Ucraina: dopo l'escalation una nuova tregua
L’inizio del 2015 è coinciso con una significativa ripresa delle attività militari nella regione del Donbass, dove le milizie ribelli della Novorossya, repubblica federale comprendente parte degli oblast di Donetsk e Lugansk e auto-proclamatasi indipendente da Kiev lo scorso maggio, hanno lanciato una nuova offensiva contro le truppe regolari ucraine.
Gli attacchi, iniziati a metà gennaio in risposta alla decisione del Governo ucraino di richiamare altri 50.000 riservisti, si sono sviluppati secondo 3 direttrici distinte: a sud, in direzione della città portuale di Mariupol, a ovest, verso l’aeroporto “Sergeij Prokofiev” di Donetsk, e infine a nord-ovest, verso la cittadina di Shchastya, sul fiume Siverskyi Donets, 26 km da Lugansk.
La strategia delle Forze Armate della Novorossya (FAN) è quella di spostare ad ovest la linea del fronte, allontanando l’Esercito Ucraino da Donetsk e Lugansk e infliggendogli perdite tali da fiaccarne il morale e mettere in difficoltà la leadership politica di Kiev. Tuttavia, all’interno di questo piano generale, si collocano obiettivi specifici quali l’alleggerimento della pressione lealista su Lugansk, la conquista dell’aeroporto “Sergeij Prokofiev” e la possibile creazione di un corridoio che, dal confine russo e attraverso Novoazovsk, Mariupol e Melitopol, congiunga la Russia alla Crimea.
In ogni caso, quest’ultimo disegno appare difficilmente realizzabile nel breve-medio periodo e lascia presagire che le manovre dei ribelli siano concentrate su Mariupol nella duplice ottica di conquistare la città o, al limite, di tenere impegnati i reparti ucraini su un fronte quanto più ampio possibile, evitando così una pericolosa concentrazione su Donetsk, come accaduto tra luglio e agosto 2014, quando la rivolta anti-governativa era sull’orlo del tracollo. Dei 3 fronti, quelli più caldi sono stati Donetsk e Mariupol. Nel primo caso, a partire dalla notte tra il 12 e il 13 gennaio, l’aeroporto internazionale, situato circa 10 km a nord-ovest di Donetsk e conteso tra alcune centinaia di uomini dell’Esercito Ucraino e le milizie filo-russe della Novorossya, è stato oggetto della rinnovata offensiva ribelle. Non è la prima volta che le FAN ed Esercito regolare hanno cercato di imporre il proprio esclusivo controllo sull’area aeroportuale. Infatti, già in 2 occasioni, tra il 26 e il 27 marzo (prima battaglia dell’aeroporto) e tra il 28 settembre e il 2 dicembre 2014 (seconda battaglia), le milizie filorusse avevano lanciato una massiccia offensiva sul “Sergeij Prokofiev”, senza tuttavia riuscire a conquistarlo del tutto. Anche questa volta, le FAN hanno lanciato un massiccio attacco contro le residue unità ucraine, asserragliate da oltre un mese all’interno dei terminal e prive di rifornimenti adeguati, effettuando un considerevole fuoco d’artiglieria, tramite le diverse decine di batterie GRAD e gli MBT T-72 schierati sul lato est e sud dell’infrastruttura.
