Droni sul Cremlino: un’analisi militare e politica
Russia & Caucasus

Droni sul Cremlino: un’analisi militare e politica

By Marco Di Liddo and Emmanuele Panero
05.05.2023

Mercoledì mattina tra le 2:27 e le 2:43 ora locale, due droni sono esplosi sopra la cupola del Senato al Cremlino. Le immagini diffuse relative all’accaduto, e da cui è possibile dedurre l’orario esatto, osservando l’orologio della Torre Spasskaja, mostrano in sequenze successive due UAVs (Unmanned Aerial Vehicles) quadri elica provenire da sud-est, plausibilmente dalla direzione del Parco Zarjad’e lungo il fiume Moscova prima di venire abbattuti in una nuvola di fumo sopra l’edificio. I velivoli impiegati appaiono di natura civile e commerciale, probabilmente adattati, come il conflitto in Ucraina ha più volte mostrato, per trasportare piccole cariche esplosive. Pertanto, per caratteristiche tecniche, gli stessi sarebbero stati pilotati da remoto verso l’obiettivo da una postazione prossima allo stesso o comunque all’interno o nelle vicinanze di Mosca. La stessa traiettoria di provenienza è coerente con un tentativo di limitare l’osservabilità e la tracciatura radar dei velivoli, muovendosi a bassa quota lungo le linee d’acqua che attraversano la città, partendo da una zona aperta lungo queste. La capitale è infatti protetta, ed in modo crescente negli ultimi mesi, da diversi apparati militari di difesa aerea, ragionevolmente impiegati per ingaggiare e neutralizzare la minaccia. In particolare, le Forze Armate russe hanno schierato nei parchi cittadini sistemi S-400 e Pantsir-S1. Quest’ultimo potrebbe essere l’apparato che ha provveduto ad abbattere i droni, nonostante nel suo precedente utilizzo in Siria, ove era presente un similare impiego di piccoli droni commerciali da parte dei miliziani di ISIS, esso si sia dimostrato non del tutto efficace. Una simile osservazione spiegherebbe la ragione di una neutralizzazione della minaccia in un momento così tardivo, con la stessa già sopra il perimetro del Cremlino e chiarirebbe anche la presenza di personale, probabilmente di sicurezza, posizionato sulla cupola e ragionevolmente impegnato ad ottenere un’identificazione visiva della minaccia segnalata, ma non classificata, dai radar dei sistemi di difesa aerea. Le dimensioni contenute dei droni, insieme alla loro bassa velocità, rappresentano di per sé una sfida per molti apparati contro-aerei, soprattutto in un contesto urbano dove la presenza di edifici può schermare gli strumenti di sorveglianza aerea. Nonostante i toni della comunicazione istituzionale russa, che immediatamente hanno lasciato intendere che l’attacco fosse di matrice terroristica e rivolto contro il Presidente Vladimir Putin, l’analisi tecnica e tattica dell’accaduto permette di trarre altre indicazioni. Innanzitutto, il Presidente Putin trascorre pochissimi giorni all’anno all’interno del complesso del Cremlino e preferisce svolgere le proprie mansioni politiche da altri siti istituzionali o dalle diverse residenze alla periferia di Mosca. In secondo luogo, il leader russo non trascorre mai la notte all’interno del Cremlino, salvo rarissime eccezioni. In terzo luogo, qualora si volesse attentare alla vita di una persona situata in un edificio, soprattutto con uno strumento dalla carica esplosiva limitata quale un drone civile adattato, occorrerebbe disporre dell’esatta posizione della stessa. Inoltre, tale posizione deve essere favorevole (in prossimità di una finestra o di una stanza esterna). Infine, il Cremlino è un obbiettivo sensibile e ben protetto e, dunque, pensare di utilizzare un drone civile adattato per uccidere il Presidente russo sarebbe a dir poco inverosimile. Di conseguenza, quanto avvenuto a Mosca è un atto dimostrativo il cui valore politico e simbolico supera quello militare. Lo scopo dell’attacco non era uccidere Putin, ma mandare un messaggio chiaro ad un’audience varia, sia interna che internazionale. Tale messaggio consiste nella messa in discussione dell’invulnerabilità russa e del suo simbolo politico più autentico, rappresentante il cuore stesso del potere, a pochi giorni dalla parata per il Giorno della Vittoria (9 maggio), vale a dire della celebrazione della vittoria sovietica sul Terzo Reich nazista nella Seconda Guerra Mondiale. Parallelamente, l’uso di un drone imbarazza le Forze Armante e, in particolare, la Difesa Aerea russa, gettando discredito su un comparto militare la cui immagine continua ad essere logorata ed ammaccata dalle difficoltà incontrate sui campi di battaglia ucraini. Di conseguenza, lo sviluppo di un’ipotesi circa la responsabilità dell’azione deve considerare i soggetti (sia interni che internazionali) intenzionati a mandare tale messaggio e, soprattutto, tecnicamente in grado di condurre un’operazione di questo tipo. Sostanzialmente, i principali indiziati sono 4: i servizi segreti e le Forze Speciali ucraine, la fazione dei “falchi” all’interno dell’establishment di potere russo, i gruppi dissidenti russi ed infine il governo russo. Le ipotesi meno sostenibili sono quelle relative alla responsabilità dei gruppi