Un bilancio del tentativo africano di mediazione tra Russia e Ucraina
Il 17 giugno scorso, si è conclusa la missione diplomatica intrapresa da una delegazione africana, recatasi prima a Kiev e, poi, a San Pietroburgo per mediare tra i Russia ed Ucraina, attraverso la promozione di una proposta di pace che assume un valore simbolico rilevante. Si è trattato, infatti, di un evento senza precedenti: per la prima volta nella storia recente, una delegazione di alto profilo del Continente Africano si è adoperata per agevolare la risoluzione di un conflitto di portata globale in un’altra parte del mondo, nello specifico in Europa.
La delegazione, guidata dal Presidente sudafricano Ramaphosa e costituita dai vertici e delegati di altri sei Paesi africani (Senegal, Isole Comore, Zambia, Egitto, Uganda e Congo-Brazzaville), ha illustrato i 10 punti dell’iniziativa di pace africana. Tra i più rilevanti, vi sono la richiesta di una riduzione degli scontri, l’avvio urgente dei negoziati, il rilascio dei prigionieri di guerra, un maggiore sostegno umanitario alla popolazione civile e il rinnovo dell’accordo sul grano.
La tentata mediazione africana non ha ottenuto, però, i risultati sperati, come evidenziato dalle risposte dei due Capi di Stato: Zelensky ha ribadito che l’unica possibilità per arrivare alla pace è il ritiro delle forze russe da tutto il territorio ucraino, Crimea inclusa; Putin, invece, ha dichiarato di aver accolto con favore l’atteggiamento “bilanciato” dei Paesi africani, ma ha ribadito la presunta legittimità dell’”Operazione militare speciale” in corso in Ucraina.
Le finalità dell’azione diplomatica dell’Unione Africana si comprendono maggiormente se si considerano gli impatti del conflitto ucraino sul continente africano, in particolare nell’ambito della sicurezza alimentare, sul fronte energetico e, di conseguenza, su quello economico. L’aspetto più problematico riguarda, infatti, il costante rincaro dei prezzi dei generi alimentari in Africa, a causa della diminuzione delle esportazioni russo-ucraine. Difatti, l’Africa, tra il 2018 e il 2022 ha importato il 32% delle risorse totali di grano dalla Federazione Russa e il 12% dall’Ucraina.
A tal proposito, in occasione dell’incontro con Putin, la delegazione dell’UA ha manifestato profonde preoccupazioni circa il mancato rinnovo dell’accordo sull’esportazione del grano ucraino, in scadenza il 18 luglio prossimo, soprattutto a seguito delle scarse rassicurazioni fornite dal portavoce del Cremlino Peskov. Tuttavia, Putin dovrà riflettere cautamente sulla possibilità di non rinnovare l’accordo sul grano, in quanto una simile eventualità impatterebbe ulteriormente il mercato alimentare globale e potrebbe colpire in maniera deleteria i Paesi africani. Questi ultimi, a quel punto, potrebbero riconsiderare le proprie posizioni in merito al conflitto tra Mosca e Kiev. In questo momento di generale raffreddamento dei rapporti diplomatici tra Russia e Paesi occidentali, il Cremlino non può, però, permettersi di alienare il sostegno africano.
Ad ogni modo, se da una parte l’azione diplomatica in questione voleva dissipare i dubbi circa un possibile allineamento dell’UA con la posizione del Cremlino, dall’altra è evidente che non tutti i Paesi africani condividano la stessa equidistanza tra le parti belligeranti, o la condanna dell’aggressione russa. In particolare, le maggiori perplessità riguardano l’ambigua posizione dell’Uganda, del Senegal e della Repubblica del Congo, ma soprattutto del Sudafrica di Ramaphosa, visti i rapporti storici che lo legano al Cremlino, la comune appartenenza ai BRICS e anche il presunto supporto militare attraverso l’invio di armi, attraverso la nave mercantile russa Lady R (dicembre 2022).
Nel complesso, l’iniziativa intrapresa dalla delegazione africana per promuovere una risoluzione del conflitto ucraino suggerisce un importante spunto di riflessione, soprattutto se si considera che l’UA non è un’organizzazione di Stati caratterizzati da una stabilità diffusa al loro interno, come dimostrano la recente guerra nel Tigrai, il costante deterioramento delle relazioni tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo e il sanguinoso conflitto in corso in Sudan.