel pensiero strategico dell’India?
È assolutamente fondamentale per due ordini di ragioni: uno politico-economico e, l’altro, di sicurezza strategica. Riguardo al primo, l’India si definisce una potenza regionale e si affaccia sulle acque dell’Oceano Indiano, che per New Delhi hanno una fondamentale importanza economica. Il Governo Indiano ha sviluppato una strategia di blue economy che identifica come pilastro del proprio futuro sviluppo economico tutte le risorse provenienti dall’Oceano Indiano. Parliamo, quindi, di risorse energetiche, di flussi commerciali che attraversano le linee di comunicazione marittima dell’Oceano Indiano, ma anche di vere e proprie risorse marine. Sul fronte politico, invece, storicamente l’India esercita un ruolo diplomatico verso altri attori regionali, come, per esempio, il Bangladesh, lo Sri Lanka, il Myanmar. Se negli ultimi anni questi attori hanno un po’ ridimensionato il rapporto con l’India in favore della Cina, ora per New Delhi questa scelta non è più sostenibile. La ragione strategica riguarda la sicurezza. In un momento in cui la Cina ha una chiara proiezione nelle acque dell’Oceano Indiano, per l’India è importante presentarsi come garante e andare a proteggere quelli che sono i propri interessi nella regione. Se per la Cina possiamo parlare di super potenza globale, l’India continua ad avere una percezione di sé stessa come potenza regionale, ma da’altro canto, riveste un ruolo preminente in alleanze di ampio respiro. Pensiamo all’alleanza quadrilaterale con Stati Uniti, Giappone e Australia, o al ruolo di interlocutore che l’India sta cercando di ritagliarsi verso alcuni Paesi europei che hanno riscoperto questa regione, come la Francia.
L’India è stata storicamente una forza più terrestre che navale, pensiamo anche ai problemi interni che ha dovuto affrontare, all’annoso dilemma del Kashmir, o agli screzi con la Cina. Ma com’è cambiato negli anni l’approccio di New Delhi verso l’Oceano Indiano?
C’è stato un ripensamento di quello che può rappresentare l’Oceano Indiano per gli interessi strategici nazionali. I punti più dolenti, fino a poco tempo fa, potevano essere il Kashmir, il confine con il Pakistan, o le dispute con la Cina a Nord, quindi il tentativo di fronteggiare una pressione cinese sui confini. Minore attenzione, invece, veniva data alla dimensione marittima. L’evoluzione degli scenari internazionali degli ultimi anni, però, ha portato New Delhi a prestare maggiore attenzione anche al versante marittimo. Non da ultimo perché la strategie cinesi per aumentare la presenza nell’Oceano Indiano passano attraverso il rafforzamento della cooperazione bilaterale con gli Stati che si riversano su queste acque. Pensiamo allo Sri Lanka e tutto quello che ha rappresentato la costruzione di porti cinesi in questo Paese e, soprattutto, al rapporto strategico con i Pakistan. Si parla tanto del corridoio sino-pakistano che ha nel porto di Gwadar il punto più importante: questo conferisce a Pechino uno sbocco diretto sul Mare Arabico, ma rappresenta anche un avamposto per la Cina in un Paesi che ha dei rapporti conflittuali con l’India.
Quanto il potere crescente della Cina nella regione ha influenzato la strategia indiana nell’Oceano Indiano? Sono state principalmente le manovre cinesi a far ridestare l’attenzione dell’India verso l’area, oppure ci sono altre ragioni?
Vi sono ragioni che procedono parallele, ma, senza dubbio, la nuova postura cinese nell’Oceano Indiano è stato un elemento determinante. Se è vero che l’India ha sempre avuto una proiezione storica verso quelle acque e nei Paesi circostanti, è altrettanto vero che una più forte presenza e assertività cinese in quest’area ha costretto New Delhi a fare i conti con la realtà dei fatti e cercare di mettersi in pari per evitare di perdere terreno in quello che è considerato una specie di giardino di casa. Pechino sta stringendo una serie di accordo con i Paesi della regione così da poter diventare una potenza marittima anche in questa parte del mondo, al di là dello Stretto di Malacca, quindi, inevitabilmente nell’Oceano Indiano e da lì, poi, verso il Mar Arabico e il Mar Mediterraneo. Questi pilastri della strategia cinese hanno fatto suonare qualche campanello d’allarme nel Governo indiano, il quale si è trovato a poter giocare delle carte diverse con gli alleati, quindi, ancora una volta, gli Stati Uniti.
