ATLAS Sudafrica: screening di massa per il COVID-19
India: Nuova Delhi modifica le norme per il domicilio nel Territorio di Jammu e Kashmir
Mercoledì 1 aprile, l’India ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale le nuove leggi sul domicilio in riferimento al Territorio di Jammu e Kashmir. Secondo la nuova normativa, per ottenere il domicilio basterà aver risieduto in loco per un periodo di 15 anni, oppure avervi compiuto gli studi per un minimo di 7 anni o, ancora, essere figli di militari in servizio nei confini della regione da almeno 10 anni. Le leggi introducono un elemento nuovo e, per la prima volta, avranno anche notevoli ripercussioni sul mercato del lavoro, in quanto essere domiciliati nel Territorio consente di accedere a una vasta scala di occupazioni nell’amministrazione locale, nonché di acquisire terreni.
La delicata riforma giunge dopo che, con legge del 5 agosto 2019, le autorità indiane avevano cancellato lo status speciale della regione settentrionale di Jammu e Kashmir – riconosciuto dall’articolo 370 della Costituzione del 1947 – e ufficializzato lo smembramento dello Stato, dividendolo in due nuovi Territori dell’Unione, nominati Jammu & Kashmir e Ladakh. Ciò ha portato il territorio non solo a perdere la propria autonomia, ma anche ad essere amministrato direttamente dal governo centrale.
L’entrata in vigore delle nuove riforme ha suscitato forte preoccupazione da parte della popolazione, che ha visto nel veloce susseguirsi degli eventi negli ultimi otto mesi il tentativo da parte del governo di modificare lo stesso tessuto sociale della regione himalayana. L’entrata in vigore delle nuove leggi sulla residenza, dunque, è stata interpretata come l’attuazione del disegno del partito del Primo Ministro Modi, Bharatiya Janata Party (BJP) di avviare un cambiamento demografico del territorio, per favorirne l’integrazione all’interno dell’Unione. Sebbene il BJP abbia giustificato le nuove norme come un sostegno al dinamismo economico della regione, i partiti locali hanno denunciato la mancanza di tutele speciali sull’occupazione, che erano state promesse alla popolazione autoctona, e hanno puntato il dito contro il tempismo di una promulgazione giunta proprio quando il Paese è distratto dall’emergenza sanitaria del Coronavirus. In questo contesto, l’entrata in vigore delle nuove norme potrebbe aggravare il risentimento della popolazione nei confronti di New Delhi. Una nuova ondata di malcontento potrebbe aprire la strada ad un rafforzamento del consenso e delle attività dell’insorgenza kashmira che, fiaccata dall’offensiva e dall’implementazione delle misure di sicurezza straordinarie ordinate dal governo negli ultimi otto mesi su tutto il territorio himalayano, è ora in una fase di riorganizzazione.
Libia: parte la missione UE IRINI
Il 31 marzo l’Unione Europea ha lanciato l’operazione EUNAVFOR MED IRINI. Obiettivo di questa nuova missione è garantire il rispetto dell’embargo delle armi alla Libia disposto dall’ONU.
L’operazione militare rappresenta finora l’unica risposta unitaria in sede europea riguardo la questione libica a seguito della conferenza di Berlino (gennaio 2020), quando la diplomazia internazionale aveva provato a fermare i combattimenti nel Paese. Sebbene IRINI succeda all’operazione SOPHIA, il mandato è stato modificato profondamente per rispondere alle esigenze dettate dalle Nazioni Unite. Dall’attenzione per la tratta di esseri umani, infatti, gli obiettivi principali sono diventati il traffico illegale di armi e di petrolio.
Il monitoraggio dell’embargo attraverso IRINI si svolgerà grazie all’utilizzo di mezzi aerei, satellitari, ma soprattutto con assetti navali. Hanno già dato piena disponibilità l’Italia (il quartier generale sarà a Roma e a capo della missione ci sarà il Contrammiraglio Fabio Agostini) e la Spagna, mentre la Germania pare abbia messo a disposizione un aereo da ricognizione marittima.
A ben vedere, quindi, in prima istanza la missione potrà intercettare efficacemente i cargo navali turchi diretti a Tripoli (controllata dal Governo di Unità Nazionale di Sarraj). Gli assetti a disposizione della missione, invece, non possono realmente intercettare le vie di rifornimento aeree e terrestri da cui le forze dell’Est ricevono il grosso dei rifornimenti da Emirati Arabi Uniti, Giordania ed Egitto. Dunque, non si può escludere che IRINI cambi i rapporti di forza in campo in Libia già nel breve periodo, mettendo in difficoltà lo schieramento che difende Tripoli.
Sudafrica: screening di massa per il COVID-19
Il 31 marzo, il Presidente Cyril Ramaphosa ha disposto il controllo in massa della popolazione nel tentativo di rallentare la diffusione del coronavirus. Il Paese conta 1380 positivi, il dato più alto del continente africano, su oltre 44.000 test effettuati. Questa drastica misura è stata attuata in seguito al rapido incremento delle positività riscontrato nella settimana tra il 23 ed il 30 marzo, pari all’80%, nonostante le misure restrittive attuate dal governo (parziale lockdown delle attività produttive e chiusura dei confini).
I controlli saranno effettuati casa per casa, saranno concentrati soprattutto nelle aree rurali e coinvolgeranno 10.000 cittadini, molti dei quali volontari. Coloro i quali presenteranno sintomi riconducibili al COVID-19 saranno in seguito sottoposti ad un tampone di verifica.
La scelta del Presidente di concentrare gli sforzi nelle aree rurali è dettata dal maggior rischio sanitario a cui questi territori sono esposti. Difatti, in nelle zone in questione, l’accesso a fonti di acqua potabile è estremamente difficoltoso, a causa della siccità che perdura da circa due anni, e rende più complicata la profilassi igienica per limitare il contagio. Nonostante la distribuzione di acqua da parte del Governo per fronteggiare il coronavirus, la quarantena ha incrementato i consumi della popolazione locale.
Inoltre, per far rispettare le misure di restrizione dei movimenti e della libera circolazione dei cittadini, negli ultimi giorni la polizia è ricorsa alla forza in più occasioni, provocando numerose denuncie di abusi da parte della popolazione. La tensione resta alta e le nuove misure di contenimento, la scarsità di acqua e la recessione economica in cui si trova il Paese potrebbero catalizzare il malcontento di vaste porzioni della società sudafricana, mettendo in discussione la legittimità di Ramaphosa e aumentando il rischio di proteste sociali.