Cambio ai vertici della NOC: l’impatto sullo scenario libico
Il 13 luglio, con un colpo di scena, Farhat Omar Bengdara è stato nominato alla guida della compagnia petrolifera libica National Oil Company (NOC) al posto di Mustafa Sanallah, al vertice della stessa per oltre un decennio. La notizia, confermata dal Ministero del Petrolio e del Gas del Governo di Unità Nazionale (GNU), retto da Abdul Hamid Dbeibah, ha suscitato diverse reazioni dentro e fuori il Paese. Una situazione paradossale che ha coinvolto anche lo stesso Sanallah, sorpreso dalla decisione e indisposto a lasciare il suo incarico e rilanciando, invece, accuse varie di complotto ordite ai suoi danni.
Nello scenario libico, Sanallah è stato a lungo contestato – soprattutto dalle autorità della Cirenaica – in quanto sarebbe stato più volte accusato di accomodamento con gli interessi di Tripoli. Secondo i suoi accusatori, infatti, i proventi della NOC – gestiti e amministrati come di consueto dalla Banca Centrale Libica (CBL) – venivano redistribuiti soltanto in Tripolitania al fine di accrescere il ruolo delle autorità dell’Ovest e salvaguardare, al contempo, gli interessi della stessa compagnia nei progetti infrastrutturali ed energetici sotto un controllo più o meno diretto del GNU. La nomina, invece, di Bengdara si muoverebbe su altre logiche essendo, in primis, un uomo molto vicino al Generale Khalifa Haftar e con importanti sostegni esterni (EAU e Russia, su tutti). Inoltre, Bengdara è stato il Presidente della CBL durante l’ultimo periodo del regime gheddafiano (dal 2006 al 2011), prima di volare in Russia e cercare nuove protezioni con l’insorgere della Primavera Araba nel Paese.
Da un punto di vista propriamente pratico, la nomina del nuovo Presidente della NOC potrebbe avere un effetto positivo in quanto la sua promozione potrebbe sbloccare le attività petrolifere ferme ormai da diversi mesi (a causa delle iniziative mosse da alcune milizie vicino al Generale Haftar) e, quindi, generare un nuovo flusso di cassa per lo Stato, oggi come non mai necessario dopo le proteste delle scorse settimane e l’imperversare di una stallo politico che alimenta contestualmente una profonda crisi sociale ed economica con ripercussioni evidenti sulla già fragile stabilità della Libia.
Infatti, il gioco di poteri dietro la nomina di Bengdara sembrerebbe suggerire un tentativo di politicizzazione della risorsa energetica con il rischio concreto di ingenerare nuove fratture e dinamiche conflittuali a più livelli tra i diversi gruppi di potere nel Paese. Non a caso, la nomina giunge in un momento estremamente delicato della crisi nazionale, con nessuna delle parti in grado di sopraffare l’avversario. Dopo il fallimento delle trattative per una nuova Costituzione che si sono svolte prima al Cairo (dal 15 al 20 maggio scorso) e poi a Ginevra (colloqui terminati il 30 giugno), questa mossa sembrerebbe rafforzare le ipotesi emerse già dall’inizio dell’anno circa un possibile asse informale tra Dbeibah e Haftar volto a colpire essenzialmente Fathi Bashagha, Premier del Governo di Salvezza Nazionale (GNS).
Proprio Bashagha, già fortemente screditato dal fallito ingresso a Tripoli dello scorso 17 maggio e dalle proteste che hanno portato alle messa a fuoco della Camera dei Rappresentanti (HoR) di Tobruk, rischia di essere il principale obiettivo di questa strana convergenza opportunistica. Per Haftar, infatti, la nomina di Bengdara è un successo soprattutto in un’ottica di consolidamento delle sue leve politiche ed economiche nella gestione del potere libico – grazie anche alla nomina dei figli dello stesso Generale nel Board della NOC e della CBL, rispettivamente enti incaricati di gestire le rendite energetiche e i flussi finanziari. Contestualmente per Dbeibah tale mossa garantirebbe una conservazione dello status quo, finalizzato al mantenimento del suo peso politico e influenza nei gangli decisionali delle strutture libiche. In entrambi i casi, tale mossa è stata funzionalmente pensata nel tentativo di poter ingaggiare la protesta sociale e creare una nuova legittimazione popolare: infatti grazie alla redistribuzione della rendita, i due leader puntano a cooptare fette di società e possibili partner nella speranza di rimandare in un prossimo momento la battaglia finale per la conquista della partita libica.
Il rischio, quindi, è che il comparto petrolifero venga sfruttato dalle parti in lotta per riorganizzare le rispettive fila e rilanciare un’azione politica (e militare) che definisca una volta e per tutte le sorti del Paese nordafricano, alimentando al contempo un piano sociale di profonda precarietà.
Emanuele Volpini è stagista al desk Medio oriente e Nord Africa