Il caso Navalny nel contesto dei rapporti tra Mosca, Washington e Bruxelles
Lo scorso 2 marzo, a seguito del trasferimento del dissidente russo Aleksej Navalny in una colonia penale a Pokrov, cittadina poco distante da Mosca, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno annunciato sanzioni contro la Federazione Russa. Le sanzioni, che colpiscono sia membri dell’oligarchia russa sia apparati che concorrono alla produzione di armi chimiche e biologiche, rappresentano la risposta che Washington e Bruxelles hanno voluto dare a Mosca per il cosidetto “caso Navalny”.
L’opinione pubblica internazionale, infatti, da oltre sei mesi, si occupa del destino del dissidente russo. Il 20 agosto dell’anno scorso, mentre si trovava a bordo di un aereo che lo trasportava da Tomsk a Mosca, Navalny ha iniziato a manifestare chiari segni di avvelenamento. Dopo un atterraggio di emergenza all’aeroporto di Omsk, che presumibilmente, gli ha salvato la vita, Navalny è stato dapprima ricoverato nell’ospedale della città e, successivamente, trasferito a Berlino, all’ospedale universitario della Charité, per effettuare esami approfonditi su ciò che gli era accaduto.
Gli esami effettuati hanno dimostrato come effettivamente Navalny fosse stato avvelenato col Novichok, un agente nervino prodotto in Russia fin dai tempi dell’Unione Sovietica. Un’inchiesta, condotta congiuntamente da The Insider e Bellingcat in collaborazione con la CNN e Der Spiegel, ha rivelato che dietro il tentativo di avvelenamento ci sarebbero i servizi segreti militari russi.
Attraverso dati di telecomunicazioni e di viaggio, l’inchiesta avrebbe dimostrato come un gruppo del GRU (Direttorato generale dell’Intelligence), specializzato in guerra chimica e batteriologica, abbia seguito Navalny per tre anni, fino al giorno del presunto avvelenamento.
Quando lo scorso 17 gennaio Navalny ha deciso di fare ritorno in patria, dopo cinque mesi di convalescenza in Germania, la decisione ha colto di sorpresa le varie diplomazie europee ed internazionali, perché il rischio che venisse arrestato era molto alto. Infatti, appena atterrato all’aeroporto di Sheremetyevo, a nord-ovest di Mosca, Navalny è stato arrestato con l’accusa di aver violato i termini della libertà vigilata derivante da un precedente processo per corruzione e condannato a 3 anni e mezzo di carcere. Ciò ha provocato proteste in tutta la Russia, a cui sono seguiti soprusi della polizia e arresti di sostenitori e familiari di Navalny.
Il dissidente russo, se da un lato ha il grande merito di aver catalizzato l’attenzione su alcuni argomenti importanti come la corruzione presente nella Federazione, dall’altro, ha un passato piuttosto controverso.
Il suo ingresso sulla scena politica russa, infatti, lo ha visto formalmente impegnato nel partito liberale e democratico Yabloko. Il suo orientamento politico era però tutt’altro che democratico, anzi, in varie occasioni si è scagliato sia contro i musulmani del Caucaso, apostrofandoli con vari epiteti negativi, sia contro i migranti dell’Asia Centrale che arrivavano in Russia per motivi lavorativi. Inoltre, durante la Seconda guerra dell’Ossezia del Sud, si è schierato a favore della causa russa, auspicando la cacciata dei georgiani dalla Russia. Questi comportamenti, non in linea con le idee del partito, lo hanno portato ad essere cacciato da Yabloko nel 2007.
Proprio l’espulsione dal partito può essere considerata lo spartiacque della carriera politica di Navalny, perché è a quel punto che il dissidente russo ha iniziato ad acquisire popolarità e a modificare il suo orientamento politico.
Pian piano, infatti, il suo fervente nazionalismo, testimoniato anche da molti contatti con esponenti dell’estrema destra, ha lasciato posto ad un più moderato populismo, che lo ha spinto non solo ad opporsi all’annessione della Crimea nel 2014, ma anche a farsi portavoce del malessere della popolazione russa.
