Libia, la Conferenza internazionale sulla Libia rilancia il voto del 24 dicembre e sollecita il ritiro delle forze straniere
Il 21 ottobre, il Governo di Unità Nazionale (GNU) ha organizzato una conferenza internazionale con l’intento di dare una svolta allo stallo perdurante nella transizione libica. L’evento ha visto riunirsi i Ministri degli Esteri dei Paesi maggiormente coinvolti nella crisi e i rappresentanti dell’Unione Africana, dell’Unione Europea, della Lega Araba e delle Nazioni Unite. Erano presenti anche il Sotto Segretario Generale delle Nazioni Unite con delega agli affari politici, Rosemary DiCarlo, e l’Inviato Speciale ONU in Libia, Jan Kubis. Turchia e Russia, attori cardine nel conflitto, hanno deliberatamente scelto di tenere un profilo più basso inviando rispettivamente un Vice Ministro e un funzionario del Ministero degli Esteri.
La dichiarazione conclusiva in nove punti elaborata al termine della conferenza ha stressato l’attenzione in particolare su due punti: il ritiro a tappe delle forze straniere dal Paese e il rispetto del meccanismo elettorale con voto previsto per il 24 dicembre. Tripoli ha valutato la presenza di forze estranee come una minaccia non solo per la Libia ma per l’intera regione, ritenendo necessario il loro allontanamento al fine di rispettare la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza del Paese. I partecipanti hanno deciso di adottare l’accordo trovato il 9 ottobre a Ginevra dal Comitato militare 5+5, all’interno del quale è stato riconosciuto che questo tipo di interferenza è un importante ostacolo per il raggiungimento di una pace duratura, sottolineando quindi la necessità di rimuovere “combattenti, mercenari e forze straniere” dalla Libia. La Turchia si è mostrata avversa all’inserimento del termine “forze straniere” nel trattato, perché ritiene che la presenza dei mercenari siriani sotto il suo comando sia legittimata in base ad un accordo stipulato con il precedente governo di Fayez al-Sarraj. Infatti all’inizio del 2020, il Parlamento di Ankara aveva accolto le richieste del governo legittimo di Tripoli approvando una mozione secondo la quale sarebbero state dispiegate le proprie milizie sul territorio. Allo stesso tempo, Mosca sembra giovare dall’attuale situazione in Libia, riuscendo attraverso il gruppo Wagner a mettere in difficoltà gli alleati di campo (come ad esempio la Francia, sostenendo le azioni nel Fezzan del Feldmaresciallo Khalifa Haftar contro il governo legittimo) ed estendendo la propria proiezione nel Sahel. Il documento si è poi incentrato sull’importanza della piena attuazione dei termini del cessate il fuoco approvato a Ginevra nel periodo dal 6 all’8 ottobre 2021, con una presenza internazionale che, installata lungo la linea del fronte tra Sirte e Jufra, possa monitorare l’effettiva fine delle violenze.
Nonostante alcuni timori iniziali riguardanti la possibile posticipazione del voto alla primavera del 2022, tutti i partecipanti alla conferenza si sono impegnati nel far rispettare le date previste dal piano delle Nazioni Unite. Il comunicato finale prevede quindi che il primo turno delle elezioni presidenziali si tenga il 24 dicembre, mentre il secondo dovrebbe coincidere con le elezioni parlamentari. È stata poi sottolineata l’importanza di adottare preventivamente misure di rafforzamento della fiducia al fine di tenere elezioni eque, trasparenti ed inclusive.
Il processo è però complicato da forti disaccordi sulla base legale del voto. Infatti il mese scorso, il Governo di Unità Nazionale e la Camera dei Rappresentanti (HoR) di Bengasi-Tobruk si erano scontrate a causa della proposta di legge elettorale di Aguila Saleh, Speaker del Parlamento dell’Est. La bozza prevedeva la possibilità di candidarsi alla presidenza a personaggi discussi come Saif al-Islam Gheddafi, figlio dell’ex leader Muammar Gheddafi, e Haftar, generale dell’autoproclamato esercito libico. Inoltre, il governo nazionale dovrà gestire le divergenze tra la stessa HoR (est) e il Consiglio di Stato di Tripoli (ovest) riguardanti le tempistiche elettorali. In mancanza di una legge elettorale concordata e di fronte agli attriti tra i due organi legislativi, il voto del 24 dicembre sembra essere più precario del previsto. Il documento in nove punti si è successivamente focalizzato sul rafforzamento della sicurezza e della stabilità in Libia come base per l’accelerazione dell’economia e sviluppo, oltre che al rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani nel quadro della protezione umanitaria.
La Conferenza si è quindi conclusa con la redazione di un documento che presenta buoni propositi, ma che mantiene spesso toni vaghi e astratti. La sottodimensionata partecipazione di Ankara e Mosca e le mancate indicazioni su come espellere i combattenti stranieri potrebbero creare non pochi problemi per la stabilizzazione del Paese. Inoltre, non è stato esaminato come integrare le forze armate libiche sotto un unico comando, rischiando di dare ancora una volta campo libero alle milizie di Haftar. La votazione del 24 dicembre sembra quindi essere messa a rischio dal mancato accordo sulla legge elettorale e dalle divergenze perduranti tra le due Camere. Di fronte allo scenario delineatosi, la soluzione per la ricostruzione della Libia risiede ancora una volta nel multilateralismo e nella fiducia nel processo democratico, che dovranno essere accettate da tutte le parti coinvolte affinché il Paese possa uscire da un decennio di insicurezza e conflitti.