Il tentato omicidio del Primo Ministro iracheno evidenzia le fragilità di un Paese diviso
Il 7 novembre, il Primo Ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi è sfuggito illeso ad un attacco di un drone alla propria abitazione ubicata all’interno della “zona verde” ad alta sicurezza di Baghdad. Il Premier ha immediatamente richiamato alla calma e alla moderazione per il bene e il futuro dell’Iraq, definendo poi l’aggressione un atto vigliacco volto a minare la stabilità del Paese. Secondo le ultime ricostruzioni dell’accaduto, i tre droni convolti nel tentato assassinio sono stati lanciati da circa 12 km a nord-est della capitale. Due di loro sono stati colpiti e abbattuti dai militari iracheni prima di entrare nella zona verde, mentre l’ultimo è riuscito a colpire l’obiettivo senza però arrecare danni fisici ad al-Kadhimi. Ad oggi, ancora nessuno ha rivendicato la responsabilità dell’attentato.
Il Dipartimento di Stato USA ha immediatamente condannato l’attacco qualificandolo come atto terroristico, dicendosi successivamente pronto ad aiutare il governo nazionale nel condurre le investigazioni. Sul fronte interno, sia Nechirvan Barzani, Presidente della regione autonoma curda irachena, sia Moqtada al-Sadr, influente leader del movimento musulmano sciita, hanno considerato il tentato omicidio un’azione vile volta a creare ulteriori disordini e violenze nei confini statali. Non si è fatta attendere la condanna della Lega Araba, seguita successivamente da dichiarazioni individuali da parte di Arabia Saudita, Egitto e Giordania. Anche Teheran si è espressa sull’accaduto, mostrando solidarietà al Primo Ministro e riconducendo l’aggressione ad un atto di sedizione condotto da think tank stranieri, visti come primaria fonte di insicurezza, discordia e instabilità per la regione. Kata’ib Hezbollah, una delle più potenti milizie sciite sostenute dall’Iran in Iraq, ha negato qualsiasi suo coinvolgimento, sostenendo che sia stato lo stesso al-Kadhimi ad orchestrare l’attacco, fingendosi poi vittima inconsapevole degli eventi. L’attentato si colloca in un clima di crescenti tensioni in Iraq, esacerbate dal risultato del voto del 10 ottobre. La tornata elettorale, che ha registrato l’affluenza più bassa della storia irachena dalla caduta di Saddam Hussein, aveva infatti premiato il partito sadrista, mentre le formazioni sciite filo-iraniane avevano perso un numero consistente di seggi rispetto alle elezioni del 2018. Al-Sadr, leader del partito di maggioranza, ha sùbito spinto per la formazione di un governo libero da interferenze straniere, che non debba trovare un giusto riconoscimento da parte di Teheran o dei partner occidentali. In seguito al risultato delle elezioni, molti sostenitori di partiti politici legati a gruppi armati iraniani hanno rivendicato brogli elettorali, inviando centinaia di ricorsi per il riconteggio dei voti. Con il respingimento della maggior parte dei reclami, centinaia di manifestanti guidati dai gruppi sciiti sono scesi in piazza organizzando sit-in vicino alla zona verde di Baghdad. Alcuni di loro hanno mostrato anche un forte accanimento nei confronti del Premier, definendolo un criminale e dando fuoco alla sua effigie. Nell’ultima settimana le proteste hanno assunto toni sempre più violenti, portando all’uccisione di due manifestanti e oltre un centinaio di feriti tra contestatori e forze di sicurezza. Poco prima dell’attentato, al-Kadhimi aveva ordinato un’indagine sugli scontri, volendo chiarire la matrice delle violenze. Proprio per questa ragione, diversi media hanno puntato il dito contro le forze sciite irachene, definendole le principali mandatarie dell’omicidio. La Repubblica Islamica ha invece difeso i gruppi affiliati, rimandando altrove le responsabilità dell’attacco, come ad esempio presso gli Stati Uniti o lo Stato di Israele.
Non è ancora chiaro chi o cosa si celi dietro l’attentato al Primo Ministro, anche se molti sospettano una qualche forma di coinvolgimento dei gruppi sciiti iracheni. Infatti, il risentimento nei confronti delle istituzioni e la sconfitta elettorale dello scorso ottobre potrebbero averli portati a realizzare l’attentato con lo scopo di creare disordini ed impedire la formazione di un nuovo esecutivo. Tuttavia se fossero state anche solo una delle formazioni filo-sciite, risulterebbe evidente in questo senso un messaggio chiaramente politico e tentativo sovversivo di condurre un attacco contro lo Stato. Altri invece incolpano lo Stato Islamico, trovando diverse somiglianze tra i droni utilizzati dall’ISIS sin dal 2014 e quelli usati nell’attacco contro il Premier. Teheran si ostina invece ad accusare le sue due potenze rivali, rispettivamente gli USA ed Israele. Tra le motivazioni dell’attacco, potrebbe esserci un disegno mirato a rinfocolare le mai sopite tensioni etno-settarie tra curdi, sunniti e sciiti o anche un conflitto aperto tra le forze di sicurezza irachene e la popolazione civile. Sebbene queste rimangono ipotesi ancora poco approfondite, è ben evidente quanto queste piste non siano trascurabili anche in virtù del fatto che nel corso degli ultimi anni numerosi attori non statuali hanno accresciuto il loro potere all’interno delle strutture istituzionali dello Stato iracheno, giocando di fatto un ruolo cardine in numerose dimensioni della governance nazionale. In altre parole, tali soggetti hanno capacità e forza per trascinare il Paese in uno stato di disordini e subbugli, con la popolazione civile inesorabilmente costretta a subire le conseguenze di tali atti.