dissidenti russi o dello stesso governo del Cremlino. Nel primo caso il principale indiziato sarebbe il sedicente “Esercito Repubblicano Nazionale”, già accusato (senza prova alcuna se non dichiarazioni estemporanee dell’ex deputato russo Ponomarev) di aver condotto azioni a Bryansk, a San Pietroburgo (omicidio del blogger Tatarsky) e a Mosca (assassinio di Daria Dugina). Tuttavia, non si hanno elementi sufficienti per dimostrare nè le capacità tecniche di tale gruppo né tantomeno la sua reale esistenza. Altrettanto suggestiva è l’ipotesi di un false flag del governo avente lo scopo di giustificare una ulteriore escalation delle attività militari in Ucraina e cementare un fronte interno deluso dall’andamento del conflitto e meno sicuro e fiducioso di un tempo sulle capacità della leadership russa. Anche in questo caso, pur ammettendo lo storico orgoglio nazionalista russo e la potenza evocativa dei simboli e delle tradizioni storiche, un drone sul Cremlino avrebbe difficilmente avuto quel potere dirompente di evocare la rabbia popolare e spingere la società russa a mobilitarsi in massa contro il nemico ucraino. Tutto questo senza considerare, ancora una volta, la magra figura della difesa aerea russa che, nel complesso, squilibrerebbe il rapporto tra costi e benefici. Per ottenere effetti simili, bisognerebbe colpire obbiettivi diversi, prevalentemente civili, in grado di toccare le corde più profonde dell’emotività popolare. A riguardo, basti ricordare uno dei più grandi misteri della storia russa recente, vale a dire gli attentati esplosivi contro alcuni condomini a Buynaksk, Mosca e Volgodonsk (1999). In quel caso, le autorità russe puntarono il dito contro i gruppi jihadisti ceceni e lo sdegno popolare permise uno slancio patriottico che rafforzò la posizione dell’allora giovane Presidente Putin e legittimò l’inizio della Seconda Guerra cecena. Tuttavia, su quegli episodi pesa l’ostruzione governativa ad una indagine indipendente e le rivelazioni di ex agenti del FSB, del GRU e di ex militari russi circa il coinvolgimento dei servizi segreti negli attentati. A questo punto le due ipotesi empiricamente più sostenibili riguardano un’eventuale azione ucraina o un’attività condotta dal fronte del “falchi” del Cremlino. Per quanto riguarda la prima ipotesi, le Forze Speciali e i servizi segreti ucraini (SBU) hanno dimostrato una grande capacità di condurre operazioni in territorio russo (basti pensare alla lunga lista di sabotaggi ed attentati condotti sia negli oblast occupati che in quelli metropolitani) e di padroneggiare l’utilizzo della tecnologia dei droni a più livelli. Certamente, un’azione di un’unità FOS ucraina a Mosca avrebbe un significato profondo ed un impatto verticale sul morale e sulle capacità del servizio di sicurezza federale russo (FSB). Infine, anche l’ipotesi dei “falchi”, vale a dire la fazione raccolta attorno al capo del Wagner Group Prigozhin, al leader ceceno Kadyrov e a quegli esponenti del mondo militare desiderosi di una escalation totale del conflitto contro l’Ucraina e contro l’Occidente, ha una propria sostenibilità empirica. Infatti, tale fazione dell’establishment possiede la capacità di condurre un’operazione del genere e, soprattutto ha interesse a mettere in difficoltà il fronte dei pragmatisti, vale a dire il gruppo di interesse russo che vuole continuare “l’operazione militare speciale” senza arrivare ad una mobilitazione generale del Paese e senza uno scontro diretto con l’Occidente. Ovviamente, la motivazione dell’attacco è quella di mettere in imbarazzo il comparto militare, evidenziare la fragilità del sistema e provocare una reazione ancora più violenta nei confronti degli ucraini. Al di là dei mandanti e degli esecutori dell’attacco, alcuni degli obbiettivi sembrano essere stati raggiunti. Innanzitutto, la Difesa russa ha mostrato che anche il Cremlino è vulnerabile e che il Paese può essere colpito efficacemente sia sui fronti ucraini che sulle strade di Mosca. Parallelamente, il potere politico è nervoso, come testimoniato dalla decisione di censurare le immagini dell’attacco nel tentativo di non evidenziare le falle di un sistema che si professa invulnerabile e che, forse, non lo è. In terzo luogo, la promessa di rappresaglie per l’attentato rientra nell’usuale retorica di guerra russa, la cui propaganda ormai deve preoccuparsi più della coesione interna che della cooptazione degli “utili idioti” in Europa. Probabilmente, i russi proveranno ad organizzare una risposta che unica valore militare ad eco mediatica, magari colpendo un obbiettivo ucraino di grande portata simbolica. Tuttavia, al di là della risposta del Cremlino, l’attacco con i droni non cambierà i trend del conflitto in maniera netta ed improvvisa ma, sicuramente, porrà un ulteriore fattore di dubbio e divisione all’interno dell’establishment moscovita. Nel medio e lungo periodo, questa divisione del fronte interno, al momento ridotta e gestibile ma potenzialmente allargabile, potrebbe compromettere strategia e obbiettivi russi in Ucraina.

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