Quali limiti strutturali deve superare l’India per competere con la Cina nelle acque dell’Oceano Indiano?
Pechino ha investito moltissimo sulla propria capacità marittima e nella propria Marina: è una questione di priorità strategica. Senza capacità navale, la Cina rimarrebbe una forza confinata al Mar Cinese Meridionale e, quindi, non potrebbe competere per essere una super potenza globale. Per l’India questa esigenza è nata negli ultimi anni. Un’esigenza che ha una propria postulazione strategica, perché entro il 2027 il Governo indiano vuole portare a circa 200 il numero di navi a disposizione della propria Marina. C’è, dunque, un interesse a sviluppare la propria capacità navale, però, in questo momento, è un progetto in fieri che si scontra con la necessità di trovare e allocare all’interno del budget nazionale dei finanziamenti adeguati ed anche, soprattutto, con l’esigenza di sviluppare una tecnologia adatta per poter stare al passo con la capacità cinese.
Gli accordi di cooperazione militare più importanti sono stati quelli con Parigi e Washington. Quanto l’India si appoggia alle potenze straniere in funzione anti-cinese? Non corre il rischio di essere troppo dipendente da queste collaborazioni?
L’India sta cercando effettivamente di stringere nuove collaborazioni, ma si dovrebbe ragionare su due livelli… Se, da una parte, quelle regionali rappresentano il tentativo dell’India di avere tutta una serie di interlocutori importanti nella regione e, quindi, di farsi a sua volta interlocutore per questi Stati del subcontinente indiano o del Sud-Est asiatico; dall’altra, l’India vuole essere un punto di riferimento per gli attori non regionali, quindi Stati Uniti e Francia. Questo passa attraverso la consapevolezza che si può cercare di costruire un’architettura regionale per controbilanciare la politica cinese nell’Oceano Indiano: cosa che, in questo momento, difficilmente l’India riuscirebbe a fare da sola. Bisogna, però, tenere anche in considerazione anche la particolarità del rapporto tra Pechino e New Delhi. Se l’India ha una maggiore voglia di protagonismo nell’Oceano Indiano, d’altro canto, questo protagonismo passa dalla necessità di mantenere un equilibrio nei rapporti con la Cina, verso la quale guarda come un interlocutore necessario in Asia. L’India ancora guarda a sé stessa come una potenza regionale e si concentra soprattutto sull’Indian Ocean Region, che è per New Delhi la propria regione di appartenenza. La partita per la Cina, in questo momento, è su un altro livello.
Oltre a poter usufruire delle basi militari di USA e Francia, con quali Paesi l’India sta portando avanti accordi per la costruzione di basi militari?
L’India ha stretto accordi per l’uso di basi militari con Seychelles, Bangladesh, Indonesia, Maldive e Sri Lanka. Per quanto riguarda questi ultimi due Paesi, erano accordi presi con i Governi precedenti, poi interrotti per il cambio dell’Esecutivo percepito come più vicino a Pechino, che, però, sono stati riesumati. Si tratta, ovviamente, di Paesi che rivestono una certa importanza per l’Oceano Indiano, in più l’Indonesia che è un po’ la potenza marittima emergente del Sud-Est asiatico e che può diventare un’importante sponda per New Delhi se pensiamo al Mar Cinese Meridionale.
L’anno dopo la sua prima elezione, Modi ha visitato Mozambico, Sudafrica, Tanzania e Kenya, quattro Paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano. C’è un piano ipotetico per far concorrenza alla Cina in Africa? O queste visite sono da intendere solo in funzione Oceano Indiano?
La ragione fondamentale è stata per l’importanza di questi Paesi per l’Oceano Indiano. È vero, però, che l’India cerca di ritagliarsi un ruolo diplomatico che, in questo momento, non ha le dimensioni della Cina in Africa, ma che si struttura anche in partnership con il Giappone nel continente asiatico, o con altri Paesi, così da avere dai canali di dialogo paralleli rispetto ai meri canali diplomatici.