Il confronto Dbeibah vs Bashagha in un clima politico sempre più teso
Martedì 8 marzo, il Primo Ministro designato dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk (HoR), Fathi Bashagha, ha dichiarato in un video postato sulla sua pagina Facebook di essere intenzionato ad assumere il potere nella città di Tripoli appellandosi “alla forza della legge, non alla legge della forza”. Nonostante l’utilizzo di una retorica solo apparentemente conciliatoria, questo fatto ha generato crescenti preoccupazioni per via della presenza nella capitale dell’attuale Governo di Unità Nazionale (GNU), sostenuto dalle Nazioni Unite e guidato da Abdul Hamid Dbeibah, che ha più volte dichiarato di non essere disposto a cedere il proprio incarico finché non si terranno le elezioni nazionali originariamente previste per il 24 dicembre 2021.
Il livello di tensioni si è alzato particolarmente il giorno successivo all’annuncio di Bashagha quando una serie di convogli militari appartenenti alle milizie a lui fedeli si sono ammassati ad Est della capitale con la volontà di fare breccia nella città. Nel momento in cui hanno cercato di entrare a Tripoli, però, le forze che sostengono Dbeibah si sono opposte bloccando il loro transito e costringendole, quindi, ad una posizione di attesa. Attualmente si troverebbero nell’area di Zintan. A riprova di un clima politico che inizia ad assumere dei tratti preoccupanti vi è inoltre la recente mobilitazione della Forza operativa congiunta di Misurata che, durante il biennio 2019-2020, si è battuta ferocemente contro le milizie di Khalifa Haftar. La sua leadership, infatti, dopo aver manifestato nelle scorse settimane il proprio supporto a Dbeibah, ha dichiarato lo stato di massima allerta.
In questo contesto, i margini di manovra della comunità internazionale si stanno riducendo in maniera significativa. Le Nazioni Unite, ad esempio, sebbene ancora impegnate nel riconoscimento di Dbeibah come Primo Ministro, hanno tenuto nei giorni scorsi un atteggiamento ambiguo ed equidistante tra le parti coinvolte. Stephanie T. Williams, Consigliere Speciale per la Libia del Segretario Generale dell’ONU, ha infatti dichiarato che “lo stallo politico libico deve essere risolto internamente”, abdicando de facto dal ruolo di mediatore nel conflitto.
I mutamenti, però, coinvolgono anche altri due Paesi che hanno avuto a lungo un ruolo importante all’interno dello scenario libico. Da un lato, la Russia ha iniziato un processo di riduzione della sua presenza armata in Libia al fine di dirottare tutte le forze e le risorse di cui dispone nel conflitto ucraino. Dall’altro lato, la Turchia continua ad appoggiare formalmente il Governo di Dbeibah anche se in passato ha coltivato dei buoni rapporti con Bashagha. Attualmente, Ankara sta cercando di non dividere il fronte libico – auspicando quindi una riconciliazione tra le parti – per paura di potersi trovare in una posizione subalterna nell’imminente futuro.
Il fatto che le violenze non siano ancora esplose non fornisce però garanzie sulla stabilità del sistema politico libico. Attualmente, la crisi politica interna deve misurarsi con almeno due fattori significativi: da un lato, il minor interesse per il dossier libico da parte della comunità internazionale che ora si sta concentrando maggiormente sugli sviluppi della guerra in Ucraina e, dall’altro lato, la diminuzione delle forniture di grano al mercato mediorientale. Il 75% del grano importato dalla Libia proviene, infatti, congiuntamente dall’Ucraina e dalla Russia, e – secondo una recente dichiarazione della FAO – i prezzi degli alimenti di base potrebbero crescere del 20% su scala globale come diretta conseguenza del conflitto. Una tendenza di questo tipo rischia di far riemergere quel malcontento sociale che ha dato sfogo alle Primavere Arabe del 2011 e che, unito alle attuali condizioni del sistema politico, potrebbe portare a degli esiti imprevedibili e pericolosi per il futuro della Libia.