ATLAS: Corea del Nord, India, Siria
Corea del Nord: Pyongyang manda in frantumi i rapporti con Seul
Lunedì le autorità nordcoreane hanno demolito l’ufficio di collegamento per le relazioni bilaterali tra le due Coree, collocato nella città Kaesong in prossimità del confine tra i due Paesi. La scelta di distruggere il complesso, annunciata nei giorni precedenti da Kim Yo-Jong (sorella di Kim Jong-Un), è giunta in seguito alle ripetute proteste da parte di Pyongyang per l’azione di alcuni gruppi di attivisti sudcoreani che, nei giorni precedenti, avevano lanciato al di là del confine del materiale di denuncia contro il regime.
L’azione assume una valenza simbolica perché segna un punto di rottura nel percorso di distensione avviato dalle due Coree nello storico incontro al villaggio di pace di Panmunjom, nell’aprile del 2018. Il summit aveva allora sugellato l’apertura del dialogo all’interno della Penisola coreana e aveva aperto la strada agli incontri tra Pyongyang e Stati Uniti. Nonostante i due bilaterali tra il Presidente statunitense Donald Trump e il Leader nordcoreano, nonchè i ripetuti round negoziali tra le delegazioni diplomatiche dei due Paesi, l’impossibilità per Stati Uniti e Corea del Nord di trovare una convergenza sulle concessioni iniziali, necessarie ad avviare un dialogo più strutturato, ha portato i negoziati ad un nulla di fatto. A fronte della sospensione delle sperimentazioni in materia nucleare e balistica, infatti Pyongyang aveva più volte sottolineato come conditio sine qua non l’interruzione delle sanzioni internazionali contro il Paese, senza ottenere però il parere positivo di Washington.
La distruzione del complesso sembra ora segnare la volontà del governo nordcoreano di rivedere la propria disponibilità al compromesso e di tornare ad una retorica di maggior conflittualità con il proprio vicino. Tale deterioramento nelle relazioni, infatti, sarebbe confermato anche dalla dichiarata intenzione da parte delle autorità nordcoreane di inviare nuovamente i propri militari all’interno della zona demilitarizzata, che, se confermata, segnerebbe una pericoloso ritorno ad un innalzamento delle tensioni all’interno della Penisola.
India: si riaccende la disputa frontaliera nel Ladakh
Nella notte di lunedì 15 giugno si è registrato un violento scontro tra militari indiani e cinesi nella Valle di Galwan, lungo il confine conteso nell’area himalayana del Ladakh, causando la morte di almeno 20 soldati indiani.
Nonostante le tensioni fra i due giganti asiatici si accendano regolarmente lungo la Linea di Controllo Effettivo (LAC), il confine de facto fra i due Paesi, l’incidente segna il primo episodio fatale dal 1975. Infatti, dal conflitto lampo indo-cinese del 1962, in cui venne stabilita la linea di separazione LAC, Pechino e Delhi hanno continuato a confrontarsi, sebbene in maniera tendenzialmente pacifica.
Al centro dei recenti scontri frontalieri c’è la reciproca accusa di sconfinamento dal perimetro di demarcazione. A partire dal mese scorso la regione del Ladakh ha conosciuto un intensificarsi di schermaglie tra i due eserciti, con sporadici scontri ad alta quota. Nella settimana precedente l’ultimo scontro i due Paesi avevano tentato di riavviare una politica di distensione, attraverso colloqui mirati a mantenere stabilità lungo le zone di confine. Il consenso raggiunto è stato inoltre ribadito mercoledì scorso nella telefonata tra i rispettivi ministri degli Esteri, Wang Yi e Subrahmanyam Jaishankar.
Nonostante gli infiniti tentativi di disinnescare le tensioni, il braccio di ferro tra Delhi e Pechino è un chiaro segnale di stallo negoziale. Per di più, oltre le mere accuse di violazione territoriale, il nocciolo della disputa indo-cinese investe dinamiche molto più ampie. All’inviolabilità territoriale predicata da Delhi si contrappone, infatti, la volontà di Pechino nel consolidare il controllo delle aree periferiche e garantirne la sicurezza, questione di massima priorità per l’interesse nazionale cinese.
Siria: ucciso il leader qaedista Abu Qasim al-Urduni
Uno strike americano ha decapitato la branca siriana di al-Qaeda, Hurras al-Din (Guardiani della religione, HaD). Il 14 giugno nei pressi di Idlib, nel nord-ovest della Siria, è stato ucciso Abu Qasim al-Urduni, noto anche come Khaled al-Aruri, leader generale del gruppo.
HaD rappresenta l’istanza rimasta più fedele ad Ayman al-Zawahiri, leader di al-Qaeda, dopo le frizioni del 2016-17 tra quest’ultimo e il Fronte al-Nusra, capeggiato da Abu Muhammad Al-Julani e, all’epoca, massima espressione del qaedismo siriano. Julani si era distanziato gradualmente da Zawahiri, rinnegando il legame con al-Qaeda e privilegiando un’agenda esclusivamente siriana, per emergere come egemone nel variegato fronte ribelle. Per riprendere il controllo su Julani, Zawahiri aveva inviato alcuni veterani di al-Qaeda in Siria. Tra questi proprio al-Urduni, che si è costruito un bagaglio di autorevolezza e carisma fin dagli anni ’90 grazie a rapporti di parentela con Abu Musab al-Zarqawi (l’ex capo di al-Qaeda in Iraq, di cui ha sposato la sorella), alla vicinanza con ideologi qaedisti come il chierico giordano Abu Muhamad al-Maqdisi, e alle esperienze sul campo in Giordania, Afghanistan, Iraq. Tuttavia, l’opera di mediazione con Jolani è fallita e questi emissari di Zawahiri hanno favorito la nascita di HaD nel 2018, con una scissione da al-Nusra.
L’uccisione di al-Urduni assume particolare rilevanza perché con lui viene meno l’ultima personalità qaedista di spicco ai vertici di HaD, gruppo che manteneva un’agenda internazionale volta a colpire interessi occidentali anche fuori dalla Siria. Lo strike del 14 giugno segue una serie di esecuzioni mirate portate avanti dagli Stati Uniti dal 2017 per degradare le capacità di al-Qaeda in Siria, in cui vennero uccisi Bilal Khuraysat, Abu Julaybib al-Urduni e Abu al-Khayr al-Masri. Le ripetute perdite di referenti autorevoli rendono quindi ipotizzabile un travaso di effettivi da HaD a beneficio del fronte rivale, rappresentato in primis da Hayat Tahrir al-Sham, nuova incarnazione di al-Nusra, che potrebbe approfittare della situazione per guadagnare ulteriore rilevanza.