Non solo Kalashnikov: le ambizioni russe nel settore agro-alimentare globale
Quando si pensa alle ricchezze della Federazione Russa, si pensa soprattutto a idrocarburi, diamanti ed oro, ma il Paese più grande del mondo ha un’altra risorsa che, in un mondo sempre più popolato, promette di diventare un asset importantissimo: la terra. La Russia, infatti, attraversa Asia ed Europa per una superficie territoriale di circa 17 milioni di km quadrati e di cui circa il 18% è potenzialmente coltivabile, ovvero un’area pari ad un terzo dell’Europa intera.
Storicamente la Russia è stato un importante attore agricolo, nonostante la morfologia complicata e le infelici strategie del periodo sovietico che addirittura la costrinsero a trasformarsi in un importatore netto di prodotti del settore primario. La sua produzione è concentrata nel bacino del Volga, nel nord del Caucaso e sud della Siberia, dove la particolare composizione del terreno, che dà al suolo il caratteristico colore nero (Chernozem), garantisce una notevole fertilità.
Tuttavia, con le fine del sistema sovietico e l’abbandono delle politiche di collettivizzazione delle terre, il settore agricolo russo ha cominciato lentamente a riprendersi. La prima inversione di tendenza si è avuta a partire dagli anni ’90 quando una rinnovata attenzione da parte dello Stato ha riportato il Paese a riconquistare l’autosufficienza alimentare e, gradualmente, a diventare uno dei maggiori produttori al mondo di materie prime agricole.
Questo settore, già inserito nei piani di sviluppo federali (quei piani che, per l’alta importanza strategica nazionale, sono coordinati direttamente dalla Presidenza della Federazione) ha avuto un’ulteriore stimolo dalla cosiddetta “guerra delle sanzioni” con Stati Uniti e Unione Europea seguita alla crisi in Ucraina. Nello specifico, il Cremlino ha aumentato i dazi sull’importazione di prodotti alimentari da Washington e Bruxelles, incentivando la produzione interna. Inoltre, programmi come “Made with Russia” hanno portato grandi aziende agroalimentari straniere ad investire in loco per poter aver accesso al mercato interno russo.
Come se non bastasse, la svalutazione del rublo ha reso il grano russo molto più competitivo sui mercati internazionali, soprattutto in Medio Oriente, nonostante la sua qualità inferiore rispetto a quello dei concorrenti canadesi ed europei, che insieme producono più del 50% del prezioso cereale a livello globale.
Guardando i numeri ci accorgiamo quindi di un fenomeno importante ed in continua crescita: nel 2017 il totale dell’export russo supera i 19 miliardi di dollari, sorpassando un settore storicamente importante come quello delle armi, mentre nel 2018 poi il solo export di grano totalizza 8,4 miliardi, sorpassando gli Stati Uniti e il Canada come principale esportatore mondiale, mantenendo il primato globale con una market share del 21% e andando ad erodere anche mercati storici per la spiga a stelle e strisce come il Messico.
Ad incidere ulteriormente sulle capacità potenziali di produzione agricola russa potrebbero contribuire gli effetti dei cambiamenti climatici, nello specifico il riscaldamento globale. Si calcola infatti che le temperature nelle aree europee ed asiatiche coltivate a cereali cresceranno di 1,8 gradi nei prossimi 10 anni e di 3,9 gradi nel 2050 rispetto alle media degli anni ’80. Questo potrebbe portare a delle stagioni calde più lunghe, a dei raccolti più abbondanti e ad un accesso a vastissimi territori, come quelli in Siberia, sinora troppo freddi per l’agricoltura.
Ma ridurre l’incremento della produzione cerealicola russa esclusivamente a fattori contingenti come le sanzioni o il cambiamento climatico sarebbe un errore. La produzione agricola è una settore di importanza fondamentale per il Paese, su cui si investono importantissime risorse con l’obiettivo non solo di trarre benefici dall’attuale situazione, ma di trasformare la Russia nella principale superpotenza alimentare mondiale, seguendo una strategia ben chiara.
Allargando lo sguardo a tutto il globo ci si accorge infatti che i possibili vantaggi dell’agricoltura russa a legati ai cambiamenti climatici sono ancora più importanti se confrontati alla traiettoria del settore negli altri Paesi, soprattutto quelli più popolosi.
