Telecom e mobile banking: l’Etiopia alla sfida del libero mercato
Africa

Telecom e mobile banking: l’Etiopia alla sfida del libero mercato

By Petro Sciaudone
02.01.2021

Dopo mesi di negoziazioni, lo scorso 3 ottobre, Frehiwot Tamiru, CEO di Ethio Telecom, ha annunciato di aver ricevuto dalla National Bank of Ethiopia il via libera ad operare servizi di mobile banking. La notizia arriva durante settimane decisive per l’industria delle telecomunicazioni etiopi. Da un lato, l’Ethiopian Communications Authority sarà chiamata a decidere sull’assegnazione di due licenze destinate e operatori stranieri che porranno fine al secolare monopolio di stato di Ethio Telecom. Dall’altro, la stessa Ethio Telecom vedrà il proprio capitale aperto a investitori privati stranieri (40%) e locali (5%), con lo Stato che ne manterrà il 55%. Intanto molti si chiedono se le due riforme, che sono parte del più ampio Homegrown Economic Reform Programme lanciato dal premier Abiy Ahmed nel 2019, sapranno essere bilanciate dai giusti contrappesi regolamentari ed istituzionali.

Con i suoi oltre 110 milioni di abitanti, l’Etiopia è la seconda nazione più popolosa nel continente africano e si stima che il relativo mercato di mobile banking arriverà a valere 13 miliardi di dollari entro il 2025. Come accaduto nel resto del continente, lo scarso livello di diffusione delle reti bancarie fisiche e l’alta penetrazione di dispositivi mobili hanno fatto sì che l’industria dei servizi finanziari avesse nel mobile un naturale alleato. Non a caso, secondo la Banca Mondiale, l’Africa subsahariana è la regione più fertile al mondo per il mobile banking, con un valore di transazioni annue di oltre 450 miliardi di dollari e più di 460 milioni di utenti registrati nel 2019. In questo, l’Etiopia non è un’eccezione. Da anni nel Paese esistono già soluzioni di pagamento basate su dispositivi mobili, non ultimi M-Birr, HelloCash e CBE-Birr. Tuttavia l’ingresso di Ethio Telecom, con la sua customer base di oltre 45 milioni di clienti e un network consolidato di oltre 250mila distributori, potrebbe cambiare le sorti del settore. Questo anche alla luce della particolare regolamentazione che impedisce alle aziende straniere di operare servizi di banking nel paese, se non in concerto con aziende locali.

L’impossibilità a operare direttamente nel mercato dei pagamenti digitali non sembra aver scoraggiato le dodici società (undici proposte sono in esame, una è stata ritenuta incompleta) che entro lo scorso 22 giugno hanno presentato la propria candidatura per le due licenze telecom della durata di 15 anni messe a gara dal governo con la Communication Service Proclamation 1148/2019. Tra gli offerenti figurano diversi volti noti dell’industria delle telecomunicazioni africana, quali la francese Orange, la sudafricana MTN e la keniota Safaricom. In particolare, quest’ultima, presentatasi in consorzio con le parent company Vodacom (società sudafricana, che ne detiene il 35%) e Vodafone (azionista di maggioranza di Vodacom), è la società che gestisce M-PESA, il servizio multifunzionale lanciato nel 2007 e numero uno nel continente e che conta ormai oltre 40 milioni di clienti e 400mila agenti in sette paesi, per un totale di 11 miliardi di transazioni nel 2019. Oltre che il know-how e l’esperienza nel mercato africano, Safaricom può mettere sul piatto importanti disponibilità economiche, forte del finanziamento di 500 milioni di dollari ricevuto lo scorso dicembre dal U.S. International Development Finance Corporation, e una strategia di internazionalizzazione già consolidata che l’ha portata negli scorsi anni a bussare fino alle porte del mercato europeo. Accreditate come le candidate favorite, le tre bidder dovranno superare la concorrenza di Etisalat (UAE), Axian (Madagascar), Saudi Telecom Company (Arabia Saudita), Telkom SA (Sud Africa), Liquid Telecom (Mauritius), MVNO Snail Mobile (Cina) e le challenger non-telecom Kandu Global Telecommunications (Stati Uniti) ed Electromecha International Projects (Kuwait).

Nonostante la grande opportunità offerta dall’apertura del mercato ai non-residenti, la sostenibilità di un eventuale piano d’ingresso è tutta da valutare. Per rientrare dei consistenti investimenti fatti negli anni, il governo di Addis Abeba intende mettere a disposizione delle società che si aggiudicheranno le licenze i quasi 30.000 km di fibra ottica e i 7.000 ripetitori attualmente disponibili (altri 7.000 sono nell’agenda del governo, che stima un investimento necessario di circa 1,1 miliardi di dollari), fondamentali per raggiungere gli oltre 80 milioni di cittadini che risiedono nelle zone rurali del Paese. Dal leasing delle infrastrutture il governo si aspetta di incassare tra i 1,6 e 1,8 miliardi di dollari, costi di distribuzione che eventuali entrant dovranno tenere in considerazione.

Intanto Ethio Telecom si prepara ad entrare in un mercato semi-competitivo per la prima volta nella sua storia. Forte degli oltre due anni di preavviso, la società ha avuto il tempo di pensare e lanciare il piano industriale BRIDGE per il triennio 2019-2022. Descritta negli anni come una cash cow, la società desta diversi dubbi circa il proprio business model e posizione finanziaria. La società è infatti fortemente dipendente dalla fornitura di apparecchiature critiche dalle cinesi ZTE e Huawei, che di fatto controllano l’infrastruttura hardware e software su cui regge l’intera industria nazionale. Cinesi sono anche i finanziamenti di EXIM Bank e China Development Bank, le quali hanno emesso un prestito a tredici anni di 3,1 miliardi di dollari in due tranches tra il 2006 e il 2013. Per contro, la società è ben posizionata per costruire un’offerta ricca e competitiva: a inizio ottobre i rappresentanti di oltre 200 società e start-up IT locali, invitati a un meeting consultivo, si sono detti pronti a collaborare con Ethio Telecom per garantire standard tecnologici e servizi d’ecosistema adeguati.

Se il Paese sia pronto a muoversi nell’arena del libero mercato, peraltro in due industrie strategicamente rilevanti come telecomunicazioni e pagamenti digitali, è la domanda cui i prossimi mesi non mancheranno di dare risposta. Negli anni frequenti disservizi, accidentali e non, nel garantire servizi essenziali da parte delle autorità statali hanno fatto sorgere qualche perplessità sulla maturità del sistema Paese. L’ultimo episodio, a luglio, ha visto il governo sospendere l’accesso a Internet su tutto il territorio nazionale per più di due settimane, dopo che l’uccisione dell’artista Oromo Haacaaluu Hundeessaa aveva scatenato violente proteste nella capitale. Il World Justice Project classifica l’Etiopia al 114esimo posto (su 128) del Rule of Law Index, al 116esimo per l’Applicazione ed E__secuzione del Diritto, al 120esimo per i Diritti Fondamentali, al 121esimo per la Trasp__arenza del Governo. Per quanto quasi tutti gli indicatori siano in lieve miglioramento, i livelli assoluti non descrivono ancora un contesto normativo maturo e resiliente, e in molti si domandano se una riforma della giustizia non debba avere la precedenza sulle riforme economiche.