Droni iraniani: sviluppi tecnologici e impieghi tattici
Asia & Pacific

Droni iraniani: sviluppi tecnologici e impieghi tattici

By Matteo Urbinati
07.30.2020

Oggigiorno, l’utilizzo dei droni (UAV – Unmanned Aerial Vehicles) all’interno del teatro mediorientale è divenuta una prassi consolidata per molti Paesi dell’area, che negli ultimi anni sono riusciti a dotarsi di questa tecnologia. Diverse sono le ragioni alla base di tale proliferazione, come i vantaggi che hanno spinto negli anni i principali attori statuali ad optare per tali sistemi, piuttosto che investire nell’acquisizione di aeromobili tradizionali. Innanzitutto quello mediorientale è uno spazio aereo ancora piuttosto permissivo, scarsamente costellato di sistemi di difesa aerea e reti di scoperta radar sofisticati. Gli obiettivi verso i quali si rivolgono la stragrande maggioranza degli attacchi cinetici condotti per via aerea sono per lo più convogli di veicoli, basi, piste di atterraggio o singoli edifici scarsamente fortificati. Tutti bersagli che non richiedono necessariamente la potenza di fuoco che può esprimere generalmente un caccia-bombardiere o un velivolo da attacco al suolo. Occorre inoltre considerare un ulteriore fattore, quello economico. Le Forze Armate dei Paesi mediorientali, storicamente poco sviluppate sul piano tecnologico, non hanno risorse sufficienti a dotarsi di velivoli all’avanguardia e di capacità aeree sofisticate. La scelta del drone, uno strumento flessibile, efficace e soprattutto economico, rappresenta il risultato di un oculato trade-off tra costi ed efficacia. La varietà di funzioni che può espletare un UAV di medie dimensioni, che spaziano dall’ISR (intelligence, surveillance and reconnaissance) al targeting, agli attacchi cinetici veri e propri, rende questa tecnologia particolarmente appetibile e richiesta sul mercato mediorientale. All’interno di quest’area, ad eccezione della Turchia, inclusa per prossimità geografica, solo l’Iran è riuscito negli ultimi decenni a sviluppare un’industria autoctona ed autonoma, in grado di fornire alle proprie Forze Armate e di sicurezza degli UAV all’altezza dei loro requisiti operativi.