A guidare l’offensiva sull’aeroporto di Donetsk sono stati, oltre agli ormai famosi “volontari” russi, alcune unità d’élite dei ribelli, tra le quali il Battaglione “Somalia”, comandato da Mikhail “Givi” Tolstykh, la Brigata “Sparta” di Arseny “Motorola” Pavlov, gruppi afferenti all’Armata Ortodossa Russa nonché numerosi stranieri (Serbi, Bielorussi, Armeni) inquadrati nel Battaglione Internazionale ed elementi del Battaglione ceceno Vostok, per un totale di circa 1.100 guerriglieri. Per quanto riguarda le Forze ucraine, la strenua difesa dell’aeroporto è stata affidata agli ormai leggendari “cyborg”, elementi appartenenti alla Guardia Nazionale, al 3º Reggimento Forze Speciali di Kirovohrad, alla 93ª Brigata Meccanizzata di Dnipropetrovsk, alla 79ª Brigata Aeromobile di Mykolaiv e alla 17ª Brigata Carri di Kryvyi Rih, per un totale di circa 350 soldati. Il soprannome “cyborg” è stato affibbiato dalla stampa ucraina a questo gruppo di militari, divenuti agli occhi della nazione gli eroi della resistenza anti-russa in condizione di grande precarietà. Tuttavia, nonostante la resistenza dei “cyborg”, le soverchianti unità delle FAN hanno conquistato il Sergeij Profokiev il 22 gennaio, dopo 10 giorni di intensi combattimenti. Due giorni dopo la conquista dell’aeroporto, le FAN hanno proseguito l’avanzata su Debaltsevo, città a 70 km a nord-est di Donetsk, riuscendo con una manovra a tenaglia ad imprigionare i circa 8.000 soldati ucraini lì presenti, privandoli dei collegamenti e dei rifornimenti con il resto dell’Esercito. Come nel caso del “Sergeij Prokofiev”, le milizie filo-russe hanno cominciato l’attacco con un massiccio lancio di GRAD dal vicino centro di Horlivka, per poi avanzare con le unità motorizzate. In particolare, l’offensiva dei separatisti è stata guidata dalla Brigata “Prizrak” (Fantasma) di Aleksey Mozgovoy, ex luogotenente di Igor Girkin “Streikov”, (ex) ufficiale del GRU, che aveva guidato le prime fasi della rivolta filo-russa nel Donbass, nella regione di Lugansk.
Allo stesso modo, un’azione parallela è stata avviata su Mariupol, dove i reparti delle FAN hanno bombardato la periferia orientale della città, radendo al suolo l’intero quartiere Ordzhonikidze.
Nel complesso, almeno 200 militari ucraini hanno perso la vita a causa delle offensive ribelli nel mese di gennaio. Inoltre, nei ranghi delle milizie filo-russe potrebbe essere significativamente aumentata la presenza di personale militare russo, come testimoniato sia dalla “professionalità” delle recenti manovre su Donetsk e Mariupol, sia dalla crescente disponibilità di armi, mezzi ed equipaggiamenti moderni (batterie di BM-30 SMERCH di ultima generazione e T-72BM con corazze reattive Kontakt5). Come se non bastasse, i leader della Novorossya hanno annunciato un piano di mobilitazione generale che dovrebbe incrementare il numero di soldati sino alla soglia delle 100.000 unità. Probabilmente anche questa potrebbe essere l’ennesima manovra di maskirovka (mascheramento, inganno) per giustificare nella realtà l’aumento dell’afflusso di militari russi e tentare di dare la spallata definitiva a Kiev. In queste condizioni, la nuova tregua negoziata a Minsk tra i Presidenti Putin, Poroshenko e Hollande, e la Cancelliera Merkel, entrata in vigore il 15 febbraio, rappresenta l’ultimo banco di prova per i contendenti e per un auspicabile e definitivo sbocco pacifico alla crisi più pericolosa dalla fine della Guerra Fredda. Al di là delle acquisizioni territoriali, l’offensiva ribelle ha avuto un grande impatto simbolico, soprattutto per quanto riguarda la presa dell’aeroporto. Infatti, nonostante le sue infrastrutture siano state totalmente distrutte, compresa la torre di controllo, la sua conquista è indispensabile per l’egemonia sulla principale arteria viaria che conduce a Donetsk.
Ancor più grande è il valore propagandistico e politico, in quanto il “Sergeij Prokofiev” è stato a lungo il simbolo della resistenza ucraina contro i ribelli e contro quella che Kiev ritiene essere un’invasione russa. La resa dei “cyborg” ha gettato una grande ondata di sconforto sulle già malandate Forze Armate ucraine, sull’establishment di governo e sul tandem Poroshenko-Yatsenyuk.
Inoltre, la disfatta militare ha contribuito ad alimentare i malumori della Guardia Nazionale e delle milizie para-militari di estrema destra che ne fanno parte, stanche di essere trattate come “carne da cannone” e sempre meno propense ad adeguarsi agli ordini dello Stato Maggiore di Kiev.
In questo senso, la decisione di Settore Destro e del battaglione “Azov” di dotarsi di una catena di comando e controllo parallela rispetto a quella militare e la manifestazione di protesta di alcune centinaia di elementi della Guardia Nazionale davanti al Ministero della Difesa gettano un’ombra oscura sulla futura tenuta del fronte interno ucraino.
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