Le aree a maggior crescita demografica al mondo, ovvero l’Asia, il subcontinente indiano, il Medio Oriente e l’Africa saranno tra le aree più colpite da un eventuale innalzamento delle temperature e, a fronte di una importante crescita dei propri abitanti, vedranno una diminuzione delle risorse a disposizione per sfamarle, andando ad impattare direttamente sulla loro sicurezza alimentare.
Il concetto di sicurezza alimentare racchiude infatti conseguenze dirette per la sopravvivenza stessa delle società e la stabilità dei sistemi politici: è importante notare come la Rivoluzione dei Gelsomini in Tunisia nel 2011 e la Rivoluzione sudanese del 2019 abbiano trovato la loro scintilla in proteste originate dal rincaro dei prezzi del pane, mentre Paesi come l’Egitto acquistano già enormi quantità di grano dalla Russia per calmierare il prezzo dei generi alimentari e non causare malumori che potrebbero mettere in pericolo il regime. Anche guardando alla Nigeria, altro importatore netto di grano, troviamo una situazione non dissimile: i conflitti interetnici e interreligiosi tra nord e sud sono acuiti dall’impatto sulla sicurezza alimentare dei processi di desertificazione nelle regioni a ridosso della fascia saheliana.
Un altro valido esempio è la Cina, che si assicura lo sfruttamento di terre fertili in Africa o Ucraina per sostenere il suo miliardo di cittadini, o l’India e il Bangladesh, dove la rapida industrializzazione, l’inquinamento e i cambiamenti climatici hanno trasformato quella che una volta era una delle aree più fertili al mondo in una zona ad alto rischio alimentare.
Se questo fenomeno dovesse continuare ad inasprirsi, conferirebbe al Cremlino un vantaggio geopolitico importantissimo nell’immediato futuro, sostenendo le ambizioni del programma di trasformazione del Paese in una superpotenza alimentare.
Quando parliamo di eventi di scala cosi rilevanti, però, la situazione non è mai netta. I cambiamenti climatici potrebbero anche causare effetti disastrosi come, per esempio, diminuzione delle precipitazioni, aumento dei roghi e diminuzione della fertilità di terreni già coltivati. Senza contare che un Paese con terre fertili e scarsamente popolato potrebbe essere interessato da flussi migratori in entrata. Moca, quindi, si deve preparare ad affrontare questi cambiamenti e saperli navigare in maniera efficace.
Questa è una delle ragioni per cui la Russia ha iniziato ad investire principalmente in due direzioni: pieno utilizzo delle terre non ancora coltivate, innovazione e tecnologie in campo alimentare.
Riguardo il primo aspetto, il governo ha promosso progetti di legge volti a semplificare il recupero delle terre non coltivate ed aumentare le tasse sui terreni non sfruttati e, contestualmente, ha rilanciato i vecchi programmi di popolamento delle regioni scarsamente abitate dell’Estremo Oriente russo, regalando un ettaro ad ogni cittadino della Federazione che vi si voglia trasferire.
La scarsità della manodopera, assieme alle problematiche enunciate pocanzi, rendono altresì fondamentale una forte promozione dell’educazione scientifica e dell’innovazione del settore agricolo. Queste criticità offrono importanti spazi di manovra per sinergie internazionali, tra cui quelle sull’asse Mosca-Roma, nonostante le sanzioni. Nello specifico, l’Italia dispone di tecnologia e know how di primissimo livello nel settore primario che permette di posizionare il Paese su un mercato di rilevanza strategica. In seguito alle sanzioni, per esempio, un consorzio di imprenditori italiani ha fondato un polo per la produzione di formaggio poco fuori Mosca, con buoni risultati. Un altro settore che vede un importante sostegno dello Stato russo è quello delle serre, per assicurare una produzione costante tutto l’anno, o quello delle macchine agricole. Ulteriori temi saranno il monitoraggio delle colture, le tecnologie per trattare terreni difficili e lo sviluppo di una rete logistica, che, in un Paese vasto e scarsamente inter-connesso, permetta di poter distribuire internamente ed esportare con efficacia le risorse prodotte.