Il secondo modello, operativo dal 2018, è il Mohajer-6, realizzato dalla compagnia di Stato aerospaziale Ghods UAV Industries. Questo modello appartiene alla nutrita famiglia dei Mohajer, che per diversi decenni ha costituito la spina dorsale della componente UAV iraniana. In particolare, Il Mohajer-1 fu impiegato già durante la guerra Iran-Iraq per la sorveglianza del campo di battaglia, mentre Mohajer-2, sviluppato negli anni '90 con avionica e prestazioni migliorate, è tutt’ora in servizio. Anche il Mohajer-4, che ha rappresentato un vero e proprio salto di qualità rispetto ai precedenti esemplari, è tuttora ampiamente impiegato dentro e fuori i confini dell’Iran, sempre per compiti di ISR. Rispetto agli altri modelli, il Mohajer-6 è il primo esemplare della famiglia ad adottare una configurazione multiruolo. Il Mohajer-6, infatti, nasce come drone ISR con limitate capacità di guerra elettronica, ma è stato in seguito dotato di due munizioni teleguidate per autodifesa e per compiere attacchi mirati. Questo UAV ha un peso massimo al decollo di 600 kg e può trasportare un carico pagante di 40 kg. Può raggiungere una velocità massima di 200 km/h e un’altitudine massima di 5,500 metri. Il drone da ricognizione Saegheh-2 è stato introdotto invece sul campo nell’ottobre del 2016 ed è anch’esso frutto di un processo di reverse engineering, che ha visto coinvolto il celebre drone statunitense Lockheed RQ-170 Sentinel (anche noto come ‘Bestia di Kandahar’). Quest’ultimo è precipitato in Iran durante un’operazione di pattugliamento nel Sud dell’Afghanistan, in seguito ad un presunto attacco cibernetico condotto dai Pasdaran (IRGC - Guardiani della Rivoluzione). Dal drone statunitense gli iraniani hanno derivato il Saegheh-2, un drone principalmente ISR con capacità multiruolo, in grado di raggiungere una velocità di 300 km/h, un’altitudine di 7600 metri, con un’autonomia di 4,5 ore. Dal punto di vista offensivo Il Saegheh-2 trasporta due missili aria-superficie Sadid-1 (per un massimo di 50 kg di payload).  Attualmente, Teheran utilizza i propri droni tanto per la sicurezza interna e per il controllo dei propri confini, quanto all’interno dei teatri di conflitto dove si trova coinvolta direttamente, o tramite la propria rete di proxy. A livello macroscopico, nonostante l’Esercito iraniano convenzionale (Artesh) disponga anch’esso di diversi droni, sono per lo più i Guardiani della Rivoluzione (IRGC – Pasdaran) ad utilizzarli, in quanto forza armata specializzato nella guerra asimmetrica. Sul versante interno, i droni vengono spesso impiegati per il pattugliamento delle zone di interesse strategico, quali confini caldi, facilities militari, centrali elettriche, nonché le acque del Golfo Persico. Per quanto riguarda quest’ultime, le forze navali dei Pasdaran (IRGC Navy), monitorano costantemente lo stretto di Hormuz per controllare il transito di naviglio militare e per collezionare intelligence utile alla sicurezza delle rotte marittime del commercio iraniano attraverso l’uso di UAV. Sulla frontiera orientale con Pakistan e Afghanistan, gli UAV sono stati più volte impiegati da Teheran per svolgere missioni di controterrorismo all’interno della provincia del Sistan-Baluchistan, un’area a maggioranza sunnita popolata da diversi gruppi insorgenti e separatisti. In tale contesto, si è registrato l’utilizzo del Mohajer-6, tanto per condurre operazioni di ISR, quanto per effettuare strike mirati ai danni di gruppi jihadisti tra cui Jaish ul-Adl, attivo anche nelle regioni meridionali dell’Iran. Le operazioni di monitoraggio e contrasto all’estremismo sunnita hanno spinto le autorità iraniane addirittura ad invadere lo spazio aereo del Pakistan più volte negli ultimi anni. Sul versante opposto, invece, lungo le frontiere con l’Iraq, i droni sono stati utilizzati dai Pasdaran per lanciare attacchi mirati in operazioni di counter-insurgency nel Kurdistan iraniano, dove si sono verificate operazioni ed attacchi da parte dei gruppi insorgenti locali di matrice curda. Un caso recente, nel luglio del 2019, ha visto l’utilizzo di droni Mohajer-4 e Mohajer-6 lungo il confine con l’Iraq per designare bersagli da ingaggiare a distanza tramite batterie missilistiche e artiglieria semovente. Gli attacchi avevano come bersaglio villaggi dove si trovavano i membri del Partito della Vita Libera in Kurdistan (sigla PJAK), un partito politico clandestino e rivoluzionario del Kurdistan iraniano che dal 2004 minaccia la scissione da Teheran, rivendicando la propria autonomia politico-culturale. L’Iran, come noto, è presente in diversi teatri di conflitto transfrontalieri, dove conduce operazioni di guerra asimmetrica, tramite i propri Pasdaran, ma soprattutto grazie alla galassia di milizie sciite presenti sul territorio. I principali teatri di operazione sono certamente la Siria, l’Iraq, il Libano e lo Yemen. In tali aree, sono le Guardie della Rivoluzione con il loro corpo d’élite Qods a gestire la fitta rete di relazioni con le forze locali, coordinando le operazioni e fornendo training, intelligence ed equipaggiamento.

