Geopolitical Weekly n.166
Sommario: Autorità Nazionale Palestinese, Mali, Yemen
Autorità Nazionale Palestinese
Mercoledì 10 dicembre è morto, nel corso di scontri tra manifestanti palestinesi ed Esercito Israeliano nei pressi di Ramallah, il Ministro palestinese Ziad Abu Ein.
Ziad Abu Ein, 55 anni, era il Ministro del Lavoro e il responsabile della commissione dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) contro il muro di separazione e gli insediamenti israeliani in cisgiordania e si trovava a Turmusiya (villaggio a pochi km da Ramallah) per partecipare alla Giornata Internazionale per i Diritti Umani. Al momento degli scontri tra palestinesi e militari di Tel Aviv, il gruppo guidato da Ziad Abu Ein stava piantando ulivi in un’area prospiciente all’insediamento israeliano di Shilo, recentemente requisita dal governo israeliano per l’ampliamento dello stesso.
Anche se al momento le cause del decesso non sono chiare, alcune testimonianze, tra cui il referto medico, suggeriscono che Ziad Abu Ein potrebbe essere morto o per una crisi cardio-respiratoria dovuta alla massiccia inalazione di gas lacrimogeni e alle percosse subite dai militari israeliani.
Allo sdegno manifestato da Abu Mazen, che ha definito l’evento una barbarie e ha indetto tre giorni di lutto, ha fatto seguito la reazione della Comunità Internazionale e dello stesso Esercito Israeliano che, attraverso il suo portavoce Peter Lerner, ha annunciato l’avvio di un’inchiesta interna e la partecipazione di un patologo israeliano al pool di esperti che sta arrivando dalla Giordania per l’autopsia di Ziad Abu Ein, proponendo inoltre all’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) un’indagine congiunta. Allo stesso modo, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera UE Federica Mogherini ha proposto un’indagine indipendente per appurare dinamiche e responsabilità della morte del Ministro palestinese.
Mali
Martedì scorso alcuni miliziani di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) hanno rilasciato l’ingegnere Serge Lazarevic, ostaggio francese rapito tre anni fa, insieme al connazionale Philippe Verdon, nei pressi della cittadina maliana di Hombori. Verdon era stato invece ucciso dal gruppo jihadista l’anno scorso come atto dimostrativo e di pressione nei confronti del governo francese, reo di impegnarsi nel contrasto alle attività terroristiche in Africa. Sulle modalità di liberazione di Lazarevic, che era l’ultimo cittadino francese detenuto da gruppi eversivi in tutto il mondo, aleggia il sospetto di un accordo tra Parigi ed alcuni influenti miliziani qaedisti, mediato da leader tribali tuareg. Infatti, esiste la possibilità che, oltre ad aver pagato il riscatto, la cui entità resta ignota, il governo francese abbia facilitato la liberazione di alcuni noti terroristi di AQMI detenuti nel carcere centrale di Bamako. Tra questi, il maliano Mohammed Ali Ag Wadoussene, sospettato di essere coinvolto nel rapimento dello stesso Lazarevic, Haifa Ag Acherif, fratellastro di Wadoussene, Oussama Ben Gouzzi, di origine tunisina, e il saharawi Habib Ould Mahouloud. Infatti, i quattro miliziani sono stati liberati poco prima e poco dopo il rilascio di Lazarevic, senza alcuna adeguata spiegazione da parte delle autorità maliane. In questo senso, dunque, tra la Francia e i rappresentanti di AQMI potrebbe essersi verificato un vero e proprio scambio di prigionieri.
La milizia qaedista che ha tenuto prigioniero Lazarevic è sospettata di tenere ancora prigioniero il cittadino tedesco Sjaak Rijke, rapito a novembre 2011 e apparso accanto all’ingegnere francese in un video rilasciato da AQMI il mese scorso.
Yemen
All’alba di sabato 6 dicembre un commando delle Forze Speciali Statunitensi, precisamente del Navy Seals Team 6, coadiuvato da alcuni elementi delle forze contro-terrorismo yemenite, ha effettuato un raid in un villaggio della provincia di Shabwah, nel sud-est dello Yemen, per cercare di liberare Luke Somers, cittadino britannico naturalizzato statunitense ostaggio di AQAP (al-Qaeda nella Penisola Araba) dal settembre 2013. Tuttavia, il tentativo di liberazione è fallito e il prigioniero, assieme all’ostaggio sudafricano Pierre Korkie, è stato ucciso dai miliziani jihadisti nel corso dello scontro a fuoco tra questi ed i militari statunitensi e yemeniti. Il governo di Washington avrebbe deciso di effettuare il raid in base a fonti di intelligence secondo le quali Somers era in grave ed imminente pericolo di vita. Sfortunatamente, pare che Korkie, proprio il 6 dicembre, avrebbe potuto essere liberato in seguito all’accordo tra il governo sudafricano e i rapitori sul pagamento del riscatto. Le Forze Speciali statunitensi avevano già tentato di liberare Somers a fine novembre scorso, nel corso di una operazione presso una cava abbandonata al confine tra Yemen e Arabia Saudita. In quell’occasione, i militari erano riusciti a liberare altri 8 ostaggi, di nazionalità yemenita, saudita ed etiope, ma non Somers, che era stato già trasferito in un’altra località.