Inoltre, dal 2008 ha iniziato a condurre la sua battaglia contro la diffusa e capillare corruzione in Russia, concentrandosi tanto sui politici locali quanto sul governo e la figura di Vladimir Putin. L’apertura del suo blog, da cui ha iniziato a denunciare le irregolarità commesse da alti funzionari della Federazione (ultima la denuncia di una villa che Putin avrebbe acquistato sul Mar Nero con fondi dalla provenienza poco chiara), se da un lato gli ha garantito un nutrito seguito, accrescendo i consensi verso il suo operato, dall’altro lo ha messo nel mirino delle autorità statali, che più volte lo hanno posto sotto processo per presunti crimini che avrebbe commesso, come il caso di appropriazione indebita nei confronti della casa cosmetica francese Yves Rocher.
L’opposizione al regime di Putin lo ha reso agli occhi dell’opinione pubblica internazionale non solo un caso da difendere per promuovere il rispetto dei diritti in Russia, ma anche uno strumento politico da utilizzare contro il Presidente ed il suo sistema di potere…
Da quando è stato arrestato, sono numerosi i Paesi che ne hanno richiesto la scarcerazione. L’Unione Europea, tramite l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Borrell, ha condannato le ripetute violazioni dei diritti umani di cui sarebbe colpevole il governo russo. Dopo la visita a Mosca del mese scorso, in cui Borrell ha incontrato il ministro degli Esteri russo Lavrov proprio per chiedere il rilascio del dissidente. Al diniego di Lavrov e all’espulsione di tre diplomatici europei (uno tedesco, uno polacco e uno svedese), l’Alto rappresentante ha risposto minacciando sanzioni. L’Europa, però come consuetudine, non si è mostrata unita in merito alla questione. Le sanzioni arrivate a inizio mese rappresentano, infatti, un compromesso tra le posizioni dei Paesi del nord Europa, che chiedevano la linea dura, e quelle di Francia e Germania, che ne chiedevano una più leggera. Questo è dovuto essenzialmente a due motivi: innanzitutto, soprattutto per quanto riguarda la Germania, ci sono in ballo interessi economici che i tedeschi hanno nei riguardi del Nord Stream 2, il gasdotto che collegherà la Russia alla Germania tramite il Mar Baltico e che renderà il Paese uno dei principali fornitori del gas russo in Europa; in secondo luogo, un ruolo importante è anche giocato dal vaccino Sputnik V, che da quando Lancet ne ha certificato l’efficacia, viene considerato come una possibile alternativa ai vaccini occidentali.
L’Italia si colloca in una posizione intermedia. Infatti, pur condannando le azioni del governo russo, sembra non sostenere la linea dura ed imporre ulteriori sanzioni alla Federazione per vari motivi. Innanzitutto, perché la Russia rappresenta per l’Italia il principale fornitore di gas naturale (ogni anno ne viene importato il 44% del totale), vitale per il fabbisogno nazionale. In secondo luogo, i rapporti diplomatici tra Roma e Mosca possono essere molto importanti per la risoluzione di diverse crisi internazionali, a cominciare da quella libica, in cui la Russia svolge un ruolo non trascurabile. Infine, in Italia persistono posizioni filo-russe, sia a livello politico che economico, che non vorrebbero l’inasprimento del regime sanzionatorio e, anzi, ne chiedono la sospensione.
Se si volge lo sguardo oltre l’Atlantico, gli Stati Uniti di Biden hanno risposto al caso Navalny applicando le sanzioni più dure nei confronti del governo di Mosca. Sanzionando oltre che le persone fisiche, anche gli apparati industriali, hanno deciso di intraprendere una linea più dura nei confronti del governo di Putin rispetto a quella della precedente amministrazione Trump.
Alla luce di queste prese di posizioni, il supporto a Navalny potrebbe rappresentare per l’Occidente l’occasione per mettere ulteriormente pressione sull’assetto istituzionale russo, che, si trova ad affrontare un generale malcontento popolare a causa sia dalla pandemia di covid-19 che della grave crisi economica che il Paese affronta ormai dal 2014.