In Siria, i Pasdaran sono presenti con un’impronta molto leggera, privi di mezzi pesanti. I droni, pertanto, in luce della loro versatilità d’impiego, si sono rivelati utilissimi per svolgere numerose mansioni, dalla raccolta di intelligence al targeting, dal disturbo di segnali elettromagnetici agli strike mirati. In Siria, l’Iran si appoggia generalmente sulle principali basi dell’esercito siriano lealista, come l’aeroporto militare di Hama e la base aerea T4. Precedentemente al 2016, era presente sul territorio siriano soltanto con droni da ricognizione tattica come l’Ababil-3 o il Mohajer-4, ma in seguito sono stati introdotti anche altri aeromobili, in grado di compiere attacchi al suolo ai danni di Daesh, dei ribelli, ma anche della coalizione a guida statunitense. Questi ultimi, tra cui lo Shahed-129 il Saegheh-2, sono stati estensivamente impiegati nella regione di Abu Kamal e nella Siria orientale. Sempre gli stessi sono stati utilizzati più volte in sorvoli che hanno violato lo spazio aereo israeliano, partendo dalla base siriana T4, nel distretto di Homs.

In Libano, il braccio paramilitare del partito Hezbollah, opera da anni droni forniti da Teheran, per operazioni di ricognizione e per compiere attacchi mirati ai danni di Israele all’interno dell’area meridionale a Sud del fiume Litani. Negli anni si sono registrati numerosi attacchi condotti per mezzo di droni ‘suicidi’ riempiti di materiale esplosivo. L’utilizzo di droni iraniani da parte di Hezbollah, tra cui i modelli Mohajer-2 e Mohajer-4, sta seguendo negli ultimi anni un trend di crescita, che ha contribuito a inasprire le tensioni lungo il confine meridionale del Libano. Nell’autunno del 2019, Hezbollah ha addirittura dispiegato droni nell’area delle alture del Golan per minacciare con attacchi suicidi il territorio israeliano, scatenando l’immediata reazione di Israele, che ha effettuato un raid aereo per neutralizzare gli UAV a sud-est di Damasco. Sul fronte siriano, Hezbollah utilizza i droni iraniani estensivamente, grazie al supporto e al training offerto dalla Forza Qods, ai danni delle milizie ribelli e dei gruppi jihadisti sunniti. Il primo attacco aereo condotto dalle milizie libanesi per mezzo di droni iraniani in Siria è probabilmente avvenuto nel 2014. In tale raid, partito da una base aerea provvisoria situata nella Valle della Beqa, venne distrutto un posto comando del fronte jihadista Jabhat al-Nusra situato al confine tra i due Paesi.  Un esempio eclatante del livello di sofisticazione raggiunto nell’impiego tattico dei droni iraniani al di fuori dei propri confini nazionali è certamente fornito dall’attacco perpetrato ai danni dell’impianto petrolifero di Saudi Aramco nei pressi di Riyad, avvenuto a settembre 2019. In tale occasione è stato effettuato un raid estremamente accurato contro alcuni siti di produzione e stoccaggio, tramite una decina di droni ‘suicidi’ carichi di esplosivo e altrettanti missili cruise. L’attacco, probabilmente partito dal territorio iraniano, ha causato un danno ingente, tale da mettere in ginocchio l’intera infrastruttura energetica per diverso tempo.

Nell’ultimo decennio Teheran ha espanso ulteriormente il proprio arsenale di UAV, dotandosi di sistemi sempre più in grado di compiere operazioni complesse, svolgendo mansioni multiruolo e con un sempre maggiore raggio d’azione. Tuttavia, indipendentemente dalla sofisticazione tecnologica di questi strumenti, ciò che ha segnato una vera differenza da un punto di vista dottrinale, è stato l’impiego estensivo di questi aeromobili in contesti numerosi ed eterogenei, per lo più per lunghi periodi. Ciò ha conferito a Teheran un’importantissima esperienza operativa, che potrà essere re-impiegata in diversi scenari futuri, aumentando gli strumenti militari di offesa, dissuasione e deterrenza a disposizione della Repubblica Islamica e andando ad arricchire la propria dottrina di guerra asimmetrica. Inoltre, i droni si sono dimostrati uno strumento estremamente prezioso e versatile per rafforzare le capacità militari dell’asse di milizie sciite facenti capo alla Forza Qods, permettendo a queste ultime di agire con maggiore efficacia e aumentando il raggio dell’azione militare iraniana, dunque l’influenza. Tutto ciò al netto di un impiego contenuto di risorse da parte di un Paese con limitate disponibilità e con canali di accesso alle tecnologie estere estremamente ridotti.

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